Una critica pseudo-rivoluzionaria

Il 9 maggio scorso Beppe Grillo, concedendo un’intervista all’agenzia Bloomberg, ha rotto gli indugi e perorato l’uscita dell’Italia dall’euro e il ritorno alla lira. Ognuno capisce che questa sortita ha una straordinaria importanza politica, tanto più perché avvenuta dopo il grande successo elettorale del 6 maggio delle liste del Movimento Cinque Stelle.

Grillo ha testualmente affermato:
«Il debito pubblico sale, la spesa pubblica è fuori controllo, le aziende falliscono, i costi del lavoro aumentano, gli stipendi calano e noi non abbiamo nemmeno più la possibilità di contrattare sul nostro debito… l’euro è un cappio al collo che si restringe di giorno in giorno… Con l’uscita dall’euro l’Italia potrà svalutare la cara vecchia lira del 40-50%, e anche se ciò non risolverà tutti i problemi economici del Paese, renderà le nostre esportazioni più competitive». [Il Sole 24 Ore, 10 maggio 2012]

E bravo Beppe Grillo! Ti meriti il voto al ballottaggio di Parma.
Grillo viene bollato, dalla casta politica, come un pagliaccio e, con questa scusa la sua sortita non è stata presa sul serio. Anzi, in mezzo al teatrino elettorale, essa è stata sostanzialmente silenziata, perché troppo scomoda e devastante. La solita strategia in due tappe: prima la censura, poi, semmai, lo sputtanamento. Meglio, per adesso, non far ragionare gli italiani sulla questione decisiva dell’euro e farli discorrere d’altro.

La sinistra “radicale” si è attenuta alla consegna del silenzio. Ha fatto finta di niente. Le ragioni sono due: la prima è che sull’euro e la questione della sovranità monetaria si dimena in una confusione teorica imperdonabile; la seconda è che la sinistra “radicale” fu complice dall’adozione della moneta unica, essendo stata negli anni ’90 nello sciagurato governo Prodi che fece sparire la lira.

Ha fatto eccezione il Partito comunista dei lavoratori, che ha avuto almeno il merito di cogliere l’importanza della sortita di Beppe Grillo. Così, il 12 maggio, sul sito del Pcl appariva un articolo dal titolo La “svalutazione” del Grillo. Si tratta di una critica maligna, segnata dalla necessità del Pcl di “smarcarsi” a sinistra, di mettere in cattiva luce Grillo e il Movimento Cinque Stelle.

Bagno di sangue…

Vediamo anzitutto di che tipo sia la critica del Pcl. Essa si compone di due parti. Una negativa, l’altra positiva o affermativa. Due le paroline magiche della parte negativa: “salto ulteriore” e “dentro il quadro capitalistico”. Il Pcl scrive:

«Infatti, un puro ritorno dell’Italia alla lira, una pura uscita dell’Italia dall’euro, DENTRO IL QUADRO CAPITALISTICO, comporterebbe in sé un salto ulteriore dell’impoverimento di salari e stipendi, una ulteriore polverizzazione dei risparmi dei ceti popolari, un’ulteriore mazzata sui costi dei servizi e sulle tariffe per la maggioranza della società italiana. Le classi dominanti potrebbero cavarsela come sempre: con le armi della speculazione, del traffico delle monete, dell’esportazione di capitali, e persino, in qualche caso, delle esportazioni più competitive care a Grillo ( salvo la contraerea prevedibile delle misure protezioniste degli altri Stati capitalisti). Ma per i proletari sarebbe davvero “un bagno di sangue” come lo stesso Beppe si è lasciato scappare: perché è sulle loro spalle che le classi proprietarie scaricherebbero l’intera operazione».

La tesi è apodittica, anzi, per la gioia degli eurocrati alla Monti, terroristica: un ritorno alla sovranità monetaria del nostro paese, l’abbandono dell’euro, causerebbero, fate bene attenzione, un bagno di sangue poiché, «… comporterebbe in sé un salto ulteriore dell’impoverimento di salari e stipendi, una ulteriore polverizzazione dei risparmi dei ceti popolari, un’ulteriore mazzata sui costi dei servizi e sulle tariffe per la maggioranza della società italiana».

