Passato il Natale, si avvicina a grandi passi il temuto 2012. Temuto non per le presunte profezie Maya, ma per l’inesorabile incedere di una crisi senza sbocchi. Ai semplici vien fatto credere che il capitalismo non abbia alternative, ma nessuno scommetterebbe un euro sul futuro.
In molti evocano una non meglio precisata «catastrofe», ma nel frattempo che nessuno metta in dubbio il Dio Mercato! Non ci sono più nemici da additare come capro espiatorio, o meglio ce ne sono tantissimi, troppi e dunque poco credibili.
Il giorno del solstizio d’inverno Draghi, il rettiloforme che presidia i forzieri di Francoforte, ha gentilmente donato alle banche europee (interesse al 1%) qualcosa come 489 miliardi. Lorsignori hanno l’acqua alla gola, e l’operazione si ripeterà a breve.
Ma chi si può accusare per un simile crac? I comunisti, gli islamici, i cinesi? No, non funzionerebbe. Ma neppure si possono accusare i salari troppo alti degli operai, o l’assenteismo di Pomigliano, o le baby pensioni. Hanno devastato tutto – salari, pensioni, diritti – ed ora non hanno più alibi.
Hanno vinto con punteggio rugbystico il trentennale ciclo della lotta di classe iniziato nell’ormai lontano 1980, nove anni dopo hanno vinto la Guerra Fredda, hanno narcotizzato i popoli, tramortito gli oppressi, ed ora nudi davanti allo specchio non sanno più a quale santo votarsi.
Il crac è il loro crac, ma di certo non hanno intenzione di pagare il conto. Un tempo erano i cantori delle magnifiche sorti e progressive, oggi sanno solo chiedere sacrifici. Ma sacrifici per che cosa? Qual è il fine a cui tutto sacrificare? Semplice: evitare la «catastrofe».
Ma chi sarebbe la causa di questa indicibile sciagura? Di nuovo: i comunisti, gli islamici, i cinesi? Non si sa, ma si sa che senza sacrifici la «catastrofe» prenderà forma. Nel Belpaese ne sono tutti convinti: Pdl e Pd, giornali e tv, l’ometto a stelle e strisce del Quirinale ed il professor Quisling che hanno messo a Palazzo Chigi.
Non avendo più nemici da additare, capri espiatori da condannare, oppositori da biasimare, non rimane che la «catastrofe». «Dopo di me il diluvio», disse Luigi XV, ed in effetti non ci andò troppo lontano. «Dopo di noi la catastrofe», dicono in coro i servitori del Dio Mercato, ubriachi del loro credo, al quale in tanti però stanno smettendo di credere.
Ma quali sembianze avrebbe la catastrofe? Quelle di un evento improvviso, un maremoto all’ennesima potenza, oppure quelle di un degrado progressivo e di un arretramento sociale senza fine, come un tunnel senza sbocchi e privo di aereazione? Non sarà che proiettano il film col maremoto per impedire di vedere che la catastrofe è già qui, tra di noi?
Con il massimo sprezzo del senso del ridicolo si è arrivati a dire che senza le ultime misure lo Stato non avrebbe avuto i soldi per pagare gli stipendi del mese di dicembre. Questi gli argomenti del sant’uomo che ha intronizzato il professor Quisling, facendolo pure senatore. Intanto l’altro salvatore della patria, il dirigente di Goldman Sachs incaricato di istruire i greci su come si imbrogliano i bilanci, ed ora inviato a Francoforte anche per vigilare sul loro rigore, ha dato il via alla costruzione del più gigantesco castello di carta della pur fantasiosa storia della finanza capitalistica.
Qualcuno ha parlato di «sistema Ponzi», o anche di «piramide albanese». Giudicate voi, ma seguite con un minimo di attenzione. Come abbiamo già detto, la Bce, guidata dal rettiloforme di cui sopra, ha prestato quasi 500 miliardi alle principali banche europee, le quali hanno fornito a garanzia titoli di ogni tipo, alcuni molto vicini al valore della carta straccia. Ma per raggiungere le enormi cifre richieste, le banche hanno dovuto emettere proprie obbligazioni al solo scopo di consegnarle come «collaterale» alla Bce.
