Che la crisi sistemica fosse destinata a terremotare anche la sua sovrastruttura politica e istituzionale, noi non avevamo dubbi. Il processo era iniziato sottotraccia anni addietro, attestato, tra l’altro, dalla crescita costante del flusso astensionista.

Non c’è tuttavia una corrispondenza automatica tra marasma economico e sfascio politico. Tra struttura e sfera politica c’è un’interdipendenza, non una mera dipendenza della seconda rispetto alla prima. La sfera politica, ovvero il multiforme e massiccio ceto sociale il cui reddito viene dal “fare politica”, ubbidisce ad un suo sordo istinto di sopravvivenza, ciò che gli consente non solo di resistere allo sconquasso economico e sociale, ma di ostacolare i più profondi processi economici e sociali.

L’intronizzazione del “Governo dei tecnici”, anche per le forme con cui è maturata, se è stata la più lampante conferma che la sovrastruttura politica è ossificata e non risponde più alla struttura sottostante, è anche prova di questa capacità di resistenza. La delega del governo ai “tecnici” non è stata infatti un’abdicazione, una definitiva cessione della propria presunta centralità, ma solo una devoluzione, pensata come parentesi temporanea.

La Caporetto elettorale subita da tutti i partiti — da tutti i partiti che si azzuffano, chi più e chi meno, per trovare un posto nelle istituzioni statali, istituzioni che sono il fortilizio della sfera politica — è anzitutto un colpo micidiale all’illusione che essi possano riconquistare la tradizionale supremazia, sbarazzandosi presto dell’ingombrante Monti. Monti sapeva già che la sua non sarebbe stata una passeggiata, ora è certo che ha davanti a sé la condanna al Calvario, un Calvario che non finirà, presumibilmente con le elezioni del 2013.

Abbiamo quindi il paradosso per cui il “Governo dei tecnici” esce dalla tornata elettorale più debole e più forte allo stesso tempo. La disfatta dei partiti che lo sostengono, sul momento, lo indebolisce infatti, ma proprio questa disfatta accresce il suo potere arbitrale, (bonapartistico), aumenta in prospettiva la sua autonomia dai committenti e rende più realistica l’ipotesi che Monti, lungi dall’essere una parentesi temporanea, diventi la risposta strategica delle classi dominanti alla crisi sistemica, il modo per sbarazzarsi dei partiti che hanno rappresentato i pilastri della “Seconda repubblica”.

Sappiamo quali sono le forze che congiurano per questa rifondazione del sistema politico, sono quelle che vogliono, pur mantenendo una qualche parvenza democratica, scuoiare il popolo lavoratore, seppellire lo stato-nazione, quindi istituire una dittatura diretta delle ristrette oligarchie finanziarie e bancarie inter-nazionali.

Non è un caso che le forze dominanti, quelle che controllano i centri nevralgici del potere, dalle banche ai media, quelle che agiscono per nome e per conto della grande finanza predatoria, non si stanno strappando i capelli per l’avvenuto terremoto elettorale. Esse avevano previsto che sbarazzarsi della “Seconda repubblica” e del suo personale politico avrebbe implicato passare attraverso la porta stretta di un approfondimento della crisi, al limite di una fase di anarchia politica e istituzionale. Rischio calcolato quindi, tanto, così esse ritengono, hanno tutte le risorse per eterodirigere il processo e assicurarsi la vittoria.

Se così stanno le cose è chiaro quale sarà il terreno di gioco dei prossimi mesi (non è detto che siano anni) e la posta in palio. Se Monti diventa il loro cavallo di battaglia, è esso che va azzoppato, colpito, abbattuto. Questo il bersaglio del fronte ampio di cui parliamo. Tutto il resto è secondario, accessorio. Dalla nostra parte abbiamo un alleato enorme, la crisi economica, che si aggraverà, che potrebbe esplodere a breve in colossali crack dei sistemi bancari e quindi in default di alcuni stati, che farà quindi saltare l’eurozona. Una tempesta che travolgerà Monti e il Montismo, e che potrà solo essere sventata da un radicale cambio strategico della politica tedesca. Cambio che non appare nell’ordine delle cose.

Siamo certamente sollevati dai risultati elettorali. Il berlusconismo e il leghismo sono feriti a morte. Il “Terzo polo” è moribondo. I tre pilastri del centro-sinistra (Pd, Idv e Sel) perdono i pezzi. La cosiddetta “sinistra radicale”, dal Prc al Pcl, contrariamente che in Francia, Grecia, Spagna e Portogallo, non ha intercettato un grammo dell’ondata di indignazione popolare, segno di un fallimento senza appello, tanto più perché la rabbia montante non è stata intersecata (ancora) come in altri paesi, da forze populiste reazionarie. Queste forze non hanno idee rivoluzionarie, non hanno una visione storica, non hanno un programma politico, né di fase né strategico, non hanno dirigenti coraggiosi, non hanno linguaggi moderni. Sono abbarbicati ad una visione del mondo tolemaica, navigano a vista, e di questi tempi, chi naviga a vista, è destinato a naufragare sugli scogli. La crisi che subiscono è giunta oramai ad un punto di rottura, e dopo la rottura i pezzi andranno in diverse e opposte direzioni. Una parte sarà risucchiata nel Pd (o in quello che ne verrà fuori), un’altra schizzerà su posizioni estremiste e velleitarie, un’altra, ne siamo certi, raggiungerà il movimento popolare di liberazione, di cui noi siamo solo il lievito.

Inutile, e francamente patetico, accanirsi con il “grillismo”. Che l’indignazione abbia premiato il Movimento Cinque Stelle è un fatto positivo. Si esprime, in questo sfondamento, non solo la rabbia, ma la necessità di una alternativa. Ma il “grillismo” non è un fenomeno destinato alla permanenza. Esso è solo una meteora gassosa che si frantumerà, prima di quanto si pensi, nell’impatto con la catastrofe imminente. E anche di lì verranno forze fresche per salvare questo paese e il popolo lavoratore dall’abisso, per formare un fronte popolare che, sull’onda di una sollevazione generale (non certo di elezioni), sia in grado di prendere in mano le redini del paese.