Tra principi e realpolitik – Le pericolose manovre di HAMAS

Nonostante tutte le assicurazioni in senso contrario di Hamas, una lotta è in corso all’interno del movimento islamico palestinese. L’esito di questa lotta — che è ancora confinata al piano dei dissensi politici e intellettuali — è destinato a cambiare l’orizzonte di Hamas, se non addirittura a modificare sostanzialmente la propria posizione all’interno del mutato contesto politico arabo.

Hamas odierno è già diverso da quello inizialmente fondato dalla leadership locale di Gaza nel dicembre 1987 in risposta alla prima sollevazione palestinese. Una delle prime dichiarazioni diffuse dall’appena costituita  “ala militare” (uomini mascherati e armati di mazze di legno pitturate con vernice spray) esprimeva bene quella fase politica:
 
«Cosa vi è successo, O governanti di Egitto? Eravate addormentati nel periodo del trattato della vergogna e della resa di Camp David? E’ forse morto il vostro zelo nazionale? Il vostro orgoglio è svanito mentre i sionisti quotidianamente perpetravano crimini gravi contro il popolo e i bambini?»
 
Anche se il divario di forze tra Israele e i palestinesi è rimasto sostanzialmente invariata, Hamas si è trasformato da un ramo locale palestinese dei Fratelli Musulmani d’Egitto in un tour de force in seno alla società palestinese. Inoltre è diventato un attore importante a livello regionale, considerato dagli stessi Stati Uniti e Israele come protagonista del campo radicale in Medio Oriente (gli altri membri sono Iran, Siria e Hezbollah). Mentre l’Iran e la Siria venivano demonizzati per sostenere le resistenze palestinese e libanese, Hamas e Hezbollah hanno resistito con successo alle avventure militari di Israele a Gaza e in Libano.
 
Le Rivoluzioni arabe, tuttavia, hanno indotto una notevole trasformazione in termini di rapporti di forza nella regione. I simboli storici dell’influenza occidentale in Tunisia, Egitto e in Yemen sono stati violentemente costretti a lasciare il potere, malgrado i loro compari siano ancora in lizza per conservare posizioni e influenza. Con la rimozione di Honsi Mubarak il “campo moderato” è stato sconvolto fin nelle fondamenta. Mubarak che, per tre decenni, ha diligentemente custodito una roccaforte pro-americana in cambio di somme enormi di denaro. Gli eventi drammatici che hanno travolto il mondo arabo richiedono un adattamento urgente alla nuova situazione, manovre spettacolari per mantenere influenza — per contrastare ciò che del  cambiamento è ritenuto inaccettabile, o per sfruttare insurrezioni genuine per rendere possibili finali rese dei conti.
 
La Siria è un esempio di quest’ultimo tipo. E evidente che, allo scopo di bilanciare il gioco dei guadagni e delle perdite, la rimozione di Mubarak doveva essere compensata dall’estromissione del presidente siriano Bashar al-Assad. Solo allora il gioco sarebbe ritornato ad uno stato di equilibrio  — soprattutto se si considera l’influenza decrescente americana nella regione in seguito al ritiro dall’Iraq. Purtroppo per la Siria, il conflitto è stato rapidamente ridisegnato in base a calcoli di politica regionale. La violenza in Siria viene contestualizzata all’interno di scenari in cui si colloca la minaccia di intervento della NATO e poi il ruolo di alcuni paesi arabi che tentano di scatenare una guerra civile, in un pericoloso gioco a somma zero.
 
Hamas, che è riuscita a sopravvivere a rivalità interne, alle guerre israeliane e all’isolamento internazionale, è adesso davanti al dilemma più pressante dalle elezioni legislative del gennaio 2006. Da un lato, la cosiddetta “primavera araba” ha accresciuto, com’era prevedibile, la forza degli islamisti, di cui Hamas è parte integrante. Dall’altra ha confusamente scombussolato gli equilibri politici di tutta la regione.
 
