De tormentis

Nelle ultime settimane sono apparse su vari giornali notizie riguardanti numerosi episodi di tortura attuati ai danni di militanti di organizzazioni armate arrestati nei primi mesi del 1982 (in realtà episodi di tortura si verificarono anche in anni precedenti, ma non in modo così sistematico e preordinato).

Vale la pena di ricordare che, proprio nel gennaio 1982, durante il sequestro del generale statunitense James Dozier, i giornali scrissero di una importante riunione del CIS (Comitato Interministeriale per la Sicurezza) nella quale sarebbero stati approvati eccezionali provvedimenti contro il terrorismo.

Di tali provvedimenti, tuttavia, non ne venne pubblicato alcuno sulla Gazzetta Ufficiale. Cominciarono, però, le torture.
I provvedimenti, cioè, non vennero scritti sulle pubblicazioni di rito (certo non avrebbero potuto esserlo per ragioni di decoro e di immagine), ma vennero direttamente “scritti” sui corpi degli arrestati.

Ed è dovere di cronaca ricordare che all’epoca era presidente del Consiglio Giovanni Spadolini e ministro dell’Interno Virginio Rognoni (successivamente, dal 1986 al 1987, Ministro di Grazia e Giustizia! E dal 2002 al 2006 Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura!).

Ordunque, a proposito dei numerosi fatti di tortura di quei primi mesi del 1982, che riguardarono militanti delle BR (quelli accusati del rapimento Dozier, ma anche altri, ad esempio il primo arrestato,  nel febbraio 1982, della Colonna milanese Walter Alasia, che, a seguito delle torture, iniziò una tormentata collaborazione con gli inquirenti), militanti di Prima Linea ed anche di altre formazioni, mi sembra giusto riportare i capi di imputazione rivolti agli agenti del Nocs (Nucleo Operativo Centrale Sicurezza) che “operarono” a Padova all’epoca di Dozier e sono configurati come tentativo di estorcere dichiarazioni, tentativo che non riuscì nonostante i trattamenti efferati cui sottoposero il torturato, perché il torturato (allora di giovane età, ed oggi, ancora, da trenta anni, in carcere – per discrezione, nei suoi confronti, non ne faccio il nome), fu in grado di resistere.

E penso che questa capacità di resistenza meriti un ricordo.
Ecco i capi di imputazione di cui dicevo:
“A) del reato pp. Dagli artt. 110, 112 nn.1, 605, 1° e 2° co. N. 2 C.P. e 61 n. 2 c.p. per aver illecitamente privato […] della libertà personale, perché in concorso tra loro prelevavano il […] dai locali dell’Ispettorato di zona del 2°  Reparto Celere, dove era legittimamente detenuto in seguito all’arresto avvenuto il 28.1.82, sottraendolo a coloro che erano investiti della custodia lo caricavano con mani e piedi legati e con gli occhi bendati nel bagagliaio di un’autovettura e lo trasportavano in una località sconosciuta, dove il […] veniva fatto scendere e sottoposto alle percosse e minacce descritte nel capo seguente; indi lo trasportavano nuovamente (sempre, nel bagagliaio dell’autovettura) nell’area del 2° Reparto Celere e lo conducevano in un sotterraneo, nel quale il […] era sottoposto alle percosse e alla violenza descritte nel capo seguente, al termine delle quali veniva riportato nei locali di legittima detenzione…
In Padova tra le ore 21 e le ore 24 del 31.1.1982.

B) del reato di cui agli artt. 56, 81 cpv, 110 n. 2, 61 n. 9, 610, 1° e 2° co. C:P: in relazione all’art. 339 C:P: per avere, in concorso tra loro e con altri con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso mediante violenza, consistita in percosse in varie parti del corpo, e minaccia, consistita nell’esplosione di un colpo di arma da fuoco e successivamente mediante violenza, consistita nel legarlo su di un tavolo, sul quale era stato steso, facendogli inghiottire del sale grosso, di cui gli era stata riempita la bocca e, permanendo lo stato di costrizione sul tavolo, venendogli inoltre impedito di respirare con il naso, facendogli ingoiare una grande quantità di acqua che veniva in continuazione versata nella sua bocca, compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere il […] a rendere dichiarazioni sui reati da lui commessi, senza però che tale evento si verificasse.