Il Pcl sa infatti benissimo che un bagno di sangue il popolo lavoratore lo subisce già da tempo e lo subisce appunto non solo in nome dell’euro ma anche a causa dell’euro. Il Pcl sbraita astrattamente contro il neoliberismo ma, come la gran parte della sinistra, è del tutto incapace di svelare il nesso esistente tra l’astratto e il concreto, incapace di comprendere (e quindi di spiegare ai cittadini) perché l’avvento della moneta unica è stato ed è uno dei fattori decisivi che ha causato il bagno di sangue già in atto. Il Pcl non è in grado di cogliere, o meglio non vuole, che l’adozione dell’euro non è stato un orpello ma un fattore determinante, sia dal punto di vista dei guasti sociali che dal punto di vista strategico e geopolitico.

Abbiamo spiegato a iosa che la moneta unica è stata una vera e propria arma di distruzione di massa, il piede di porco con cui le classi dominanti europee, coalizzate, hanno scassato il modello e le relazioni sociali nate dalla poderosa avanzata degli anni ’60 e ’70. L’euro è stato infine lo strumento grazie al quale il capitalismo finanziario-predatorio ha preso il sopravvento; il fattore grazie al quale c’è stata la crescita abnorme della debitocrazia; che ha accresciuto le diseguaglianze non solo tra classi sociali ma tra nazioni; che ha concausato il marasma economico attuale; che ha infine scippato i popoli della loro sovranità e rafforzato una coalizione sovranazionale imperialistica. Il Pcl glissa bellamente sul fatto che queste considerazioni sono patrimonio di buona parte degli stessi economisti e la butta in caciara citando non il fior fiore degli economisti non-liberisti ma… Belpietro e il quotidiano Libero. Troppo facile, troppo comodo.

Qui non abbiamo a che fare solo con un totem ideologico monetarista-liberista, iscritto nei Trattati di Maastricht, codificato nello Statuto della Bce e nel recente Fiscal compact. Qui parliamo di un colossale e fattuale processo economico-sociale, parliamo di un mutamento profondo nella vita dei popoli, nella vita e nelle relazioni non solo tra le classi ma tra gli stati.

Affermare che tornare alla sovranità monetaria e abbandonare l’euro causerebbe un bagno di sangue, è già imperdonabile di per sé: scimmiottando i Draghi, i Barroso e i Monti, non solo si utilizza lo stesso linguaggio terroristico con cui si tengono i popoli soggiogati ad un totem, si spaccia un risultato storico, frutto della decisione soggettiva dei dominanti (vero e proprio disegno di ingegneria economica) come una specie di processo naturale oggettivo, ineluttabile. I processi storici non sono irreversibili come quelli naturali.

In base a quali criteri scientifici il Pcl pronostica sfracelli? Che abbandonando l’euro, “nel quadro capitalistico”, passeremmo dalla padella alla brace? Nessuno veramente, solo concetti-spauracchio: «… impoverimento di salari e stipendi, una ulteriore polverizzazione dei risparmi dei ceti popolari, un’ulteriore mazzata sui costi dei servizi e sulle tariffe per la maggioranza della società italiana». Gli stessi concetti-spauracchio, a ben vedere, sono utilizzati dagli eurocrati per obbligare gli stati a rimborsare i loro debiti con la finanza speculativa internazionale. “Se non rispettate i creditori, se non pagate, se farete default, andrete in bancarotta e farete la fame per cinquat’anni”. Come mai il Pcl respinge questi argomenti in merito al debito ma li utilizza pari pari sulla questione della moneta? Ci permettiamo di fornire una risposta: per incompetenza conclamata in materia.

Il Pcl sostiene, contro il ritorno alla sovranità monetaria, che «Le classi dominanti potrebbero cavarsela come sempre: con le armi della speculazione, del traffico delle monete, dell’esportazione di capitali». Ma questo rischio, come tutti possono facilmente intuire, ci sarebbe anche ove l’Italia andasse in default e rifiutasse di rimborsare i debiti contratti con gli strozzini della finanza speculativa globale. Anzi, per dirla tutta, questi ultimi lo stanno facendo già a partire dall’estate scorsa, vendendo a man bassa i titoli di stato italiani, causandone così il deprezzamento e il contestuale aumento degli interessi e acquistando i titoli tedeschi o americani (di qui la crescita dello spread). Per cui, a discorsi-spauracchio dei dominanti e dei banchieri, dobbiamo rispondere che la speculazione e lo strozzinaggio ci sono già e sono una delle cause del marasma, e che la cancellazione del debito è la cura di una patologia già gravissima. Non è vero compagni del Pcl? Certo che è vero!

