Credo che oramai sia evidente che tutti i movimenti, tutte le lotte in corso in questo paese, per quanto differenti negli obiettivi e nelle storie, hanno di fronte lo stesso avversario che argomenta allo stesso modo. I metalmeccanici, da poco scesi in piazza con rabbia e orgoglio, sono di fronte alla devastazione del contratto nazionale e delle più elementari libertà nei luoghi di lavoro.

Milioni di altri lavoratori subiscono le stesse aggressioni senza avere la stessa forza o senza essere chiamati alla lotta da un sindacalismo confederale sempre meno capace di reagire. In Valle Susa nel nome degli affari, della competitività, del “lo vuole l’Europa”, si sta procedendo a una sopraffazione democratica e ambientale tra le più gravi della storia della Repubblica. Sulle pensioni il governo ha realizzato il sistema previdenziale più feroce d’Europa, lo dice la stessa Unione.

Il decreto sulle liberalizzazioni reinterpreta l’articolo 41 della Costituzione, rovesciandone il significato e i limiti vengono così posti al pubblico e non al privato. Alla faccia del referendum sull’acqua e dei beni comuni. Che anzi, con il patto di stabilità e con i vincoli agli enti locali diventeranno la principale fonte di affari dei prossimi anni.

Con il pareggio in bilancio assunto a norma costituzionale e con l’intreccio di questa norma con il fiscal compact europeo, cioè con l’impegno ventennale a restituire metà del debito pubblico complessivo, lo stato sociale viene posto al di fuori della Costituzione della Repubblica. Ed è stupefacente che un parlamento di nominati possa decidere del nostro futuro senza alcuna consultazione democratica e sono pesanti anche le responsabilità del Presidente Napolitano. Infine l’articolo 18. Che verrà colpito dal governo, proprio perché così vogliono quei mercati e quella finanza internazionale che questo governo rappresenta e rassicura.

Cosa devono farci ancora? Questo governo è ormai chiaramente, anche nelle battute volgari con cui si esprimono i ministri, un governo di destra. Di quella destra europea che attorno a Monti, Merkel e Sarkozy, affronta la crisi con un’operazione tecnicamente reazionaria. Cioè con lo smantellamento dello stato sociale, con le privatizzazioni, con il ritorno a un liberalismo ottocentesco, accompagnato dai poteri dello stato degli anni Duemila. Quando il capo della Banca europea Mario Draghi dice che il sistema sociale europeo è finito, propone una soluzione devastante alla crisi, con l’imitazione di quel modello sociale ed economico degli Stati Uniti, che è la prima causa della crisi mondiale.

Dieci anni fa a Genova e in tutta Europa un grande movimento di lotta e di coscienze contestava il liberismo, il mercato e la globalizzazione, che allora sembravano vincenti ovunque. Oggi che siamo dentro la crisi della globalizzazione e del dominio finanziario su di essa, quelle politiche liberiste che l’hanno provocata paiono avere più consenso di dieci anni fa. E’ giusto cercare spiegazioni culturali, sociali ed economiche approfondite. Però bisogna farlo mentre ci si rimette in moto.

A differenza di Alberto Asor Rosa, quando Monti va all’estero e si vanta di aver attuato nel nostro paese brutali riforme sociali senza nessuna reale contestazione, io mi vergogno. Cosi come mi vergogno quando vedo il concerto europeo massacrare la Grecia e usarla come minaccia verso tutti popoli.

In Italia abbiamo qualche problema in più che altrove perché, come in Grecia, le principali forze politiche di centrodestra e centrosinistra sostengono il governo ispirato dalla Bce. E deve fare le capriole Bersani, quando dichiara di sostenere Hollande che in Francia vuol mettere in discussione i patti europei, mentre in Italia sostiene Monti che appoggia apertamente Sarkozy.

Dobbiamo provare a ripartire per ricostruire. Dopo il 15 ottobre ci siamo fermati e loro sono andati avanti come treni, anzi come tav… L’appello che lancia la manifestazione a Milano, Occupyamo Piazza Affari, è sottoscritto da militanti sindacali e politici, da movimenti ambientali e civili, da sindacati e partiti, da protagonisti delle lotte di fabbrica e nel territorio. La decisione di lottare e di essere alternativi senza remore a Monti e alla sua politica, questo è ciò che unisce.