Alle porte delle elezioni presidenziali in Egitto
Man mano che si avvicinano le elezioni presidenziali del 23 e 24 maggio, il paese, anzitutto Il Cairo e Alessandria, è attraversato da tensioni sociali e politiche destinate ad inasprirsi. Mercoledì 2 maggio violenti scontri erano scoppiati nella capitale davanti al ministero della Difesa.
Gli scontri hanno causato ben 11 morti e un numero imprecisato di feriti. La manifestazione era stata indetta dalle forze islamiste, dalla Fratellanza musulmana e dai salafiti di el-Nur, ma ad essa si sono aggiunte anche le forze laiche e di sinistra, tra cui la Coalizione della gioventù rivoluzionaria e il Movimento del 6 aprile.
Ciò che spinge forze tanto diverse a manifestare congiuntamente è la richiesta che la giunta militare (che dalla caduta di Mubarak l’11 febbraio dell’anno passato detiene il potere) si faccia da parte, non solo dopo le presidenziali, ma già adesso, e ciò allo scopo di assicurare la correttezza nello spoglio dei voti.
Quello di brogli massicci per falsificare il responso delle urne è infatti un timore largamente diffuso in Egitto, tanto più dopo che le autorità hanno respinto, con vari pretesti, alcune candidature, per ultima quella dei salafiti.
Non è stato l’esercito e nemmeno la polizia ad attaccare i manifestanti pacifici mercoledì scorso, ma le squadracce chiamate “baltageya”, in buona parte composte da sbirri in borghese, vecchi seguaci del deposto dittatore e morti di fame prezzolati dal regime. Da mesi queste squadracce, col beneplacito dei militari e della polizia, imperversano in alcuni quartieri e attaccano sistematicamente le manifestazioni delle opposizioni, quelle islamiste comprese.
Attaccano anzitutto le proteste a Piazza Tahrir, luogo simbolo della sollevazione di un anno fa. Lo scopo è duplice: spaventare i manifestanti, obbligandoli a lasciare la piazza ed infine suscitare un clima di guerra civile così da fornire un pretesto ai militari per annullare le imminenti elezioni presidenziali.
La Giunta e Tantawi in persona hanno assicurato che rispetteranno i risultati elettorali, quali essi siano. In pochi ci credono. La vittoria degli islamisti è infatti certa e, malgrado la Fratellanza abbia dato ampie rassicurazioni sia ai militari che al loro protettore americano, il potere, che nella sostanza è lo stesso che ai tempi di Mubarak, non solo non si fida, ma agisce per evitare la consegna dei poteri ai civili.
Ciò dovrebbe far riflettere coloro i quali, da mesi, vanno sostenendo che c’era già l’accordo tra la Fratellanza musulmana, gli americani e i militari per un tranquillo passaggio dei poteri. Questo passaggio è tutt’altro che pacifico. Mentre scriviamo (venerdì 4 maggio) nuovi scontri sono in corso sia al Cairo che ad Alessandria.
In piazza Abbasseya, migliaia di dimostranti, non solo quelli usciti dalle moschee, si sono radunati per chiedere le dimissioni immediate di Tantawi e della Giunta militare. Come accaduto mercoledì essi sono stati brutalmente aggrediti dalle squadracce “baltageya”, che hanno fatto un altro morto e una decina di feriti. Quale sia l’approccio del regime verso i movimenti di protesta non è attestato solo dai quasi cento manifestanti uccisi dall’inizio dell’anno, ma dai diecimila cittadini portati in tribunale con l’accusa di “sedizione”, molti dei quali tradotti in prigione.