Non c’ alcuna evidenza storica, alcuna prova empirica che l’abbandono di una moneta unica e il ritorno alla sovranità monetaria di uno Stato sia un disastro come sostengono i demiurghi dell’euro (il Pcl e i politicanti della sinistra). Semmai abbiamo elementi che dimostrano l’opposto: ovvero che il ritorno alla piena sovranità monetaria è stato il risultato del fallimento degli esperimenti in senso contrario. Ad esempio l’abbandono della dollarizzazione da parte dei paesi latino americani, caso esemplare quello argentino. Nel 1991 il Presidente argentino Menem introdusse nel proprio paese la parità fissa peso-dollaro USA (ley de convertibilidad). L’esperimento si concluse nella catastrofe; aumento spropositato dei divari sociali, crescita abnorme del debito pubblico, crollo delle esportazioni, stagnazione, aumento delle asimmetrie con gli altri paesi del Mercosur, fuga in massa dei capitali, corruzione endemica. I compagni del Pcl dovrebbero chiedere ai loro fratelli argentini del Partito obrero come andarono le cose, come la dollarizzazione e le politiche monetariste causarono il default e la fuga in massa dei depositi bancari. Ci risulta che tutta la sinistra argentina ai tempi di Menem, giustamente, condannava la dollarizzazione e si batteva per riconquistare la piena sovranità monetaria. Per quanto terribile per le sue momentanee conseguenze sociali, il default del 2001-2002, quindi svalutazione del pesos e inflazione, furono infatti le premesse per il successivo e prolungato periodo di crescita economica.

Andrebbe poi rammentato che l’euro nacque, nel 1999, dopo il fallimento delle esperienze del Serpente monetario europeo (1972) e del Sistema monetario europeo (1979). In tutti e due i casi le bande di fluttuazione tra le monete nazionali, fissate a priori, saltarono a causa delle diverse condizioni e politiche nazionali, così che alcuni paesi abbandonarono prima l’uno e poi l’altro —clamoroso il caso della temporanea uscita della lira italiana nel settembre del 1992 e della successiva svalutazione: crisi che fu causata proprio dalla possibilità che i tassi di cambio programmati fornirono alla speculazione finanziaria. La Lira rientrò nello Sme nel 1996 (dopo le cure da cavallo di Amato e Ciampi), errore che gli inglesi si guardarono bene dal compiere.

Saggezza avrebbe chiesto, se non una marcia indietro, prudenza, un ulteriore periodo di rodaggio, invece la casta sacerdotale degli eurocrati spinse in senso contrario, con la filosofia del O la va o la spacca. L’euro nacque come forzatura soggettivistica e dirigistica, come atto estremo e unilaterale. Ma, in condizioni capitalistiche, il mercato si vendica sempre e, alla fine ha la meglio. Gli eurocrati scommisero che col salto verso la moneta unica i differenziali tra i paesi si sarebbero appianati. E’ accaduto esattamente il contrario: la crisi degli spread e dei debiti sovrani, gli squilibri tra le bilance dei pagamenti, tutti gli altri parametri economici dimostrano che l’euro, invece di perequare ha accentuato le sperequazioni tra le economie europee.

Ciò che i compagni del Pcl in modo imperdonabile dimenticano non è solo che il “bagno di sangue” è già in atto, ma che la disgregazione dell’eurozona è un processo in atto, un fatto oggettivo e, ancor più importante una delle cause primarie del marasma generale. Lo diciamo solo noi del MPL? Nient’affatto, lo dicono, senza oramai peli sulla lingua, gli stessi analisti mainstream:
«La scommessa di sempre, il disfacimento dell’euro, è apparsa ieri ancor più forte. Ora i Btp, i Bonos e persino gli Oat francesi più che il rischio default scontano quello d’essere ridenominati nelle singole valute nazionali. E pure i Bund tedeschi, all’1,4%, sembrano già espressi in un Deutsche Mark che vale almeno il 50% più della lira». [Walter Riolfi, Il Sole 24 ore del 15 maggio 2012]

Parlando a nuora perché suocera intenda

Un partito serio (che diciamo partito, un collettivo, che diciamo collettivo, chiunque non abbia fette di prosciutto sugli occhi) da questo processo di disfacimento dovrebbe partire, analizzarlo seriamente, spiegarlo, indicare le soluzioni. E non fare gli spergiuri o gli esorcismi, oppure, come fa il Pcl suonare la convenzionale e noiosa antifona che… la sola soluzione è la rivoluzione. Poiché oltre a questo, infatti, il Pcl, non va.

