Il grande inganno delle liberalizzazioni

Il caso dell’energia – In risposta ad un articolo di Massimo Mucchetti

Il governo sta per varare il decreto sulle liberalizzazioni. Un’altra mazzata al popolo lavoratore, basti pensare al via libera ai licenziamenti discriminatori, ottenuto con l’aggiramento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Che le liberalizzazioni abbiano ben poco a che fare con la mitica «crescita» è del tutto evidente. Anzi, la crisi globale del capitalismo è scoppiata proprio al culmine dell’età dell’oro delle privatizzazioni, che con le liberalizzazioni fanno da sempre coppia fissa ed indissolubile.

Dalle indiscrezioni di stampa si sa che il governo dei «professori» vuole procedere a tutto campo, tra l’altro con una forte spinta alla privatizzazione dei servizi pubblici locali, alla faccia del pronunciamento popolare nel referendum dello scorso giugno. Torneremo senz’altro in maniera più compiuta sull’intera materia, quando i contenuti del decreto saranno noti. In questo articolo ci limiteremo invece ad un aspetto specifico, quello dell’energia, una questione di cui si è occupato ieri Massimo Mucchetti sulle pagine del Corriere della Sera.

Dopo molte sparate, sembra che il decreto tratti di energia solo a proposito di liberalizzazione della distribuzione di carburanti, mentre i «professori» hanno pensato bene di fermarsi davanti ai giganteschi interessi dei veri padroni dell’energia, Enel ed Eni in primo luogo. Mucchetti, rendendosi conto dell’imbarazzante situazione, tenta una spiegazione delle ragioni dei prezzi elevati che le famiglie italiane pagano per l’energia elettrica ed il gas. Ne viene fuori un’analisi piuttosto debole e strampalata, che esamina diversi aspetti, ma non quello più importante: gli scandalosi profitti che vengono garantiti ai colossi privati che hanno preso il posto dei vecchi monopoli pubblici.

Per l’editorialista del Corriere, in Italia l’energia elettrica sarebbe più cara che nel resto d’Europa (per le famiglie, con l’eccezione di quelle con più bassi consumi, un 12% in più) a causa di 2 fattori: la rinuncia al nucleare e gli incentivi alle fonti rinnovabili. Certo, Mucchetti riconosce lo scandalo delle decine di miliardi di euro regalati ad Enel e company con il Cip6, con il quale si fece diventare il gas una fonte «rinnovabile», con uno dei tanti miracoli di cui è spesso capace il fronte bipartisan degli affari, ma su nucleare e rinnovabili finisce per ripetere i soliti luoghi comuni.

Ormai tutti sanno (o meglio, dovrebbero sapere) che il nucleare – oltre alla sua pericolosità, di cui l’articolista non parla, quasi scordandosi di Fukushima – non è affatto economico. Riproporre questo tema, oltretutto nel momento in cui molti paesi stanno facendo dietrofront, è veramente assurdo, ed ha un’unica spiegazione: il tentativo di mascherare la vera ragione dei costi elevati dell’energia elettrica.

Sulle rinnovabili, è senz’altro vero che le politiche governative sono state alquanto confuse, al punto di aver dato una fortissima spinta al fotovoltaico senza aver prima predisposto una vera filiera industriale nazionale del settore. Il risultato – lo ricorda l’articolista citando l’ex ministro Clò – è che nell’ultimo anno l’Italia ha importato pannelli ed altri apparati per il fotovoltaico per l’enorme cifra di 11 miliardi. Un fatto che dimostra come il problema non sia la scarsa liberalizzazione, quanto piuttosto l’assenza di una politica industriale. Assenza che si spiega proprio in virtù della scelta ultra-liberista dell’intera classe politica.

Quello che comunque Mucchetti non dice è che anche nel settore delle rinnovabili grandi sono stati i regali fatti non alle famiglie che hanno coperto il tetto della propria casa con i pannelli solari, quanto piuttosto alle principali aziende produttrici (Enel in primis), che molto spesso hanno incassato i lucrosissimi “certificati verdi” (specie nel settore idroelettrico) con interventi impiantistici che non hanno aggiunto un solo chilowattora da fonte rinnovabile. Una vera e propria truffa di cui ben poco si parla e che ha dato il suo contributo all’aumento delle bollette.

Se questa è la situazione nel comparto elettrico, in quello del gas le cose non vanno diversamente. Mucchetti ricorda il caso del metano, che al confine italo-austriaco di Tarvisio è quotato 32 euro a Mwh, contro i 24 euro del confine austro-slovacco di Baumgarten. Un 33% in più che va ad ingrassare le casse della multinazionale guidata da Paolo Scaroni.

E qui arriviamo al punto: i profitti di Enel ed Eni, ma anche di altre aziende «minori» del comparto energetico. Nel settore elettrico il meccanismo che consente di lucrare a man bassa si chiama «Borsa elettrica». E’ il luogo dove avviene la vendita all’ingrosso del chilowattora, un luogo ben lontano da occhi indiscreti, della cui istituzione si fece un gran vanto, nel 1999, l’allora ministro Bersani. La Borsa elettrica è anche il luogo dove, componendosi gli interessi delle principali aziende produttrici, si determinano le condizioni per far lievitare le bollette pagate dai consumatori, altro che le «motivazioni» di Mucchetti!

Quel che i liberalizzatori omettono sempre di dire è che in genere la fine dei monopoli determina la nascita di oligopoli ancor più assetati di denaro. I vecchi monopoli erano di proprietà statale, non dovevano distribuire dividendi e dunque avevano al massimo l’obiettivo del pareggio di bilancio. Oggi, ormai da moltissimi anni, gli ex monopolisti realizzano invece utili giganteschi, assai superiori a quelli delle omologhe aziende europee.

E la concorrenza? Ovviamente non c’è. Al suo posto c’è il ben più redditizio accordo oligopolistico tra i maggiori protagonisti di un «mercato» che è solo una finzione per i gonzi. Ecco l’esito delle principali liberalizzazioni della fine del secolo scorso…

Sta di fatto che gli utili dell’Enel viaggiano ormai da molti anni sopra i 5 miliardi di euro, mentre quelli dell’Eni ammontavano nel 2010 a 6,32 miliardi! Cifre enormi, che ci dicono che se al posto delle aziende private avessimo due società nazionalizzate, si potrebbero abbassare agevolmente i prezzi dell’energia.

A questo punto del ragionamento qualcuno obietterà che gli utili sono comunque necessari per poter effettuare gli altrettanto necessari investimenti, a loro volta indispensabili per sostenere l’economia nazionale. Errore! Doppio errore! In primo luogo buona parte degli utili se ne va nella distribuzione dei dividendi agli azionisti, ed è proprio questo l’elemento decisivo che orienta l’elaborazione delle strategie aziendali. In secondo luogo, gli utili reinvestiti se ne vanno quasi tutti all’estero. Le attività nazionali dell’Eni sono solo una piccolissima parte di quelle globali. E per quanto riguarda l’Enel – azienda italianissima al 100% fino a 12 anni fa –  basti dire che oltre il 50% del fatturato viene fatto all’estero e che nel futuro questa tendenza non potrà che rafforzarsi.

La liberalizzazione del settore energetico è stata dunque disastrosa per l’economia nazionale. Ed ancor più disastrosa è stata per i bilanci familiari dei lavoratori italiani. A questo punto, lasciando perdere le tesi assai risibili esposte ieri da Mucchetti, è così difficile capire perché insistiamo tanto (vedi la bozza di manifesto per la costituzione del Mpl) sulla nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia?