L’irresistibile storia di un partito che non c’è più, ma che ha (aveva) ancora la cassa e, quel che è peggio, il cassiere

Un parlamentare ha rubato qualche milione di euro! – dov’è la notizia? Ma si tratta di un senatore dell’onesto Pd! – dov’è la notizia? Ma stiamo parlando di un tesoriere di partito! – dov’è la notizia? Ma è un partito che non esiste più! – e dillo subito che c’è, finalmente, una notizia!

Ma, se il partito non c’è più, perché c’era ancora la cassa? Beh, che la cassa ci sia ancora non è detto, di certo abbiamo il cassiere e sembra un tipo interessante. L’onestuomo, un certo Luigi Lusi, si è «bonificato»13 milioni di euro. In fondo, si sarà chiesto a cosa potesse mai servire la cassa di un partito defunto e ha provato a darsi una risposta.

Ma il cassiere avrà pur dovuto rispondere a qualcuno? A chi? Si sa solo che sul conto aveva la delega ad operare anche il più noto Francesco Rutelli, ora passato – via Pd – all’Api, una serie di movimenti politici rapidi e disinvolti quanto i trasferimenti di denaro del cointestatario del conto.

Abbiamo dunque che un partito defunto (per confluenza nel Pd) nell’autunno 2007 ha (aveva) ancora un conto, foraggiato anche da versamenti del Pd, sul quale potevano operare due persone: un ladro dichiarato (Lusi ha confessato) e il dirigente di un altro raggruppamento politico (chiamarlo partito sarebbe davvero un po’ troppo), l’evanescente Rutelli, leader di una sigla (Api) che più che ad una forza politica fa pensare ad una vecchia pompa di benzina.

Noi che abbiamo la «malattia» della politica vediamo questi aspetti a colpo d’occhio, ma chi non ce l’ha ne vede probabilmente un altro: cosa ci facevano 13 milioni di euro lì, buoni buoni, senza che nessuno ne richiedesse l’utilizzo? Bella domanda. Eh sì, perché uno potrebbe aspettarsi che la marachella sia saltata fuori a seguito di un controllo di qualche organismo politico o di garanzia, e invece no! Il «povero» Lusi è stato beccato per una segnalazione dei movimenti di denaro operata da…Bankitalia. Vabbè che ormai fa tutto la Bce, ma li pensavamo comunque in altre faccende affaccendati.

Gli organismi politici erano evidentemente in sonno. Leggere per credere la dichiarazione di un fondatore della Margherita, quell’Arturo Parisi cui verrà prima o poi assegnato il Nobel della politica per essere stato l’importatore delle primarie in Italia: «Quando a maggio 2011 si riunì l’assemblea della Margherita per approvare il bilancio mi accorsi di alcune voci opache. Somme consistenti in uscita. Chiesi una sospensione ma venne rifiutata. Si decise allora di istituire una commissione di verifica. Si riunì una sola volta, ma andò deserta».

Fermo lì, Parisi. «Alcune voci opache», quali? E poi, «alcune»? Tredici milioni sono un dettaglio nel bilancio di un partito, ed oltretutto un partito che non c’è più? La commissione «si riunì solo una volta, ma andò deserta». Un caso? Suvvia, Arturo, che sei sardo e dunque non sei fesso…

E i sardi sanno che spesso il marcio sta sul continente. Più spesso ancora nella capitale, la città che ha avuto come sindaco anche un certo Francesco Rutelli. Il quale poteva operare sul conto, ma mai l’avrebbe fatto – sempre meglio che a sporcarsi le mani siano altri.

Ammettiamo che la firma dell’ex candidato premier – anche questo ci ha propinato (nel 2001) la Seconda Repubblica che qualcuno vorrebbe ora rilanciare – avesse solo una funzione politica, ma gli sarà pure arrivato l’estratto conto! Vabbé, non avrà avuto il tempo per simili cose, ma avrà pur sempre avuto un segretario, un assistente, un portaborse… Con tutti quei soldi se li sarà di certo potuti permettere.  

E invece no! Il pover’uomo – quello che una volta si lamentò, senza vergognarsi, di aver «mangiato pane e cicoria per l’unità del centrosinistra», si è presentato davanti al magistrato come il più ingenuo dei pirla. Lui, non ne sapeva niente. Anzi, riacquistando subito la tipica arroganza: «Siamo infuriati e addolorati. La Margherita intende recuperare tutto il maltolto».

E qui, confessiamolo, ci girà nuovamente la testa. La Margherita? Eh, questo fiore dai tanti petali! Ce ne sono stati un po’ per tutti. I più per il Pd, altri per l’Api, altri ancora per l’Udc. E proprio questi ultimi ora si lamentano per la gestione dei soldi. Ma se avete preso strade così diverse, almeno in apparenza, a cosa doveva servire un fondo così cospicuo? Ad organizzare merende di reduci?

Alla fine, stai a vedere che il migliore di tutti è proprio il Lusi, che visto che tutti si facevano i fatti propri ha pensato bene di farsi alla grande i suoi.

E qui potremmo fermarci. Qualche noterella di colore a volte è assai più utile di lunghe analisi sul degrado della politica. A meno che – e non lo escludiamo affatto – si finisca con lo scoprire che il tesoriere non giocava solo per se e non solo per interessi privati. Non escludiamo niente, tantomeno – e questa è forse l’ipotesi più probabile – che ci si trovi davanti alla classica commistione tra interessi politici e privati.

In ogni caso le lunghe serie metamorfiche della politica italiana dell’ultimo ventennio sono davvero istruttive. Pci-Pds-Ds-Pd, Dc-Ppi-Margherita-Pd. Lunghi percorsi per arrivare al partito preferito dai banchieri. Ma Rutelli li batte tutti: Partito Radicale-Verdi Alternativi-Verdi del Sole che ride-Margherita-Pd-Api. Come stupirsi se in un simile bailamme si perde il conto dei passaggi e il passaggio dei conti?

Vedremo come si svilupperà questa irresistibile storia, ma in definitiva i casi sono due e soltanto due: o il ladro aveva dei complici, ed allora immaginatevi qualche nome; o il ladro li ha fatti fessi tutti, ed allora immaginatevi a chi è in mano l’Italia.