In risposta a Piero Pagliani sugli aspetti geopolitici dell’uscita dall’euro

Alternativa, il movimento di Giulietto Chiesa, il 21 e 22 gennaio prossimi, svolgerà la sua seconda assemblea nazionale. Uno dei punti dirimenti della discussione è se si debba o no uscire dall’euro e dall’Unione europea. Contro l’uscita è sceso in campo Piero Pagliani. Un intervento, il suo, che mette in fila le ragioni per cui sarebbe meglio restare nell’Unione e tenersi la moneta unica. Qui sotto la risposta di Moreno Pasquinelli.

Premessa

Alternativa è divisa sulla questione dell’uscita dall’Unione europea e dall’euro. Il dibattito, prima solo informale, ha compiuto un salto di qualità il primo gennaio con l’intervento pro-euro di Giulietto Chiesa [Riflessioni su alcuni orientamenti tattici e strategici di Alternativa].

In risposta a Chiesa, muovendo obiezioni davvero consistenti, sono scesi in campo altri esponenti di Alternativa. Prima Marino Badiale e Fabrizio Tringali [Liberi dall’euro e dai vincoli Ue: osservazioni all’intervento di Giulietto Chiesa], ed infine Stefano D’Andrea [La gabbia europea e l’orticello nazionale].

In soccorso a Chiesa è quindi giunto, il sei gennaio, Piero Pagliani. [1992-2012 Sovranità politica e monetaria. Contributo alla seconda assemblea nazionale di Alternativa]

Un intervento complesso, lungo, che affronta la questione dell’euro e dell’Unione europea dal punto di vista prima economico e poi geopolitico. Mi occupo solo di questo secondo aspetto, e non del lato squisitamente economico per due ragioni. Anzitutto perché sulla natura squinternata della moneta unica e sulla sua consunzione abbiamo scritto a iosa, non solo noi, ma pure gran parte della “comunità scientifica”. Il secondo perché gli argomenti di economia politica portati dal Pagliani a difesa dell’euro, essendo una riproposizione della vulgata degli “euristi” di regime, hanno già ricevuto su questo sito numerose risposte.

L’argomento forte del Pagliani è quindi di natura geopolitica. Ed è qui che ci pare doveroso, con pieno rispetto per il dibattito in Alternativa, dire la nostra.

Come nasce l’Unione europea

Pagliani esordisce affermando che il suo contributo affianca quello di Chiesa a favore dell’euro e dell’Unione europea, “del quale condivide totalmente l’impostazione”.  Il punto di partenza dell’argomentazione di Chiesa è una chicca formidabile. Chiesa afferma infatti:

«L’Unione Europea non è nata come la conosciamo oggi. E’ stata una grande e forte idea, nata dalle riflessioni sulla fine della guerra. Un’idea che, alle sue origini, era di pace. E che, se riportata alle sue opzioni originarie, può consentire la pace tra le nazioni e i popoli europei. La valenza culturale e politica di una parola d’ordine come quella di uscire dall’Europa è, a mio avviso, del tutto negativa. Lancia un messaggio regressivo, di chiusura provincialistica, di ristrettezza culturale, di isolazionismo. Alternativa non può fare propria una tale linea perché contraddirebbe se stessa nel momento in cui si propone come movimento transnazionale. Per unificare cosa e chi, se noi per primi ci ritiriamo nel nostro orticello nazionale?». [Giulietto Chiesa. Riflessioni su alcuni orientamenti tattici e strategici di Alternativa]

Ma quale film ha visto Chiesa?
Egli cade con tutti e due i piedi nella trappola ideologica delle classi dominanti, che come sempre, rivestono dei più nobili ideali i loro più meschini interessi. Viene facile sbugiardare le potenze occidentali sulle piccole cose, più difficile smascherare le loro menzogne su quelle grandi. Accreditare la tesi che l’Unione europea nacque per portare la pace in Europa è una bugia dieci volte più grave di quella che afferma, che so, che la NATO è intervenuta in Libia per portare la democrazia.

L’Unione non fu affatto istituita per realizzare gli ideali di pace e di unione tra i popoli europei ma, ben al contrario, nacque in piena Guerra fredda come atto di forza imperialista e divisionista e ostile verso l’altra metà dell’Europa. L’Unione nacque allo scopo di meglio contrastare la “minaccia sovietica e comunista”, di rinsaldare la sudditanza dell’Europa occidentale agli Stati uniti, in vista di un redde rationem con l’URSS staliniana.

La controprova inoppugnabile è che essa sorse come protesi della NATO, per questo venne consacrata dagli Stati Uniti d’America che fecero dell’Europa occidentale uno spazio politico a sovranità limitata, sottoposto alla giurisdizione imperiale.

Basta ritornare indietro per vedere che i sei paesi che diedero vita nel 1950 al primo nucleo dell’Unione (la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, Ceca) erano tutti membri fondatori dell’alleanza militare euro-atlantica. La controprova è che tutti, ma proprio tutti i partiti comunisti, compresi alcuni socialisti e la gran parte dell’estrema sinistra del tempo denunciarono come imperialisti e una minaccia per la pace i Trattati di Roma del 1957 che istituirono la Comunità economica europea (Cee).
Questa avversione della sinistra europea rimase intatta nel 1983, quando, con la guerra fredda al suo apice (installazione dei missili americani Pershing e Cruise puntati contro l’altra metà dell’Europa), venne firmata la Dichiarazione solenne che avrebbe portato dieci anni dopo (Trattato di Maastricht) alla fondazione dell’Unione europea. Soltanto i cosiddetti “eurocomunisti”, tra cui il Pci, sostennero questi passaggi, non a caso, visto che nel frattempo avevano accettato di difendere la NATO.

Non è ammissibile, se si ha a cuore la verità storica, rimuovere il peccato originale che diede vita all’Unione. Imbellettare la sua natura costitutivamente divisionista e imperialista non è nell’interesse del popolo lavoratore ma di quello delle classi dominanti, avvezze a camuffare i loro disegni egemonici e strategici con gli specchietti per le allodole della pace, della democrazia, dei diritti umani, del progresso. E’ dunque doveroso mettere in guardia chi afferma di lottare contro l’imperialismo dal non cadere in trappola poiché si finisce per diventare spacciatori di menzogna.

La visione geopolitica del Pagliani

E’ come minimo singolare che Pagliani, che non perde occasione per sottolineare l’importanza dell’aspetto geo-politico delle questioni, sorvoli candidamente sull’indelebile peccato originale da cui sorse l’Unione europea. Così facendo non solo si getta alle ortiche la memoria storica del movimento operaio, si rimuove un intero periodo storico cancellando radici e cause della più grande catastrofe storica subita nel ‘900 e simboleggiata dalla caduta, prima del Muro di Berlino e poi dell’URSS. Senza dimenticare che, in parallelo, è proprio in nome del grande inganno europeista che il movimento operaio ha dovuto sacrificare le sue storiche conquiste.

Probabilmente consapevole di questa gravissima rimozione, e tenuto a spiegarci perché mai dovremmo, non solo restare nell’Unione europea, ma addirittura difenderla obtorto collo e tenerci stretta la moneta unica, Pagliani si rifugia in una sottile diavoleria: il concetto di eterogenesi dei fini.

“Va bene — sembra ammettere Pagliani senza tuttavia smentire la  sciocchezza di Chiesa —, forse l’Unione e l’euro che ne rappresenta il punto d’approdo, sono nati storpi, brutti, imperialisti e neoliberisti, ma a dispetto degli artefici e delle loro finalità, essi sono diventati belli, progressisti, per cui sarebbe sbagliato e reazionario sbarazzarsene”.

Sentiamo il Pagliani. La citazione è lunga ma necessaria per coglierne il senso, le sfumature e le implicazioni.

