L’esperienza dell’autogestione in Argentina

«In Argentina, ogni volta che un’azienda chiude, i lavoratori sono pronti ad occuparla»
Intervista di Mario Hernandez a Eduardo “Vasco” Murúa, della fabbrica autogestita IMPA

[Estratto]

Siamo con Eduardo Murúa, portavoce dell’azienda IMPA recuperata nel 1998. Una delle prime esperienze di autogestione che sta per aprire anche un centro culturale.

Abbiamo fatto di quest’azienda un’impresa produttiva ed un centro culturale.

Oggi avete 2.500 studenti, ma le attività dell’Università dei Lavoratori sono iniziate l’anno scorso.

L’anno scorso abbiamo fatto vari seminari e in aprile cominciano le lezioni di Storia, Matematica e Lingue. Il 16 gennaio abbiamo definito un nuovo corso di studio, atipico, legato alle nuove forme di economia popolare e sociale, calibrato sulle necessità di preparazione dei compagni nella gestione di queste nuove imprese sociali. Partiamo in aprile/maggio. I professori sono già disponibili. L’Università si trova in Rawson 106. Abbiamo avuto un anno intenso. Ricordo di essere stato a una giornata di Medicina Comunitaria organizzata nel nostro paese per la prima volta, con la partecipazione di compagni latinoamericani attraverso il Centro Culturale “La Puerta” che coordina Héctor Fenoglio. L’anno si è chiuso con un cineforum. Ha funzionato la cattedra “Che” Guevara di Néstor Kohan. Hanno partecipato Osvaldo Bayer e Atilio Borón. (…)

Sono passati 10 anni dal 19-20 dicembre 2001. Il movimento di aziende recuperate è partito alla grande da questa data, seppure siano esistiti dei precedenti.

Si ora ha assunto una notevole visibilità. Nel 2001 molte aziende sono fallite ed è stato proprio allora che 80 furono occupate e autogestite.


Ora quante aziende recuperate si contano?

330 aziende. Tra il 1998 e il 2003 ce n’erano già 170, in seguito il fenomeno ha rallentato.


Insomma, il fenomeno non è mai scomparso del tutto.

Sì, non è scomparso nonostante la crescita economica del paese che ha permesso di riattivare 150 aziende; ma anche se il PIL è cresciuto hanno continuato a chiudere fabbriche e alcune sono state occupate e riattivate dai lavoratori.

Di quanti lavoratori stiamo parlando?

Di 15-16.000 lavoratori. La cosa più interessante è che se c’è stata la fase in cui hanno avuto bisogno di aiuto, ora non ne hanno più. Questo nuovo metodo di lotta è orami inserito nel movimento operaio argentino e ogni volta che una fabbrica chiude i lavoratori sono già pronti a occuparla e autogestirla. Forse è stata la cosa migliore che abbiamo mai fatto.


Capisco, intende creare questa coscienza. Il 2001 ha permesso di rendere visibile il movimento di recupero delle aziende. (…) E si è trattato anche di una via tracciata a livello latinoamericano. Mi ricordo di qualche partecipazione nella trasmissione “Aló presidente” insieme al comandante Chávez. Il movimento delle fabbriche recuperate in Argentina ha collaborato con altri paesi della regione.

A partire dal 2002 abbiamo lavorato insieme al Venezuela nel recupero di alcune aziende. E’ stato quando ci fu la serrata padronale per far cadere Chavez. Prima abbiamo recuperato una grande azienda che sta ancora funzionando come azienda autogestita. In seguito, il rapporto col presidente Chávez ci ha permesso di mettere in collegamento aziende recuperate in Uruguay, Brasile, Venezuela e Argentina in un incontro organizzato nel 2005. Ancora oggi stiamo condividendo informazioni. Siamo riusciti a far arrivare un grande aiuto dal Venezuela al Brasile e allo stato uruguayano. In Argentina, invece, non è stato possibile.


Ho avuto modo di conoscere il materiale pubblicato a Cuba dalla figlia di Marta Harnecker sui cambiamenti annunciati nell’economia cubana in cui la questione della cooperativa ha un rilievo primario. Diciamolo, la maggior parte delle aziende recuperate hanno adottato la forma cooperativa.

Lavoriamo tutti in autogestione e adottiamo la forma della cooperativa perché la legge sulle cooperative in Argentina permette la democrazia interna, lascia che siano i lavoratori a decidere. Abbiamo opinioni diverse sul reddito: noi siamo per la distribuzione egualitaria e la legge non lo dice, ma riteniamo che questa sia la forma migliore che si adatta al recupero delle aziende. Noi non partecipiamo al movimento cooperativo perché siamo sempre stati nel movimento operaio e nell’ambito delle cooperative c’è di tutto, alcune sono completamente adattate al sistema. In ogni modo, è un sistema superiore a quello capitalista. I cambiamenti a Cuba mi preoccupano, ma sono parte del nostro dibattito. Siamo sempre stati molto critici con l’autogestione perché non crediamo che sia la salvezza. Riteniamo che i mezzi di produzione più importanti debbano rimanere nelle mani dello Stato e pianificati dal nostro popolo. Non crediamo nelle cooperative come uscita per un nuovo modello socioeconomico. Dobbiamo essere coscienti della necessità del controllo popolare sui mezzi di produzione. Nel caso di queste 330 piccole imprese, l’autogestione può servire come seme per vedere il nuovo, per far crescere la coscienza popolare che non sono necessari i padroni, che gli investimenti stranieri non sono indispensabili per generare impiego e che il lavoro è più importante del capitale, che in definitiva è soltanto lavoro accumulato. Credo che quando i popoli lo avranno capito, allora avremo una via d’uscita.

da www.resistenze.org
Fonte http://www.rebelion.org/noticia.php?id=143313
Traduzione dallo spagnolo a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare