Il movimento dei Forconi ad un bivio
Cronaca dell’assemblea di Catania

Ieri eravamo a Catania, all’assemblea generale, indetta all’ultimo momento, dai movimenti di protesta siciliani. C’erano tutti, a cominciare dai Forconi di Mariano Ferro e Onda d’Urto di Giuseppe Richichi (Onda d’urto che è oramai il nome della alleanza dei diversi movimenti di lotta).

C’erano agricoltori, pescatori, camionisti, disoccupati, operai, esponenti delle più disparate associazioni, giovani che sono stati nella prima linea dei blocchi di gennaio, donne incazzate, indipendentisti, autonomisti e unionisti. Una vera e propria sinfonia dell’emancipazione popolare siciliana.

Una sinfonia talmente appassionata e vivace che i direttori d’orchestra, non sono riusciti a dirigere come avrebbero voluto, semmai avessero avuto da proporre un preciso spartito. Un’assemblea straordinaria proprio per questo, dove decine e decine di attivisti, di cittadini, strapazzando ogni scaletta, sono saliti sul palco, si son presi la parola e non, come si potrebbe pensare, solo per esprimere la loro rabbia incontenibile contro il sistema che li opprime. Hanno afferrato il microfono esprimendo una passione civile e una maturità politica straordinarie, da far vergognare i vari politicanti di professione. Politicanti tutti assenti, perché non graditi. E chi mai di loro avrebbe avuto il coraggio di presentarsi in questa fossa di leoni? Dove gli interventi più travolgenti sono stati proprio quelli più radicali, più irriducibili a qualsivoglia compromesso?

Un’assemblea affollata, libertaria e urlante, che ha dato la misura del radicamento e della radicalità straordinaria del movimento esploso in Sicilia nel gennaio scorso. Un movimento che ha suonato la campana per tutto il popolo lavoratore, non solo siciliano ma dell’Italia tutta; un’assemblea emozionante che, almeno chi scrive, non vedeva da decenni, forse dal 1980, ai tempi dell’occupazione alla FIAT.

Un movimento ai primi passi e che ai suoi inizi è già posto davanti a sfide cruciali. Il potere è stato sorpreso dall’ampiezza e dalla determinazione dei blocchi di gennaio, che nulla quindi ha potuto fare lì per lì. Un sistema nemico che tuttavia si va organizzando, che muove, per isolarlo, ogni sua pedina, non solo stampa e tv, ma il ceto politico, ad iniziare da quello di sinistra. Il tutto con un fine preciso: tendergli al momento giusto una fatale imboscata.

Questo i dirigenti del movimento popolare lo sanno, sanno dei rischi che corrono, sanno che prima di rituffarsi nel conflitto bisogna allargare ancora di più il consenso, soprattutto in grandi città come Catania e Palermo. Noi aggiungiamo nel resto dell’Italia.

Diciamolo: anche i capi della rivolta sono stati sorpresi, sorpresi dall’ampiezza della protesta ma anzitutto dalla rabbia e dalla radicalità che si è espressa nei giorni dei blocchi che hanno paralizzato l’isola dal 16 al 20 gennaio. Neanche loro si aspettavano che la slavina sarebbe diventata una valanga incontenibile.

Così si spiega la prudenza dei dirigenti del movimento che, all’assemblea di ieri, era palpabile. Davanti al fatto che gli interventi più acclamati fossero quelli che proponevano di riprendere da subito l’azione, essi hanno teso a calmare gli animi, a mettere in guardia dal fare nuovi errori. Poiché ieri Mariano Ferro è stato il primo a dire che a gennaio sono stati fatti degli errori, che si è esagerato nel bloccare con metodi duri tutta l’isola, che si è sbagliato nel far pagare ai siciliani il prezzo della battaglia (giorni senza carburante, con supermercati vuoti ecc.). In diversi han detto ieri che la lotta, quella settimana “ci è sfuggita di mano”, volendo dire non solo che decine di blocchi sono sorti spontaneamente, ma che i picchettaggi sono andati giù pesanti nel paralizzare strade, stazioni e porti.

