Con le elezioni non si fanno le rivoluzioni, ma non c’è dubbio che hanno una grande importanza. Un caso di scuola sono le recenti elezioni greche che i cittadini hanno usato non solo per protestare, non solo per mandare a casa il governo, ma per scassare (letteralmente) il sistema politico e istituzionale nato negli anni ’70.
Come la Tabella sotto dimostra il terremoto è stato devastante. Tre i dati eclatanti: (1) la caduta dei tre pilastri del sistema, Nuova democrazia e Pasok, a cui va aggiunto il vero e proprio crollo (nessun seggio) della destra del Raggruppamento Popolare ortodosso (Laos); (2) L’avanzata dei tre partiti della sinistra radicale (31,4% dei voti); (3) l’affermazione, sulle ceneri del Laos, del partito estremista di destra di Alba D’oro e del partito di destra radicale dei Greci Indipendenti.
Come da tempo questo sito va sostenendo, la crisi sistemica è destinata a indebolire le espressioni politiche tradizionali della classe dominante e, di converso a spingere verso una polarizzazione verso le ali estreme. Più la crisi sistemica è profonda, più essa accelera i processi di sfaldamento politico e di riconfigurazione dello scenario politico.
Pere e mele non si possono sommare, tuttavia i partiti greci (di sinistra e di destra) che si oppongono alle politiche draconiane imposte dalla Unione europea sono di fatto al 66%.
Lo tsunami elettorale greco, la batosta presa dai partiti dell’austerità europeista (fenomeno confermato anche dalle elezioni italiane e francesi), preoccupa assai non solo il mondo della finanza speculativa globale, ma tutto l’establishment oligarchico europeo. Nessun governo può essere formato, col che si paventa la cosiddetta “anarchia politica”. I dominanti temono il contagio.
Il capo dello Stato greco, Karolos Papoulias, dopo la rinuncia di Antonis Samaras (Nuova democrazia) e di Alexis Tsipras (Syriza) ha dato l’incarico al precedente ministro delle finanze Evangelos Venizelos del Pasok, che evidentemente fallirà rimettendo anche lui il mandato.
I tedeschi hanno subito messo le mani avanti: «Se la Grecia decide di uscire dall’euro, non possiamo costringerla. Saranno loro a decidere se restare o no», ha affermato il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble. Questo in barba a tutte le idiozie per cui l’uscita di uno Stato dall’eurozona sarebbe “impensabile”. Guido Westerwelle, ministro tedesco degli esteri ha rincarato la dose minacciando: «Se i greci non continuano con le riforme gli aiuti non saranno versati». Traduzione in parole semplici: il governo tedesco non solo si sta attrezzando all’uscita della Grecia, ma la ritiene ineluttabile.
Non c’è dubbio che il successo delle sinistre radicali è dovuto alla loro intransigente opposizione alle politiche draconiane d’austerità imposte dall’Unione europea. Ciò vale per Sinistra democratica (formata appunto da parlamentari del Pasok che votarono contro quelle misure), per la coalizione Syriza (che raggruppa, attorno al Synaspismos (proveniente dalla vecchia scissione euro-comunista del Kke), sia gruppi movimenisti no-global che piccoli partiti di estrema sinistra — è un errore grossolano quello della superficiale stampa italiana che paragona Syriza ai vendoliani o addirittura al defunto Arcobaleno —, che per il Kke, che invece da sempre si è opposto all’ingresso della Grecia nell’Unione e all’adozione dell’euro.
Syriza, contrariamente al Kke, non propugna l’uscita dall’euro e dall’Unione europea. ha una posizione del tutto simile al Prc italiano, a quella del Front de gauche francese, alla Linke tedesca e a Izquierda unida in Spagna (non a caso tutti facenti o ex-facenti parte a Strasburgo del gruppo parlamentare della Sinistra europea). Syriza propugna un europeismo di tipo keynesiano, chiede che la Bce possa fungere da prestatore di ultima istanza, che possa dare soldi agli Stati e comprare direttamente i titoli di debito pubblico, nonché chiede l’emissione di eurobond. Ma chiede anche, e questo conta per spiegare il suo successo strepitoso, che la Grecia ripudi il debito pubblico, così da porre fine alle politiche di macelleria sociale. Se ci è consentito una posizione più radicale di quella ben più sfumata del Prc (per non parlare di quella dei vendoliani). Syriza è stata infine premiata dagli elettori greci per non aver mai sostenuto i governi del Pasok — e questo fa una bella differenza col Prc italiano, che per ben due volte ha fatto parte dei governi di centro-sinistra e che neanche adesso esclude l’alleanza col Pd.