«L’eterogenesi dei fini non permette ad un progetto di avere esattamente l’esito voluto. Non lo permetterebbe a forze esigue come siamo noi e i nostri alleati oggi. Questo è facile da capire ed è proprio su questo che invito alla riflessione politica per non imbarcarci in parole d’ordine fuori dal nostro controllo. Ma non lo permette nemmeno a chi è più potente di noi. E su questo snodo si incardina la questione se l’euro sia o no una minaccia per il dollaro. Per i fautori dell’uscita dall’euro la risposta è chiara: l’euro non ha mai costituito una minaccia per l’egemonia americana. In linea teorica è del tutto vero, e abbiamo visto i convincenti argomenti che erano stati addotti dagli USA. Ma l’eterogenesi dei fini ci racconta un’altra storia.
Seppure l’intendimento degli euristi non sia stato antiegemonista, cioè non fosse mai stato quello di contrastare l’egemonia planetaria statunitense, la presenza dell’euro sul mercato valutario è un’oggettiva alternativa al dollaro.
(…) Insomma, l’euro progettualmente privato di ogni valenza o tentazione politica è finito per essere un oggetto di contesa politica internazionale malgré lui.
Ecco quindi che l’attacco speculativo alla moneta unica assume un colore egemonista imprevisto ma abbastanza netto.
Da una parte gli USA devono rendere poco appetibile l’euro mostrandone tutta la debolezza politica. Non potendo attaccare il suo possente cuore tedesco, attaccano le deboli gambe di periferia. Con la Germania, renitente alla leva antilibica, dovrà invece rinegoziare posizioni di privilegio da viceré. Se possibile.
E questo è il primo motivo. Il secondo è che la posizione tedesca rischia veramente di far andare al macero trilioni di dollari di capitale fittizio (o capitale fuffa).
Lo scontro tra mondo anglosassone e mondo tedesco è come un gigantesco scontro tra economia finanziaria ed economia reale.
L’euro indebolito sembra aver perso per ora i favori di alcuni dei Paesi emergenti. Già i BRICS avevano deciso di denominare le loro transazioni bilaterali preferenzialmente nelle valute nazionali. E’ notizia fresca che lo stesso avverrà tra Cina e Giappone. Ciò spingerà gli USA non ad allentare, bensì a cercare di aumentare la presa sui Paesi dell’Europa mediterranea. E’ una questione prima geopolitica e solo dopo economica e la cintura d’instabilità della sponda Sud del Mediterraneo è parte della trappola
». [ sottolineature mie].

Sottile diavoleria, dicevamo, questa dell’eterogenesi dei fini, la quale, sia detto per inciso, non ha alcuna valenza scientifica, ma è solo una metafora concettuale del filosofo. Un concetto che tuttavia il Pagliani pare interpretare nel modo più radicale, ovvero non alla maniera hegeliana, per cui il risultato dell’azione degli uomini  spesso non corrisponde a quanto essi si propongono, ma alla maniera vichiana, per cui il risultato di dette azioni  è quasi sempre opposto ai loro intendimenti. Di qui il pessimismo ontologico del Manzoni il quale, non riponendo alcuna fiducia nell’azione politica, si affidava alla Divina Provvidenza.

In buona sostanza Pagliani afferma che, malgrado l’Unione europea e la moneta unica siano stati concepiti entrambi all’ombra dell’egemonia imperiale statunitense, essi sono diventati non solo un freno alla supremazia americana, ma un vero e proprio antagonista al dominio americano e del dollaro.

Di qui la sua lettura della consunzione dell’euro, che non sarebbe  determinata, come noi in effetti pensiamo, dalle sue native illogicità e antinomie — che la crisi globale ha solo portato alla luce e che la politica delle autorità tedesche ha aggravato —, bensì dal disegno egemonistico degli Stati Uniti che vedono l’euro come un pericolo mortale, una moneta da fare fuori.

Anche qui: che film ha visto Pagliani?

Sudditi siamo costretti ad essere: o degli Usa o della Germania?