Chi garantisce per questi titoli bancari? Ovvio, gli Stati, che hanno su questo legiferato con urgenza (in Italia proprio con il decreto Monti). Ma il loro Dio non era il mercato? Sì, ma non quando c’è da rischiare, che allora provvede lo Stato, che tanto cercherà di salvarsi con i sacrifici Salva-Italia. Ma il giochino non è finito. Alle banche, così rimpinzate, si chiede ora di tornare ad acquistare quei titoli del debito che la Bce non vuol più comprare.
Secondo alcuni una panacea per tutti: la Bce smette di riempire la propria cassaforte di titoli dei Piigs, facendo così contenta la signora Merkel; le banche speculano sul differenziale tra il tasso applicato dalla Bce e quello dei titoli del debito, guadagnando così senza sforzo alcuno; gli Stati (Italia in primis) vedono abbassarsi i tassi grazie agli acquisti bancari… E vissero tutti felici e contenti.
Può funzionare un simile schema? Gli Stati garantiscono le banche che garantiscono gli Stati: come tutti i giochini finanziari può reggere per qualche tempo, ma quanto? In questo caso – anche ammettendo che le banche rispettino davvero la parte assegnatagli, e la cosa è assolutamente improbabile, dato che le banche sembrano piuttosto intenzionate ad utilizzare il malloppo per finanziare i propri debiti – esso potrebbe reggere ad una sola condizione: che il tempo guadagnato da questi imbroglioni matricolati serva a drenare nel circuito Stati-banche-Stati dosi massicce di denaro estorto al popolo lavoratore, che è proprio questa l’impresa affidata al governo del professor Quisling.
Questa – non è un mistero per nessuno – la verità, ma dirlo in questo modo farebbe troppo male e la letargia delle masse verrebbe messa a dura prova. Meglio allora il catastrofismo interessato di questo strano periodo della storia nazionale. Fino a pochi mesi fa vigeva un ottimismo altrettanto interessato, cioè la negazione della crisi; oggi, che questo non è più possibile, il timore della catastrofe è l’unico argomento per far accettare il massacro sociale in atto.
Parlare di massacro sociale è forse un’esagerazione? Vediamo: i diritti pensionistici sono stati cancellati, il blocco del turn-over impedirà l’accesso dei giovani al mondo del lavoro, disoccupazione e precarietà troveranno alimento in una fase recessiva che si preannuncia profonda e soprattutto duratura, molti lavoratori anziani verranno espulsi dalle aziende e si ritroveranno per anni senza lavoro e senza pensione, licenziamenti e mobilità (anche nel pubblico impiego) diventeranno più facili per legge, e con la fine del contratto nazionale i salari caleranno ancora, specie nelle piccole aziende.
Cos’è questo se non un autentico massacro sociale? Questa è la vera catastrofe, ed è già iniziata. Essa non ha la forma di un evento improvviso, come una calamità naturale, ma bensì quella di una depressione economica senza fine, all’interno della quale le condizioni delle masse sono destinate a peggiorare sempre più, almeno fino a quando una sollevazione popolare non determinerà una radicale svolta politica, mutando gli indirizzi economici ed il loro segno di classe.
Lo ripetiamo, la catastrofe è già qui, ed è il prodotto del dominio delle oligarchie finanziarie che caratterizzano il capitalismo-casinò. Non si tratta dunque di fronteggiare una calamità naturale. Si tratta di impedire che il disastro causato dal capitalismo reale di questi ultimi decenni sprofondi l’umanità in una crisi di civiltà senza speranza. Per questo non bastano i mezzi della protezione civile, come se si trattasse di un maremoto; per questo è necessaria una rivoluzione. Rivoluzione democratica, diciamo noi, ma profonda e radicale quanto di massa e popolare.