Non è un segreto che senza il sostegno finanziario dell’Iran, Hamas avrebbe trovato molto difficile operare nella Striscia di Gaza dopo il blocco israeliano nel 2007. Damasco ha fornito ad Hamas un importante retroterra politico, che ha consentito al movimento islamico un livello di libertà di propaganda delle sue idee e anche di ospitare una parte della sua leadership assediata a Gaza e in Cisgiordania. Rinnegare i suoi alleati a causa di una sempre più acuta polarizzazione politica (e religiosa) nella regione non è una decisione da adottare con leggerezza. Qui sta il problema per Hamas.
 
Il realismo politico è inevitabilmente opportunista. Il prestigio di Hamas tra i suoi sostenitori è stato mantenuto grazie ad un attento equilibrio tra buon senso politico e fermi principi ideologici di matrice religiosa. Eventi rivoluzionari possono però  sconvolgere ogni equilibrio, anche sapientemente coltivato. La serie di accordi tra Hamas e Fatah — tra cui quello cruciale di Doha del 6 febbraio — sono stati attribuiti alla riconfigurazione delle alleanze regionali: al-Fatah di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha subito un duro colpo con la cacciata di Mubarak, e il futuro di Hamas in Siria è sempre più incerto a causa dell’escalation di violenza.
 
Lo slittamento di Hamas nel nuovo campo è continuato a velocità sorprendente. I leader di Hamas a Damasco, e anche quelli di Gaza, hanno svolto diversi tour regionali, nella speranza di stringere nuove alleanze per quello che era il  movimento di resistenza. E, con una nuova svolta, i leader di Hamas in esilio si sono improvvisamente mostrati come portatori  di moderazione politica. La rapidità della nuova terminologia ce la spiegano Brian Murphy e Karin Laub: «Il principale leader  in esilio, Khaled Mashaal, vuole che Hamas faccia parte del più ampio blocco islamista politico … Per questo, Hamas ha bisogno di nuovi amici come i ricchi Stati del Golfo che sono in contrasto con l’Iran “(AP, 9 Febbraio).
 
Scrivendo sul libanese Daily Star, Michael Broning, direttore della tedesca Friedrich-Ebert-Stiftung Foundation basata in Israele, è d’accordo. “Meshaal rappresenta oggi una forza di cambiamento”, afferma, mentre il Primo ministro di Gaza Ismail Haniyeh “rappresenta l’ala conservatrice della leadership di Hamas di Gaza.”

A lungo agognata questa apertura si sta così presentando nella forma di “disaccordi crescenti all’interno di Hamas… Spingendo la leadership della diaspora contro quella della Striscia di Gaza”. Significativamente, il titolo dell’articolo di Broning era: «Coinvolgere i moderati di Hamas e testare la loro ritrovata flessibilità». (24 febbraio ).
 
Alcuni commentatori, Broning incluso, stanno ampiamente speculando sul futuro di Hamas. Le agenzie di stampa non fanno che scrivere sulla recente evoluzione di Hamas, sul peso che il trionfo ideologico delle forze islamiste nella regione ha sul movimento palestinese.
 
Hamas potrebbe reinventarsi, o potrebbe semplicemente cercare di superare la tempesta. In entrambi i casi le manovre politiche di Hamas indicano che il movimento sta rapidamente lasciando il suo terreno tradizionale (l’occupazione israeliana), e entrando in una dimensione completamente nuova. Mentre Hamas potrebbe argomentare in maniera convincente che la sopravvivenza richiede riposizionamenti politici oculati, è più difficile spiegare come, in maniera tanto rapida, la politica regionale prenda il sopravvento sulle priorità nazionali.
 
La linea che separa i principi e la politica può essere a volte molto sottile.

 
*Ramzy Baroud (www.ramzybaroud.net) è un giornalista internazionale, direttore di PalestineChronicle.com.
** Traduzione a cura della redazione