Il Nostro osa spingersi più avanti ancora. Dato che la Germania è il “possente cuore” dell’Unione e dell’euro, tutte le forze antagoniste europee, tra cui noi italiani compresi, dovremmo smetterla di fantasticare la riconquista di una presunta sovranità nazionale ma, al contrario, prendere atto che l’Italia, quella sovranità l’ha irrimediabilmente ceduta, che è oramai solo solo un vaso di coccio tra i giganti americano e tedesco, e dunque non ci resterebbe, dato che gli Usa sono il nemico principale, non tanto allearci alla Germania, che tanto poco oramai contiamo, ma adeguarsi ai rapporti di forza e ottemperare alle ambizioni imperiali di Berlino.

Questa posizione — che detto di passata trova i suoi difensori in pezzi da novanta dell’establishment finanziario e politico italiano, detto brutalmente proprio in alcuni degli sponsor del governo Monti — non è solo irricevibile dal punto di vista dei principi, è del tutto sballata nei fondamentali.

Dal punto di vista dei principi è una palese violenza al principio lenininiano per cui, nella competizione tra predoni imperialisti, il movimento dei lavoratori non può fare da truppa cammellata né all’uno né all’altro e, in caso di conflitto aperto sabotare il conflitto inter-imperialista per “trasformarlo in guerra civile”, per rovesciare la propria borghesia.

Il fatto è che questa lettura sintetica della crisi dell’euro è fasulla, e sta alla realtà quanto i prodotti tossici della finanza creativa stanno all’economia reale.

Né dal punto di vista politico, né da quello economico, le classi dominanti tedesche stanno sfidando né si sognano di sfidare l’egemonia statunitense. Lo può confermare chiunque abbia un minimo di dimestichezza col dibattito politico tedesco. L’unico, pallido elemento che Pagliani porta a suo sostegno è l’astensione tedesca (che fu un avallo e non un’opposizione reale) sull’aggressione alla Libia. Di contro a questo argomento, per segnalare la sudditanza strategica della Germania agli USA, se ne potrebbero portare  decine di altri, di cui il più importante è che la Germania resta , dal punto di vista strategico, il “possente cuore” militare del dominio americano in Europa. Risulta al Pagliani che ci sia anche solo una forza politica tedesca che chiede l’uscita dalla NATO o lo smantellamento delle enormi basi americane?

E dovrebbe far riflettere il Nostro che proprio in questi giorni Obama abbia dichiarato che gli USA dimezzeranno la loro presenza militare in Europa. Decisione quanto meno strana ove gli USA davvero temessero realmente un “revanchismo tedesco”, se dunque stessero tramando per ammazzare l’euro, quindi l’Unione, col precipitato di esplosivi subbugli geopolitici  e sconquassi sociali che questa morte porterà inevitabilmente con sé.

La verità sta tutta al polo opposto.
Gli Stati uniti non ostacolarono ma auspicarono ieri la creazione del mercato comune europeo prima e la nascita dell’euro poi, e oggi se ne fanno difensori perché essi erano e sono del tutto funzionali ai loro interessi. L’Europa è in assoluto non solo il principale partner economico degli USA, ma la seconda gamba strategica grazie alla quale si regge in piedi l’impero globale americano. Se non c’è alcuna traccia che pezzi di ceto politico tedesco (tranne i rottami nazisti) immaginino di entrare in conflitto con gli USA, nemmeno ce n’è che l’assalto all’euro sia un piano deliberato della Casa Bianca.
L’attacco all’euro evidentemente esiste ma questo non grazie ma a dispetto della volontà del governo americano, del Pentagono o della NATO.

Da chi è portato questo attacco? Davvero solo dalla finanza anglo-americana? No, l’attacco è da parte della finanza globale, tedesca compresa, che semplicemente si sbarazza delle obbligazioni bancarie europee e dei titoli di debito europei perché non vuole lasciarci le penne, perché da per scontato un crollo monetario e finanziario della moneta unica e dell’Unione. E’ il capitalismo bellezza! Un capitalismo finanziarizzato in cui i grandi giocatori non ubbidiscono ai governi, o a disegni politici di lungo periodo, ma al semplice impulso a fare quattrini, spesso in barba alle direttive politiche della Casa Bianca, che non ha alcun interesse a mutilare il proprio principale alleato, a scatenare una catastrofe monetaria ed economica che avrebbe effetti dirompenti non solo sull’economia USA, ma sugli equilibri mondiali.

Basta analizzare i flussi e le transazioni finanziari avvenuti nell’ultimo anno nelle borse mondiali per verificare in maniera inoppugnabile che non sono solo i pescecani americani e inglesi a sbarazzarsi dei titoli europei. Stessa cosa stanno facendo gli arabi, il Giappone, la Cina, la Russia, i gruppi finanziari e bancari latinoamericani. Lo stesso Pagliani è costretto ad ammettere che «Già i BRICS avevano deciso di denominare le loro transazioni bilaterali preferenzialmente nelle loro valute nazionali», evitando quindi di utilizzare l’euro. Ma il nostro non ne tira le dovute conseguenze, ovvero che la consunzione dell’euro è un processo oggettivo, portato dei suoi difetti strutturali resi irreparabili dalla crisi esplosa nel 2007-2009.

Deciso a trasformarci in ascari dei tedeschi (di qui una certa empatia per il Gauleiter-Monti che si legge tra le righe) Pagliani argomenta che lo scontro in atto tra l’area anglosassone e la Germania è una vera e propria “guerra dei mondi” «… un gigantesco scontro tra economia finanziaria ed economia reale». Uno scontro tra modelli antagonisti di capitalismo.

Anche quest’argomento di ultima istanza è fallace, frutto di una visione stereotipata, irreale, priva di ogni evidenza empirica. Non solo gli Stati Uniti restano di gran lunga la principale potenza industriale. Se confrontiamo il contributo dell’industria ai rispettivi Pil è facile vedere che non ci sono molte differenze e che quello della Germania come “solido paese industriale” è un mito. Sia gli Stati Uniti che la Germania hanno subito un processo parallelo di fortissima deindustrializzazione e di crescita abnorme del settore dei servizi. Abbiamo (stime 2010) che negli Usa l’industria contribuisce al Pil per il 22 % e i servizi per il 76%. In Germania non è così diverso: industria 27%, servizi 71%. L’Italia, come tutto l’Occidente, ha seguito lo stesso andazzo: industria 25%, servizi 73%.

Tra i servizi, com’è noto, un ruolo principe, ce l’hanno le attività finanziarie e bancarie che, come si vede, sono decisamente preponderanti anche in Germania, il cui sistema finanziario e bancario partecipa a man bassa nella bisca del mondiale capitalismo-casinò — e che è anzi primo responsabile (altro che quelli inglesi o americani!) della speculazione parassitica sui debiti sovrani dei paesi europei. Ma questo è un fatto arcinoto, su cui il Pagliani, per far quadrare i suoi conti e accreditare il mito della Germania industriosa e virtuosa, sorvola.

Non solo un mito, quest’ultimo, ma una volgare narrazione dei meschini politicanti tedeschi, quelli conservatori alla Merkel in primis, inventata ad uso e consumo dei sudditi tedeschi per nascondere loro che anche il capitalismo teutonico è un malato grave e per illuderli che la “colpa” è dei “fannulloni mediterranei e latini”. Che questi politicanti abbiano tutto l’interesse a diffondere simili scemenze è comprensibile, non è  ammissibile che se ne facciano carico in Italia dei compagni, i quali giungono addirittura a imbellettare la demagogia dei merkeliani attribuendo a questi nani chissà quali recondite visioni geopolitiche.

