La libertà di licenziamento decretata dall’accordo tripartito Pd-Pdl-Udc

Il Disegno di legge sulla libertà di licenziamento sbarca ora in parlamento. Un approdo benedetto dall’accordo ABC (Alfano, Bersani, Casini), e poi dicono che questa non è una vera maggioranza politica…

La formula chiave che sancisce la definitiva sepoltura delle tutele previste dall’articolo 18 riguarda i licenziamenti per motivi «economici». Affinché il giudice possa decidere il reintegro del lavoratore, dovrà giudicare la motivazione dell’azienda «manifestamente insussistente», e questo – si badi bene – senza poter entrare (il Ddl lo vieta espressamente) nelle ragioni addotte dall’azienda.

Come ha commentato Monti, a ulteriore rassicurazione di quegli industriali che si fingono ancora scontenti: «Le imprese sono insoddisfatte perché avrebbero voluto la sparizione della parola reintegro, ma col tempo capiranno che ciò avverrà in presenza di fattispecie molto estreme e improbabili». (la Repubblica online del 5 aprile)

In realtà il reintegro più che improbabile diventerà impossibile. L’aver rimesso questa possibilità teorica nelle mani del giudice consente al Pd di cantare vittoria. Una «vittoria», questa sì, «manifestamente insussistente», e i lavoratori non sono così stupidi da non capire che la frittata è fatta.

Bersani, è evidente, non ha salvato la faccia, ma è riuscito a tenere unito il partito tirandosi dietro la Cgil, la cui segreteria ha definito «positivo» l’accordo tripartito. Un accordo che invece è negativo anche per altri aspetti. Mentre nessuna forma di contratto «atipico» viene abolita, aumenta la possibilità per le aziende di utilizzare l’«apprendistato». Mentre si cancella la «mobilità» e si riduce drasticamente la cig (cassa integrazione), che rimane soltanto per le «crisi aziendali temporanee», non è neppure vero che le nuove tutele valgano per tutti, dato che molti precari (quelli che avranno lavorato meno di 12 mesi negli ultimi due anni) non potranno avvalersene.

Quel che è certo è che chi fino ad oggi poteva contare su due anni di cig più due di mobilità, si ritroverà con un solo anno della nuovo Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego). Una mazzata che andrà a regime a fine 2015, ma che non ha bisogno di molti commenti.

Torniamo ora alla libertà di licenziamento. Per capire la gravità del contenuto del Ddl, che l’accordo tripartito non ha modificato nella sostanza, peggiorandolo addirittura in alcune sue parti (ad esempio il tetto dell’indennizzo, precedentemente fissato in 27 mensilità, è stato ora ridotto a 24), è importante soffermarsi su un punto giuridicamente decisivo: l’inversione dell’onere della prova. Se fino ad oggi era l’azienda a dover dimostrare la «giusta causa» del licenziamento, ora è il lavoratore a dover dimostrare che la motivazione aziendale è «manifestamente insussistente».

Un compito pressoché impossibile. Ecco come risponde Sergio Mattone, ex presidente della sezione Lavoro della Cassazione ad una domanda del manifesto che chiede quando scatterà il reintegro: «Solo quando la ragione economica è “manifestamente insussistente”, ed è qui che credo che di fatto l’onere della prova si sposti sul lavoratore. Perché sarà lui a dover assumere – mi si passi l’esempio – psicologi, investigatori, ricercatori, per dimostrare la “manifesta insussistenza”, ovvero un motivo talmente chiaro ed evidente da essere lampante. Credo debba in pratica dimostrare che si ricada nella discriminazione, o che l’antipatia da parte del datore di lavoro sia stata mascherata da una ragione economica. E’ praticamente impossibile. E sottolineo un altro punto: nel caso di “manifesta insussistenza”, secondo il testo, il giudice “può” ordinare il reintegro, cioè esso non scatta automaticamente».

Che questa porcata venga venduta ai lavoratori come un successo ha dell’incredibile, ma non deve stupire. Il Pd non può mollare Monti e la Cgil non può mollare il Pd. Il fatto che tutto sia finito a tarallucci e vino in tempi rapidissimi ci dice però un’altra cosa: la maggioranza che sostiene il governo del professor Quisling è sempre meno «forzata» e sempre più politica. Abbiamo già scritto di quanto siano incerte le prospettive politiche, legate come sono agli sviluppi della situazione economica, ma senza dubbio il rapido accordo ABC sulla libertà di licenziamento rafforza l’ipotesi di un prolungamento di questa maggioranza (ovviamente ristrutturata e riabbellita all’uopo) anche nella prossima legislatura.

Vedremo. Molte incertezze ancora restano, ed un passaggio decisivo sarà quello sulla legge elettorale. Se il pastrocchio annunciato qualche giorno fa da Alfano, Bersani e Casini prenderà davvero forma, allora sarà chiara la volontà politica di replicare l’attuale maggioranza anche dopo il 2013.

Su queste questioni torneremo a breve con un articolo specifico. Quel che intanto va sottolineato è che la maggioranza ABC ha una sua ragion d’essere nella vicinanza programmatica dei tre soggetti che la compongono. Vicinanza sulle grandi questioni internazionali, vedi il voto sull’aggressione alla Libia. Vicinanza – ma potremmo dire convergenza totale – nella subalternità alle oligarchie europee, con la relativa accettazione di ogni diktat da lì proveniente, incluso il Fiscal compact. Vicinanza sulle questioni istituzionali, soprattutto nell’orientamento di fondo favorevole al rafforzamento dei poteri degli esecutivi, con o senza presidenzialismo. Ed ora, piena convergenza anche nel devastare i diritti dei lavoratori.

Ce n’è abbastanza per cavarne fuori una maggioranza piuttosto coesa. Del resto, solo la farsesca rappresentazione della vicenda politica come scontro tra berlusconiani ed antiberlusconiani, andata avanti per 17 lunghissimi anni, poteva oscurare questa realtà. Che oggi, anche grazie alla strettoia della crisi, comincia a venire pian piano a galla. Ne riparleremo. Ma l’accordo tripartito sull’articolo 18 e dintorni – cioè su temi che niente hanno a che fare con l’emergenza del debito pubblico – segna probabilmente uno sviluppo decisivo della fase politica apertasi con il golpe bianco che ha portato l’uomo delle cupole finanziarie al governo del paese.

Chiudiamo con una nota di colore. Sapete come è intitolato il Ddl sulla libertà di licenziamento? «Riforma del lavoro in una prospettiva di crescita». Già, ma crescita di che cosa? In questi giorni sono stati resi noti i dati sulla crescita della disoccupazione, quelli sulla crescita delle famiglie sotto la soglia della povertà, è in crescita lo spread, sono in crescita le bollette per non parlare del prezzo dei carburanti. Ed infine, sono in crescita i suicidi con «motivazione economica». Queste sono le cose che crescono realmente, mentre la «crescita» evocata da Monti & company è solo la manifestazione di un’ossessione senza risultati (anzi i risultati sono preceduti da un bel segno meno), un chiodo fisso al cospetto del quale la mania berlusconiana per la crescita dei (suoi) capelli ci fa quasi una bella figura.