Dei Forconi e dell’ammucchiata dei loro nemici
La sollevazione popolare in Sicilia Monti non se l’aspettava. Non se l’aspettavano le forze politiche che lo sostengono. Non se l’aspettava la sinistra dei piagnoni. Non se l’aspettavano gli intellettuali da salotto al-di-la-della-destra-e-della-sinistra.
Chi ci segue ci darà atto che noi, vox clamantis in deserto, ci attendevamo invece la rivolta sociale, e su di essa avevamo scommesso nel momento in cui, abbandonati da diversi amici, abbiamo deciso di raggrupparci nel Movimento Popolare di Liberazione.
Com’è che noi avevano intuito che il coperchio stava per saltare in aria e altri no? Per due ragioni complementari. La prima è che andavamo facendo analisi giuste della situazione economica e sociale (ovvero, né economiciste né politiciste), la seconda, non meno importante, è che eravamo più sensibili di altri al grido strozzato che saliva dalle pieghe del corpo sociale. Per fare analisi giuste occorre sopportare la fatica dello studio e avere un metodo d’indagine corretto. Una certa sensibilità la si possiede solo se si è rivoluzionari dentro, nel corpo e nella carne.
Non ci aspettavamo certo una rivolta dai contenuti immediatamente anticapitalisti, né tantomeno guidata dai rivoluzionari bell’e fatti. Diceva Gesù che l’albero si riconosce sempre dai frutti che da. Pretendere che dopo la catastrofica sconfitta storica subita dal movimento comunista, dopo tutte le nefandezze compiute dalla sinistra italiana, dopo quaranta anni (quasi due generazioni!) di devastazione culturale liberista, post-democratica e berlusconiana; pretendere, dopo questo sterminio di memoria e di coscienze, che la rivolta avrebbe issato le tradizionali bandiere, o che avrebbe portato a galla nuovi Lenin o Che Guevara, era la più imperdonabile delle illusioni. Questo spiega come mai, davanti ai Forconi, gli illusi sono disillusi e, come sentendosi traditi, si vendicano, coprendoli di improperi.
Ne sono state dette e se ne dicono di tutti i colori in questi giorni. Siamo davanti ad un fenomeno singolare, ad un vero e proprio fronte anti-popolare, ad un’alleanza asimmetrica che va da destra a sinistra, dalla grande stampa liberale ai gruppuscoli marxisti, dalla Confindustria a settori della classe operaia. “Mafiosi, populisti, corporativi, fascisti, vandeani, briganti, separatisti”. Chi più ne ha più ne metta. Si è giunti, pensate, alla scemenza di equiparare la protesta in corso a quella dei camionisti che spianarono la strada al golpe pinochettista che uccise a morte Allende e il movimento operaio cileno.
Che certa sinistra che si considera “di classe”, con la scusa di “battere le destre” sia finita a sostenere la borghesia illuminata (Pisapia o De Magistris) e abbia cincischiato col Pd, è stata brutta cosa, ma aveva un suo perché. Non può passare che essa sia sprofondata in un regime di more uxorio addirittura coi golpisti che hanno portato al potere Monti, arruolata nel coro di voci bianche che starnazzano contro la rivolta popolare. Gli pseudo puristi marxisti sorpresi mezzi nudi a pomiciare, in un’ammucchiata, col peggio della classe dominante, col suo strato di strozzini in doppio petto, coi suoi sicari mediatici. Uno spettacolo ripugnante.
Detta fra di noi: ce l’aspettavamo. Decenni antifascismo perbenista, anni di purulenta campagna sul rosso-brunismo, tante sbornie di anti-berlusconismo politicamente corretto hanno lasciato il segno. Ma questa volta il segno è stato passato, è stato attraversato il limes oltre il quale la condanna politica diventa abominio morale. Da tempo mettevamo in guardia tanti compagni dall’uso di categorie politiche consunte, che un certo astrattismo teorico li avrebbe condotti dritti tra le fauci del liberalismo. Et voilà! Diciamo come stanno le cose: se vale politicamente il principio della proprietà transitiva, condannare i Forconi equivale a sostenere il governo Monti, le classi che rappresenta, significa avallare la cura da cavallo che sta imponendo alle masse. Cura contro la quale, lo capiscono anche i sassi, si sta ribellando la Sicilia. Significa infine spianare la strada alla repressione militare del conflitto.