V’è un ulteriore gravissimo errore nel ragionamento di Pagliani. Egli sembra affetto dalla medesima illusione economicista e monetarista dei demiurghi europeisti. Questi ritennero che dando vita alla moneta unica, come per gemmazione, sarebbe seguita l’unificazione politica. Disegno miseramente fallito, come si vede. Pagliani sembra infatti consapevole della nanitudine dei politicanti euristi e tedeschi, che essi non perseguono un disegno anti-americano. Il nostro crede tuttavia che questo sganciamento si imporrà per logica sua propria, basta solo che passi la nottata, che l’euro resista agli attacchi. In altre parole, egli ritiene che la moneta unica sia motore e causa efficiente di una Grande Europa imperialista antagonista agli Stati Uniti.

Un fasullo ragionamento economicista e meccanicista, che sfocia in un’inammissibile cedimento all’ideologia imperialistica.

Abbiamo detto che non avremmo trattato in questa sede degli aspetti squisitamente economici della questione della consunzione dell’euro. Un’eccezione qui dobbiamo tuttavia farla. La posizione politica del Pagliani, se ha un senso, conduce a sostenere, fosse anche solo come “male minore”, l’approccio monetarista tedesco alla crisi dell’eurozona, ad appoggiare la teutonica accanita difesa delle clausole di Mastricht, e quindi la rigida posizione della Bundesbank, che si oppone a che la Bce funga da prestatore di ultima istanza (lender of last resort), a respingere che la Bce acquisti non solo sul secondario i titoli di stato dei vari paesi, ad opporsi a che stampi moneta in funzione antirecessiva. A difendere la tetragona decisione della Bundesbank ostile all’emissione di Eurobond.

Pagliani dovrebbe prestare più ascolto, se non a noi, alla gran parte degli analisti ed economisti, anche tedeschi, che non solo ritengono che questa linea sia del tutto sbagliata, non solo che essa sia suicida, ma che sia la causa principale, come minimo, del recente tracollo finanziario europeo. Gli “anglosassoni”, da almeno tre anni, chiedono una politica economica e monetaria esattamente opposta, in poche parole un quantitative easing della Bce il quale, se volete che ve la dica tutta, non risolverà i fattori di fondo della crisi del capitalismo, ma di certo è la sola terapia per evitare il tracollo catastrofico imminente.

Altro che piano anglosassone! A voler fare i dietrologi, se proprio c’è un complotto o disegno per ammazzare l’euro, questo è proprio quello tedesco. Autorità tedesche che, preso atto del fallimento della moneta unica europea, forse puntano ad un più modesto mini-euro cucito su misura. Altro che disegno imperiale!

Di passata: avanzare l’obbiettivo dell’uscita dall’Unione dall’euro non implica affatto accettare una visione nazionalistica, fare concessioni ad idee autarchiche. Come scriviamo nel nostro Manifesto, allo sganciamento economico e geopolitico dal declinante blocco imperialista, può e deve corrispondere un diverso e nuovo posizionamento geopolitico dell’Italia. L’abbiamo detto: noi pensiamo ad una ALBA mediterranea, guardando a sud, est e ovest, e non per forza al nord, e tenendo conto di quello che è lo spazio storico “naturale” del nostro paese. Ma su questo avremo modo di tornare.

Sovranità e sollevazione

All’eterogenesi dei fini il Pagliani ricorre anche per metterci in guardia che, perseguendo l’obbiettivo della sovranità politica del nostro paese, e quindi l’uscita dall’Unione e dall’eurozona, determineremmo, malgré nous, la vittoria degli americani, della perfida Albione, quindi del peggior capitalismo.

