
Qualche previsione sull’anno che verrà
«Ma è possibile che dopo 17 anni non si sia ancora capito che l’antiberlusconismo ultraliberista, moralista e giustizialista è il cancro che ha divorato la coscienza di classe e ci ha regalato Monti?»
Un sondaggio effettuato da Renato Mannheimer il 20 dicembre scorso e pubblicato a pagina 7 del Corriere della Sera del 27 dicembre ci informa che sette italiani su dieci pensano che nel 2012 la situazione economica della propria famiglia resterà negativa com’è adesso o peggiorerà ulteriormente.
Questo sondaggio conferma il clima da ultima spiaggia che si respira nei mercati (quelli rionali) o sugli autobus. Ho partecipato alle fermate di autobus a dibattiti spontanei fra pensionati sulla situazione economica, suscitati dall’annuncio del Comune di Torino di aumentare il costo del biglietto dei mezzi pubblici portandolo da 1 a 1,50 euro. Aumento che scatterà dal 1 febbraio 2012. Ho notato che, tranne che fra gli ultras antiberlusconiani, si va diffondendo la sensazione che l’economia italiana è affetta da mali incurabili, strutturali, la cui origine non può essere addossata solo agli ultimi governi, ma affonda le radici negli anni precedenti, nella mancanza del cosiddetto “piano industriale”.
In una intervista dal significativo titolo “L’industria è scomparsa, con la Panda non si va lontano”, apparsa su Liberazione del 18 dicembre, il professor Luciano Gallino con la consueta chiarezza elenca i guai e i guasti, probabilmente irreversibili, che affliggono l’economia italiana, e che spiegano la sfiducia dei mercati (quelli finanziari) nel futuro dell’Italia. Per rendersi conto di persona dello stato dell’industria, consiglio i torinesi di farsi un giro alla FIAT Mirafiori e/o nella “zona industriale” di corso Allamano.
Un crescente numero di italiani, anche con modeste nozioni di economia, ha compreso che i provvedimenti varati dal governo Monti non risolvono la questione economica principale, che non è il debito pubblico, ma è la crescita economica. Anzi, la manovra del governo Monti, nato dal golpe tecnocratico europeo orchestrato dall’ex comunista pentito e riciclato Giorgio Napolitano (“il mio comunista preferito” come lo chiamava Henry Kissinger) non solo non favorisce la crescita, ma accelera la spirale recessiva già in atto.
Se è vero (ed è vero) che l’Italia è ormai un paese post-industriale, come constata Gallino, e investe pochissimo nella ricerca, l’ultraliberista Monti ha una sola strada percorribile per tentare di rilanciare l’economia italiana e nel contempo salvaguardare i profitti di banche e Confindustria, nonché garantire il pagamento del debito: quella di una ulteriore riduzione del costo del lavoro per portarlo almeno ai livelli dei paesi dell’Europa dell’Est. In Italia, i salari polacchi, serbi o africani non sono una novità, ma sono già presenti: nel sud del nostro paese la forza lavoro, non solo quella extracomunitaria, ma anche quella italiana già da tempo si vende a prezzi irrisori, come si è drammaticamente “scoperto” di recente a Barletta. Anche se questa situazione nel Meridione d’Italia è assai diffusa, non sono da attendersi rivolte popolari, perché questo modello di mercato del lavoro è ormai del tutto normale, e viene accettato di buon grado dai lavoratori che ne usufruiscono.
L’obiettivo del governo Monti per far ripartire la crescita è quello di deregolamentare quanto più possibile il mercato del lavoro, creando condizioni più vantaggiose per gli imprenditori e tentando di adescare investimenti esteri. Per raggiungere questo obiettivo occorre offrire certezze legislative agli imprenditori rivedendo anche la Costituzione, eliminare al più presto le residue sacche di “privilegio” nel mondo del lavoro adeguandosi al sud d’Italia, fare cassa per frenare il debito colpendo i soliti noti, e ridimensionare drasticamente questo welfare che l’Italia non si può più permettere perché non più compatibile con l’attuale fase del capitalismo. Uno dei concetti espressi continuamente dai ministri del governo Monti per giustificare la macelleria sociale è infatti quello che in Italia abbiamo vissuto da sempre al di sopra delle nostre possibilità.
