Cosa c’è dietro i crimini sempre più efferati delle truppe americane in Afghanistan

Sono sedici, come minimo, le vittime dell’ennesima strage americana in Afghanistan. Sedici civili – nove bambini, quattro donne e tre uomini – falciati nella notte dalla mano assassina di un invasore che non può vincere la guerra, ma che trema all’idea della sconfitta.

Oggi in Afghanistan, come ieri in Iraq, l’esercito americano compie gli atti più disumani che si possano immaginare. Ma non sono mai atti di singoli soldati. Ieri, in Iraq, le torture di Abu Ghraib erano solo l’altra faccia dei bombardamenti al fosforo su Falluja; le innumerevoli stragi di civili, l’inevitabile prosecuzione della «chirurgica» distruzione pianificata dagli assassini del Pentagono. Oggi, in Afghanistan, le più crudeli stragi affidate a giovinastri imbevuti di razzismo, sono solo il volto terreno della morte che viene dal cielo, sganciata da droni omicidi manovrati da asettiche sale di comando del Nevada.

Ora vorrebbero farci credere che la strage avvenuta l’altra notte nella provincia di Kandahar, laddove la resistenza popolare agli occupanti è più forte, sia stata compiuta da un solo soldato, già denominato come il «sergente impazzito». Sapete, lo stress…

Ma era forse un soldato solo quello che, a gennaio, urinava sui corpi di altri civili afghani uccisi? Era forse un soldato solo quello che, a febbraio, bruciava allegramente le copie del Corano? No, questi criminali agiscono sempre in gruppo. La loro tracotanza può vincere la loro paura solo in quel modo.

Sono perciò penosi gli organi di stampa che cercano di scaricare tutte le responsabilità su un solo soldato. Leggiamo alcuni titoli: «La strage casa per casa del sergente assassino» (Corriere della Sera); «Soldato Usa spara sui civili» (la Repubblica); «Sergente Usa fa strage di civili» (La Stampa); «Soldato Usa fa strage di donne e bambini» (Il Giornale).

A costoro non interessano le testimonianze degli abitanti dei due piccoli villaggi in cui è avvenuta la strage. Secondo questi ultimi la carneficina è stata compiuta da un gruppo di soldati in missione notturna che, ubriachi e drogati come si deve, «sono arrivati ridendo e urlando. Poi sono entrati in casa e hanno sparato».

No, agli scribacchini dei nostri giornali questa verità non interessa, anzi la verità deve essere nascosta dietro la comoda «follia» di chissà quale sergente. Un atteggiamento che non attesta soltanto il solito servilismo verso gli Usa. Un comportamento che denota anche la paura di farsi una domanda che pure dovrebbe essere obbligata.

La domanda è: cosa spinge gli occupanti ad un comportamento sempre più criminale nei confronti del popolo afghano? Il più delle volte l’uso del terrore nei confronti dei civili è il frutto di una decisione militare pianificata fin nei dettagli. I militari sanno perfettamente qual è la situazione quando si affronta un popolo che resiste. E siccome il nemico è ovunque, che si colpisca pure in maniera indiscriminata, che anche colpendo a casaccio qualche nemico lo si centra sempre.

E’ stata questa la logica che ha ispirato l’uso del terrore in Vietnam, ma anche in Jugoslavia ed in Iraq. E’ questa la logica che fa premere il grilletto ai soldati israeliani ormai da decenni. Il terrore è infatti una delle principali armi nelle mani dell’imperialismo nelle guerre asimmetriche dei nostri tempi. Ma qui c’è di più. C’è l’odio razzista instillato dalla propaganda che ha giustificato ed ancora vorrebbe giustificare le guerre a stelle e strisce, in particolare quella scatenata più di dieci anni fa contro il popolo afghano.

Qualche tempo fa è apparsa una foto assai significativa (vedi sopra). In essa si vedono una decina di militari americani che imbracciano il fucile, in posa sotto una bandiera Usa ed una scritta SS. Una ragazzata? Non crediamo proprio, ed i fatti parlano da soli.