Dovremmo levarci dalla testa quest’obbiettivo, non perché sia ingiusto in sé, ma perché velleitario data la nostra debolezza e dunque con effetti opposti a quelli desiderati. A parte che non riusciamo a capire quale possa essere la differenza tra soggiacere come satrapia ai tedeschi o agli americani — vallo a chiedere ai lavoratori, che non hanno risparmi in paradiso, che ne pensano della terapia shock impostaci via Monti dalla Germania, e se non preferirebbero la politica espansiva “anglosassone” — chiediamo a Pagliani: e come conquistiamo peso politico e forza d’urto? Forse dicendo alle masse popolari di mettersi l’anima in pace, di subire passivamente le terapie recessive made in Germany? Se la risposta è no, non ne consegue che per aiutare la resistenza popolare contro la cura da cavallo Monti-Merkel-Bundesbank, per darle respiro strategico, occorre indicare un programma antagonista, un orizzonte, un altro modello di società? Se dicessimo ai lavoratori e agli italiani che non ci resta che piangere, ovvero sottostare alla pulsione di morte tedesca, incoraggeremmo forse alla resistenza? Indicheremmo forse ai lavoratori una prospettiva per cui valga la pena combattere? Evidente che no!

Pagliani qui confessa il lignaggio geopoliticista del suo pensiero (geopolitica, non dimentichiamolo mai, che come “scienza” nacque con un marchio di destra e conobbe il suo fulgore proprio in Germania). Nella geopolitica le nazioni sono dotate di uno spirito, hanno una missione e un destino, e gli Stati che lo incarnano, attraverso le élite, sono i demiurghi della storia.
Il Nostro non vede le classi sociali, il tormento e la sofferenza creativa delle masse popolari, l’energia positiva che possono sprigionare – e che è la sola leva per cambiare lo stato di cose esistente. Corriamo dei rischi chiamando alla lotta per un default programmato sul debito? Proponendo l’uscita dall’euro e dall’Unione? Rivendicando la sovranità monetaria (che è solo un aspetto di quella politica)? E grazie!

E’ evidente che senza una sollevazione popolare, senza un cambio di regime, la fine dell’euro, che è nell’ordine delle cose e non frutto di elucubrazioni soggettivistiche, sarà pilotata dalle classi dominanti e avrà pesantissime conseguenze sulle masse popolari. Appunto quella che noi chiamiamo la “catastrofe imminente” che potrebbe anche produrre una svolta reazionaria.

Ma questo discorso vale per ogni passaggio dirimente, per ogni processo eversivo, per ogni svolta storica. Chi non vuole correre dei rischi è meglio che non si immischi con la politica rivoluzionaria, che è sintesi di pensiero profondo e azione audace. Ad ogni tornante  storico le forze socialiste possono uscirne sconfitte. Ma questo non giustifica né una postura attendista, né il fatalismo, né tantomeno attaccarsi alla sottana dell’imperialismo tedesco — chi non crede nella forza rivoluzionaria delle masse finisce sempre per mettersi al servizio del potente di turno, magari con l’alibi del menopeggismo.

Le masse lavoratrici italiane sono oggi incapaci di assolvere alcun compito storico. Sembrano in uno stato apatico e comatoso. Ma se lo sono è anche perché coloro che presumono di saperne di più, oltre a non credere in loro non credono neanche in se stessi. Non saranno in effetti “tutte” queste masse a rizzarsi in piedi, questo scatto lo farà la gioventù precaria, sfruttata, oppressa, condannata ad una vita di schiavitù. Chi è morso dal dubbio, chi invece di preparare la sollevazione si piange addosso o cerca dei supplenti alla forza motrice popolare dovrebbe avere il coraggio di farsi da parte.

Il Pagliani, ricorrendo all’escamotage dell’eterogenesi dei fini, ci risponde a noi che diciamo che la catastrofe può essere evitata solo costituendo un governo d’emergenza popolare, che siamo ingenui visionari, ma cosa egli ci propone in alternativa? Di starcene buoni e assecondare le presunte ambizioni neoimperialistiche dei tedeschi.

Quest’esito non è solo inaccettabile da ogni punto di vista, morale, politico e strategico. Quest’esito è un suicidio, non foss’altro perché risulta da un’analisi e un giudizio delle forze in campo sbagliati, perché propone di correr dietro ad un fantasma.
Non siamo noi i visionari, gli avventuristi, ma chi, scambiando fischi per fiaschi, ci propone di sacrificarci per resuscitare il cadavere del Reich.