Se così è, chi a sinistra fa finta di difendere le fasce deboli della popolazione chiedendo manovre più eque, oppure non capisce cosa ci azzecchi l’abolizione o la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori col rilancio dell’economia, o è un ingenuo oppure è un mascalzone opportunista. Nella stragrande maggioranza dei casi, propendo per questa seconda ipotesi.
La seconda fase dei provvedimenti della giunta Monti che partirà con il nuovo anno, consisterà nell’individuare, concertare con i sindacati, e mettere in atto gli strumenti più adatti ad attenuare l’impatto di questo adeguamento sociale alle esigenze della nuova fase del capitalismo. Per preservare la “compattezza sociale” tanto raccomandata dal comunista preferito da Kissinger, nessuno dovrà alzarsi ufficialmente perdente dal tavolo della concertazione, e quindi saranno usate con i lavoratori “privilegiati” quantità industriali di vasellina. Sono certo che la frase più usata al termine di una neanche tanto mascherata abolizione o aggiramento dell’articolo 18 sarà: “Non ha perso nessuno, ha vinto l’Italia”.
Qualcuno ha fatto giustamente osservare che la proposta del ministro Crocodylia Fornero, di mandare in soffitta l’articolo 18 sostituendolo con “adeguati ammortizzatori sociali” per i futuri licenziati, non è praticabile perché istituti come ad esempio il reddito minimo garantito per tutti o altro, costano parecchio e questi soldi il governo Monti non li ha. A me appare evidente che la giunta Monti non ha alcuna intenzione di spendere per i futuri ammortizzatori sociali più di quanto spende per quelli già esistenti, ma ne attiverà o rafforzerà due relativamente nuovi, complementari fra loro e a costo zero: le liberalizzazioni e l’evasione fiscale.
Con le liberalizzazioni delle professioni, degli orari di apertura dei negozi, con lo snellimento delle pratiche per l’apertura di attività commerciali (la famosa “burocrazia zero” di Tremonti), eccetera, si presume di assorbire la manodopera espulsa dall’industria o quella giovanile, ottenendo soprattutto il non trascurabile risultato di evitare aggregazioni di disoccupati potenzialmente pericolose per l’ordine pubblico: anziché in piazza a protestare assieme ad altri, ognuno solo nel suo negozietto, “ognuno col suo viaggio, ognuno diverso, ognuno in fondo perso dentro i fatti suoi” come canta il grande Vasco. Naturalmente un fisco assai indulgente permetterà a queste nuove partite IVA di sbarcare il lunario perché occorre assolutamente evitare casi tunisini tipo Mohamed Bouazizi. Quanto potrà durare prima di esplodere una società europea basata su un’economia di tipo africano? Non lo so, ma credo non molto, anche perché la crisi economica, grazie a Monti, ha bruscamente accelerato.
Una cosa di cui invece sono certissimo per il 2012, è che fra non molto, all’approssimarsi della scadenza elettorale, qualcuno a sinistra ci verrà per l’ennesima volta a spiegare che occorre la più ampia unità per battere la solita, pericolosa, antidemocratica destra berlusconiana. Assieme a questa destra ritenuta antidemocratica e pericolosa, il maggior partito della cosiddetta “sinistra”, il PD, non più tardi di dieci giorni fa ha votato la più grande manovra antipopolare di tutta la storia d’Italia. Non se ne può più di appelli a unità di questo tipo.
Obiettivamente la destra di Berlusconi, dal punto di vista sociale non è più pericolosa della destra rappresentata da Monti, anzi. Tanto è vero che per fare macelleria sociale, l’Europa, Confindustria e il comunista preferito da Kissinger hanno dovuto chiamare il professor Monti. In quanto alla questione della democrazia ribadisco in poche righe quanto sostengo da anni: Berlusconi non è la causa del declino e della crisi della democrazia italiana, ma ne è il prodotto. Rivoltando la frase, ripeto: è la crisi della democrazia italiana e della rappresentatività degli interessi dei ceti popolari che produce Berlusconi, e non viceversa come ci vuol far credere la propaganda della “sinistra” liberista e non. Ma è possibile che dopo 17 anni non si sia ancora capito che l’antiberlusconismo ultraliberista/moralista/giustizialista è il cancro che ha divorato la coscienza di classe e ci ha regalato Monti?
Auguri e buona fortuna a tutti.
Torino, 30 dicembre 2011