Non spetta però a noi intonare il miserere per la sinistra italiana. Se ne faranno carico i fatti. Avevamo già detto dei segnali preoccupanti che erano venuti da questo lato dopo i fatti del 15 ottobre, le esecrazioni di vario tipo per lo scoppio di rabbia giovanile. Pochi ebbero mente lucida. Anche allora molti furono colti di sorpresa. Il ceffone giunto con la sollevazione siciliana, è di una magnitudo ben più grossa: alcuni hanno letteralmente sbarellato.
Lenin tante volte ricordava che la rivoluzione è come un fiume in piena, la cui forza d’urto è proporzionale al numero di torrenti e rivoli che in esso confluiscono. Ogni grande sommovimento popolare segue questa falsariga, tra cui la rivoluzione russa, che vinse proprio perché non fu solo operaia, ma in quanto riuscì a mobilitare centinaia di migliaia di giovani soldati, milioni di contadini dei quali, pensate un po’, i bolscevichi presero la testa perché promisero loro di diventare dei “piccolo borghesi”, perché diedero loro la terra.
Adesso, davanti all’enormità della rivolta siciliana, davanti al fatto che alla sua testa si sono posti strati “piccolo borghesi”, certo con le loro pulsioni corporative, con la loro primitiva coscienza politica, con le loro illusioni ideologiche, c’è chi li condanna come “reazionari”.
Non conta per questi pubblici ministeri, come abbiamo visto, che essi emettano la stessa sentenza della Confindustria e dei liberalizzatori, non conta come sia fatto il tessuto sociale siciliano (ma lo conoscono?), non conta che decenni di liberismo abbiano precarizzato tutto il corpo sociale, non conta che la crisi economica abbia gettato sul lastrico oltre a molti (non tutti) proletari anche gran parte del ceto medio, non conta che ampi strati di piccola borghesia siano alla fame. Non conta che questa parte di popolo soffra, non conta che sia sceso in strada chiedendo giustizia sociale, non conta che punti la sua rabbia contro i potenti. Non fa testo che questa rivolta sia salutare perché aiuta a spazzare via questa appiccicosa pace sociale. Non fa testo che la rivolta, per quanti limiti abbia, possa innescare un meccanismo virtuoso di attivizzazione delle masse e quindi di maturazione della coscienza. Non conta per questi pubblici ministeri che il popolo lavoratore solo nel fuoco della lotta acquista coscienza della sua formidabile forza sociale. Non fa testo che la sollevazione siciliana faccia da sponda alla primavera araba.
Cosa conta allora per questi inquisitori? Cosa conta per dare in fretta e furia l’ostracismo ad un intero popolo? Niente conta nel regno dei morti.
In questo regno di fantasmi contano le ombre, i sospetti, regna il maligno.
Per quanto ci riguarda non commetteremo l’errore che certa sinistra fece davanti alla rivolta di Reggio Calabria del 1970, quando una ribellione di massa, su istigazione di un PCI ormai smarrito, lasciò in pasto ai “Boia chi molla”, e finì per spalleggiare l’intervento dell’esercito e lo stato d’assedio. Di che stupirsi se lo sfarinato tessuto sociale siciliano mette in moto spinte di vario segno? Di che meravigliarsi se la piena porta alla luce anche il marcio del paesaggio che devasta? Un albero si riconosce certo dai suoi frutti, ma i frutti hanno bisogno di tempo per maturare. Chi spruzza pesticida sulla pianta non si lamenti se poi dovrà ingoiare domani i frutti velenosi di una mobilitazione reazionaria.
Non commetteremo l’errore della sinistra risorgimentale, che dopo aver tradito le aspettative rivoluzionarie dei siciliani e massacrato i contadini di Bronte, dopo aver venduto l’Italia alla monarchia sabauda, in ossequio al progressismo borghese, condannò la resistenza armata contadina del Sud come brigantaggio sanfedista, giustificando il massacro di decine di migliaia di innocenti.
Il popolo ha una memoria di elefante. Noi pure.
da Sollevazione