Un altro pensionato si ammazza – «Anche in Italia, sotto i nostri occhi, si son tolti la vita diversi Mohammed Bouazizi»

Il 17 dicembre del 2010, in una cittadina della Tunisia rurale, Sidi Bouzid, un giovane ambulante si diede fuoco sotto la Prefettura in segno di protesta contro la miseria e i soprusi della polizia. Si chiamava Mohammed Bouazizi. Un gesto disperato ma fu la scintilla che incendiò la prateria. Come all’unisono milioni di cittadini si sollevarono, prima in Tunisia, poi in Egitto, in quasi tutti i paesi arabi.

Regimi totalitari apparentemente inossidabili, tanto più perché sostenuti dall’Occidente, caddero come birilli — a conferma, avrebbe detto Mao, che sono le masse che cambiano davvero la storia. Anche in Italia, sotto i nostri occhi, si son tolti la vita diversi Mohammed Bouazizi.

L’altro ieri, primo gennaio, a Bari, un pensionato di 74 anni si è suicidato gettandosi dal balcone di casa. La ragione ce la spiega un quotidiano: «Avrebbe dovuto restituire cinquemila euro all’Inps, ma la paura di non farcela e di perdere anche la casa nella quale abitava, unica sua proprietà, l’ha divorato, sino a portarlo al suicidio. (…) L’anziano percepiva una pensione sociale di 450 euro e un’altra, per gli anni trascorsi all’estero, di 250 euro, complessivamente 700 euro al mese. Nei giorni scorsi ha ricevuto la lettera dell’Inps nella quale l’ente riferiva di avergli corrisposto indebitamente, per un errore di calcolo, cinquemila euro negli ultimi anni, denaro da restituire con rate di 50 euro al mese».

Non è il primo caso di suicidio causato da ingiustizia sociale. Ce ne sono stati altri soprattutto negli ultimi anni. La statistica non se ne occupa. Gli intellettuali nemmeno. I politici manco a parlarne. Questi casi sono socialmente troppo scandalosi per poterne parlare con la solita superficiale demagogia. Meglio tacere e far finta di niente.

Questo atteggiamento di indifferenza tuttavia, lo assume anche la stragrande maggioranza dei cittadini “normali”. In cuor loro, almeno i tanti che questa crisi economica e sociale fa soffrire, sono toccati da queste notizie, di sicuro hanno sentimenti di empatia e di comprensione verso chi giunge a gesti tanto estremi. E però, alla fine, girano lo sguardo da un’altra parte, fanno finta di niente, continuano nel loro alienante tran tran.

Per cui doppia incazzatura. A quella triste per il suicidio di un proletario, almeno nei cuori delle persone sensibili, si aggiunge l’altra, la rabbia sorda per l’ignavia della gente. Ma com’è possibile che non si faccia come in Tunisia? Quanti altri Bouazizi ci vorranno affinché il popolo di ribelli? Quante altre gocce di sangue dovranno scorrere affinché si ritenga colma la misura? 

In altri termini: quando la quantità si trasformerà in qualità?
Gli scienziati che analizzano i fenomeni fisici e chimici saprebbero dare una risposta certa. Essi risponderebbero, per fare un esempio lampante che, date determinate condizioni e costanti di temperatura e pressione, l’acqua non può che bollire a cento gradi. Potrebbero dunque prevedere il momento esatto in cui il coperchio inizia a sobbalzare.

Non è così nella sfera sociale. Le variabili, le incognite, sono troppe e non calcolabili con esattezza. Allora tutto è lasciato al caso? No. Per quanto non ci sia una corrispondenza automatica tra causa ed effetto, anche la società ubbidisce a determinate leggi causali. Politicamente parlando: non è decisivo discettare sul “momento esatto”, sul “quando” dell’esplosione sociale. In politica conta individuare la tendenza generale, la tendenza dominante o preponderante. E quindi, per chi vuole cambiare lo stato di cose esistente, conta scommettere, puntare sulla tendenza di fondo, agire affinché essa possa dispiegarsi pienamente.

E’ una questione di rapporti di forza. Senza forza non si cambierà niente, e la massima espressione di forza non è l’azione minoritaria di questo o quel gruppo, fosse anche di pistoleros. La forza sociale al suo massimo grado è quella che solo grandi masse in movimento possono dispiegare.

Compito della “minoranze creative”, delle “avanguardie” come si sarebbero detto un tempo, non è dunque tanto quello di scatenare artificialmente il conflitto, ma di attrezzarsi a dargli una direzione, uno sbocco politico.

Questo non vuol dire affatto starsene alla finestra. Possono presentarsi situazioni in cui occorre dare l’esempio, far sì che certe battaglie diventino esemplari e conducano alla vittoria, per quanto parziale. Tuttavia due sono i compiti fondamentali delle “minoranze creative”. Il più importante, certamente, è raggiungere la necessaria massa critica per poter, al momento opportuno, orientare l’inevitabile sollevazione popolare.  Ma questo obiettivo, a sua volta, dipende da un altro: possedere idee chiare sulle cose da fare per orientare la sollevazione, poiché è solo grazie a queste idee che è possibile innescare un processo virtuoso di raggruppamento di forze, convincere migliaia di cittadini all’impegno politico, a partire da quelli più sfruttati e oppressi.

Il lettore penserà, a questo punto, che ho dato a questo mio intervento un titolo “ingannevole” visto che non so dire quando il vaso traboccherà. Sono tuttavia certo che la temperatura sta aumentando e che il coperchio salterà. Per essere più preciso: penso che non manca molto ad un nuovo collasso finanziario ed economico, che andiamo verso un default combinato bancario e dei debiti sovrani. Penso che il luogo di questo collasso imminente sarà l’Europa e che l’epicentro sarà l’Italia. Il governo Monti sarà obbligato e prendere misure antipopolari ben più draconiane per salvare il sistema. Dovrà rastrellare una montagna di soldi, dovrà attuare una colossale rapina sociale. 

Non sarà una goccia ma un flusso. La temperatura sociale salirà improvvisamente. Non è questione di anni, è questione di mesi.

Solo degli irresponsabili possono restare alla finestra. Solo dei miopi possono ancora giocare alla “politica di sinistra”, continuando a fare a rimpiattino col Partito democratico, puntando tutto o quasi sull’ipotesi elettorale. Chi ha sale in zucca deve mollare l’ancora, avere il coraggio di lanciare l’allarme e di chiamare a raccolta, su un programma politico d’emergenza coloro che non hanno paura e che sentono che siamo alle porte di una svolta storica.

Per questo, tra l’incudine della confusione e del disincanto, e il martello della catastrofe storica che incombe, ritengo anch’io che vada dato un segnale. Che l’assemblea del 4-5 febbraio del Movimento Popolare di Liberazione possa esserlo.

da Sollevazione