C’è saggezza in questi leader, capiscono che giunti a questo punto non ci si può permettere di compiere errori, che la rabbia incontenibile, che rappresenta l’energia indispensabile per andare avanti, può anche portare ad un vicolo cieco se non si sposa con un’organizzazione efficiente, con una politica di ampie vedute. I prossimi mesi ci diranno se, quella che a noi pare saggezza, contiene in sé non tanto la prudenza (giusto sentimento), ma la disposizione al cedimento.

Diverse, ieri, le concrete proposte di ripassare all’attacco. Bloccare lo stretto, bloccare le raffinerie di Priolo, Gela, Termini Imerese e Milazzo (per non permettere l’imbarco di carburante verso il continente), occupare le sedi della Serit (l’equivalente di Equitalia), occupare i comuni come stanno iniziando a fare in Sardegna. Nessuna di esse è stata esclusa, tutte accolte per acclamazione dalla sala e recepite dalla presidenza. Ma, c’è un ma, tutto appare lasciato alla spontaneità dei cittadini coinvolti. Manca organizzazione, manca coordinamento efficace, manca una direzione. Proprio per questo è stata accolta, e speriamo che alle parole seguano i fatti, la proposta di costituire Comitati in ogni comune, da comporre, si è detto, con due delegati per ogni categoria: contadini, pescatori, camionisti, disoccupati e studenti, cioè quelli che costituiscono il grosso del movimento —purtroppo gli operai sono i grandi assenti di questa battaglia. Questo, a chi scrive, pare il passo immediato da compiere per darsi un’organizzazione: creare una rete capillare di comitati locali, fino all’elezione di un comitato centrale siciliano deputato a rappresentare tutte le varie anime e a dirigere la lotta.

La spontaneità è il sale di ogni movimento, ma il troppo storpia. Una delle sfide che la protesta siciliana deve affrontare con piglio deciso, anche questo è stato detto in assemblea ieri, è superare questo stadio infantile e spontaneista. Una istanza emersa in numerosi interventi, non solo in quelli di Ferro e Richichi. E’ anche a questo livello che l’assemblea di ieri ha espresso una grande maturità. Cittadini che per la prima volta scendono in lotta, per la prima volta alle prese con le modalità della politica, comprendono la grandezza di quel che stanno facendo e quanto rischiosa sia la loro sfida.

Per questo ci è parso troppo severo il giudizio negativo che lo stesso Ferro ha dato dell’assemblea, considerata troppo caotica e inconcludente. Lo ripetiamo, noi l’abbiamo trovata vibrante e straordinaria. E’ stata la prima occasione vera per mettere a confronto i protagonisti della lotta popolare. Non poteva essere fermata questa voglia di farsi ascoltare, di proporre, di avanzare. Il torrente in piena non poteva essere né arrestato né deviato. Va semmai incanalato affinché spazzi via il sistema che opprime il popolo lavoratore, ma incanalato in forme adeguate e democratiche.

Questa mattina i media hanno titolato, esagerando come sempre, che i Forconi faranno un partito. S’adombra in effetti questa possibilità. Essa ha del giusto e dello sbagliato. Del giusto, perché essa esprime la consapevolezza generale che la partita è oramai sommamente politica, che il movimento non è più solo di questa o quella categoria, ma che da voce ad un intero popolo oppresso, che quella che è iniziata, “come in Tunisia o Egitto, è una vera e propria rivoluzione democratica”, e che quindi c’è bisogno di fare scelte politiche coraggiose, di proporre un modello di società alternativo (anche questo si è udito ieri). Dello sbagliato se qualcuno intende, per incanalare il movimento, portarlo nell’alveo elettoralistico, che così finirebbe per essere sbranato dal potere.

Tante altre cose ci sarebbero da dire. E lo faremo mettendo in rete i materiali video-filmati dell’assemblea.

da Sollevazione – 3 febbraio 2012