C) del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv, 61 n. 9, 56 e 610, 1° e 2° co. C.P., in relazione all’art. 339, per avere, in concorso tra loro e con altre persone non identificate, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, con violenza consistita in percosse, nonché nella provocazione di ustioni alle mani ed in altre parti del corpo, nonché in una serie di ferite provocate al polpaccio della gamba sinistra con strumenti taglienti od acuminati e nella somministrazione di scariche elettriche, mediante applicazione di strumenti idonei agli organi genitali e nella zona addominale, posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere il […] a rendere dichiarazioni sui reati da lui commessi nonché sulla struttura ed organizzazione della banda armata di cui faceva parte.”

Ancora dovere di cronaca, impone di ricordare che ai condannati per questi fatti (e per altri, in cui l’estorsione della collaborazione riuscì), il Tribunale di Padova concesse “l’attenuante dell’aver agito per motivi di particolare valore morale e soprattutto sociale” pur dando, grottescamente, atto che “la concessione di questa circostanza a dei pubblici ufficiali che, abusando della loro funzione, hanno torturato una persona arrestata, può apparire a prima vista un non senso o quantomeno stridente”.

Peraltro le pene inflitte (da 1 anno a 1 anno e 2 mesi, con la sospensione condizionale) furono cancellate in quanto nei gradi successivi di giudizio (se ricordo bene in Cassazione) fu dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione. E il “Capo Squadra”, commissario Genova, venne esentato dal processo, perché, eletto deputato, il Parlamento negò l’autorizzazione a procedere (e ciò proprio nei giorni in cui, ironia della storia, concedeva l’autorizzazione addirittura all’arresto nei confronti di Toni Negri, anch’egli eletto in Parlamento).

E quanto all’”avallo esplicito o tacito di altre persone con funzioni superiori a quelle del dott. Genova” il Tribunale di Padova osservò che “su questo punto l’indagine è del tutto silente… perché un’evidente barriera è stata posta ad indagare più in alto…. Dimodochè pare inutile… rimettere gli atti alla Procura della Repubblica… per un approfondimento della indagine verso questo versante, attesa la fondata improduttività di qualsiasi altra attività istruttoria”.

Dunque, il rituale grido “sia fatta luce” non vale quando la luce potrebbe illuminare i volti degli effettivi responsabili delle orrende malefatte di fedeli servitori dello Stato. Ma non c’è bisogno di indagini giudiziarie per conoscere quei volti.

Del resto non è stato così – seppure su piani e in situazioni differenti – anche per Genova 2001? Massacratori della Diaz e torturatori di Bolzaneto condannati a pene che mai saranno eseguite perché il reato si prescriverà. Manifestanti condannati invece, per violenza su cose e non su persone, a pene esorbitanti. Vertici dell’apparato poliziesco promossi a cariche ancora più alte (ad esempio Gianni De Gennaro al vertice dei Servizi Segreti), uomini politici neppure sfiorati dalle indagini.

E tutto questo, perché?
Ritengo che non sia questo scritto la sede per sviluppare una approfondita analisi dello Stato, ma qualche considerazione è possibile svolgerla.

In momenti di crisi, o di potenziale crisi, per il sistema di potere, il “drago” della repressione violenta, al di fuori di ogni cosiddetta regola democratica, viene evocato ed esibito. Ed è forse anche questo il senso del riportare alla luce proprio oggi i fatti delle lancinanti torture degli anni 80. Oggi, in un’epoca, cioè, in cui la militarizzazione dei territori progredisce velocemente, l’opposizione sociale cresce e si prefigurano tempi di forti tensioni.

Assistiamo così ad una semplificazione della forma dello Stato nel segno di una velocizzazione del comando, a scapito delle mediazioni.

E la base del comando è, ricordiamolo, il potere della polizia, che così, negli anni 20, definiva il grande Walter Benjamin: “Il suo potere è informe come la sua presenza spettrale, inafferrabile e diffusa per ogni dove, nella vita degli Stati civilizzati”.

E nei momenti di crisi assistiamo ad una intima congiunzione di tutto l’apparato dello Stato, con la sua base, la sua essenza: la forza ed il suo monopolio.

Ed ha allora senso, pur battagliando per il rispetto delle regole e per difendere gli spazi di libertà formale, ricordare che è necessario andare al cuore delle cose, ai valori e non alle forme. Alla dignità dei corpi torturati, comunque – e in specie se capaci di resistere…, al perché delle torture, ed alla loro ineliminabile origine nello scontro tra i valori di chi si batte per un mondo giusto e il disvalore di chi dispiega la sua violenza a difesa del suo dominio.
E che può essere sconfitto…

Milano, 29 febbraio 2012
Giuseppe Pelazza