Perché il Kke, che sulla carta ha una posizione più netta, non è stato invece premiato dagli elettori? Alcuni ritengono che sia stato punito proprio per il suo “anti-europeismo estremista”. Secondo noi il Kke è rimasto al palo, anzitutto, per la sua politica ottusamente settaria, per il suo radicale rifiuto di fare fronte con le altre forze politiche di sinistra. Tanto per fare un esempio: l’altro ieri, alla richiesta del leader di Syriza Alexis Tsipras di tentare di formare un governo unitario di sinistra (che era appunto lo slogan principale della campagna elettorale di Syriza), il Kke ha risposto un categorico no. Insomma: la linea del Kke non ha pagato perché è apparsa settaria e al contempo astratta e parolaia, opposta alla formazione di un governo d’emergenza popolare. [1] Riteniamo infine che il Kke sia stato punito per la sua sfrontata denuncia della insurrezione del dicembre 2008 come “complotto anti-greco della Cia”, così come per il suo smisurato disprezzo delle battaglie di strada della combattiva gioventù anarchica.
Quanto diciamo è confermato anche dai risultati delle altro formazioni d’estrema sinistra, che hanno ottenuto risultati a dir poco penosi.
Antarsya (Cooperazione della sinistra anticapitalista per il sovvertimento), un blocco della sinistra anticapitalista, anti-Unione e anti-Euro — che raggruppa una decina di gruppi attorno all’asse principale, il Nar (Nuova Corrente di Sinistra), una scissione di sinistra del Kke— ha ottenuto 75,439 voti (l’1,19%). Un aumento rispetto alle politiche del 2009, quando ottenne 24,737 voti (0,36%), ma un calo rispetto alle regionali del 2010, quando prese 96,959 (1,80%).
Un risultato da prefisso telefonico hanno ottenuto i due gruppi maoisti tradizionali coalizzati (il Kke-ml e il ML-KKE): 16,049 voti (0,25%). Un calo rispetto ai voti che prese nel 2009 il Kke-ml da solo.
Per finire abbiamo l’Eek, il trotskysta Partito operaio rivoluzionario di Savas Michael-Matsas che ha ottenuto la manciata di 6,095 voti (0,10%).
Non pagano evidentemente, oltre al settarismo e al rifiuto di costruire un fronte ampio per un governo popolare d’emergenza, vedi il Kke, il radicalismo astratto, il rivoluzionarismo parolaio, la ripetizione a pappagallo delle vecchie formule propagandistiche.
Anche alle luce della situazione greca, noi pensiamo che siano giuste la linea politica e la proposta del MPL, che possiamo riassumere in tre punti base e quattro proposte centrali: (1) la crisi sistemica spinge verso la sollevazione popolare; (2) serve un fronte popolare per indirizzarla; (3) il fronte deve sfidare le classi dominanti per formare un governo d’emergenza. Questo governo deve basarsi su quattro proposte centrali: (a) Ripudio del debito pubblico (fatti salvi i risparmiatori italiani); (b) Uscita dall’euro e dall’Unione europea riconquistando la sovranità popolare, nazionale e monetaria; (c) Messa sotto controllo pubblico della Banca centrale; (d) Nazionalizzazione del sistema bancario.
Note
[1] Scrivevamo nel settembre 2011:
«Non è un bene che malgrado questo comune sentire, nonostante l’accordo su questi due punti cruciali non ci sia unità tra le forze anticapitaliste. Predomina infatti il settarismo, di cui il KKE è capostipite. Col pretesto che solo il socialismo è la sola via d’uscita alla crisi, il KKE rifiuta categoricamente ogni fronte unitario anche con chi chiede la cancellazione del debito e l’uscita dall’euro». In: La posizione del Kke
da Sollevazione