Sentiamo infatti qual è la parte positiva o affermativa secondo il Pcl:
«L’impostazione di Grillo va allora esattamente capovolta, se si vuole partire dagli interessi dei lavoratori. Solo una rottura anticapitalista, solo il rovesciamento della dittatura degli industriali e dei banchieri, solo un governo dei lavoratori e della popolazione povera, potrebbe fare i conti con l’Unione Europea, dal versante delle ragioni degli sfruttati e degli oppressi. Cancellando il debito pubblico verso le banche ( con la salvaguardia dei piccoli risparmiatori); nazionalizzando le banche sotto controllo dei lavoratori e senza indennizzo per i grandi azionisti; unificando gli istituti di credito in una unica banca pubblica sotto controllo sociale; espropriando la grande industria e le grandi catene commerciali, sotto il controllo dei lavoratori; introducendo il monopolio del commercio estero; riorganizzando da cima a fondo l’intero funzionamento dell’economia e della società finalmente liberate dall’oppressione del capitale finanziario, e quindi libere di definire democraticamente un piano di scelte razionali suggerite dai bisogni della maggioranza. Certo, questo governo, e questo programma, romperebbero unilateralmente con l’Unione Europea delle banche, le sue imposizioni, i suoi fiscal compact, i suoi memorandum. E in questo quadro affronterebbe liberamente la scelta della moneta. Ma potrebbe fare tutto questo avendo tagliato le unghie al capitale in funzione della difesa dei salariati. Avendo tagliato alla radice il potere della speculazione dei ricchi contro i poveri. Avendo messo al posto di comando chi non ha mai comandato: i lavoratori e la popolazione povera».

Appunto. Prima si faccia la rivoluzione socialista, prima si esproprino i capitalisti e si socializzino i mezzi di produzione e scambio; tutto il resto verrà da sé, tra cui la “quisquilia” della sovranità monetaria. Mai capovolgimento è stato più astratto e campato per aria e, se ci è permesso, in stridente contraddizione con la migliore tradizione marxista, a partire dallo stesso Manifesto del partito comunista, che concepiva, prima del definitivo abbattimento del capitalismo, una fase di passaggio in cui un governo popolare avrebbe anzitutto adottato misure d’emergenza tra cui le nazionalizzazioni, appunto, del sistema bancario e dei settori economici vitali. Sulla stessa falsa riga si muovette il partito di Lenin nel 1917 (La catastrofe imminente e come lottare contro di essa) che conquistò il potere sulla base di tre rivendicazioni centrali, per sé stesse nient’affatto socialiste: pace senza condizioni, terra ai contadini, assemblea costituente. Idem con patate per quanto riguardò la Terza ma pure la Quarta internazionale: entrambi immaginarono la nascita di un governo operaio e contadino che avrebbe adottato misure economiche, sociali e politiche di transizione che non erano il socialismo, e nemmeno la famigerata dittatura proletaria, ma solo una porta d’ingresso verso la fuoriuscita dal capitalismo.

Il Pcl la fa facile a polemizzare con qualche frase di Grillo. Non ci sfugge che parla a nuora perché suocera (non solo noi, ma il numero crescente dei rivoluzionari che osano sfidare il tabù decotto dell’euro) intenda.

Se parla alla suocera il Pcl sappia che per noi del Mpl l’abbandono dell’euro è uno degli elementi cardinali di un programma economico, sociale e politico che solo un governo popolare d’emergenza può applicare. Un programma coerente appunto, non una misura salvifica, tra cui (1) la rinuncia a pagare il debito (default programmato), (2) la nazionalizzazione del sistema bancario e assicurativo e dei settori strategici come energia e comunicazioni), (3) il controllo pubblico della banca centrale.

Si obietta: ma anche il Pcl propone queste misure. Esatto, ma anche un cretino capisce che queste tre misure cardinali sono assolutamente impossibili stando nell’eurozona e senza violare i patti europei (Maastricht, Lisbona, Fiscal Compact). Chiunque mastichi, non diciamo l’economia politica, ma non faccia a pugni con le leggi economiche più elementari e con la stessa logica; chiunque, dicevamo, capisce, che se un paese non è sovrano, se non ha la proprietà della moneta e la facoltà di emetterla non ha possibilità alcuna di applicare alcuna altra misura sociale, non avrebbe nemmeno quella, per dirla tutta, di pagare gli stipendi ai propri funzionari statali, di sovvenzionare la spesa sociale, per non parlare di investimenti diretti e indiretti nella sfera economica — anche al settore privato signori, sì, anche quello. Un governo popolare non potrebbe fare nulla di nulla se non disponesse della facoltà di emettere moneta e più in generale della leva monetaria! Dovrebbe usare l’euro? o il dollaro? E che sovranità sarebbe? Esso resterebbe ingabbiato nel capitalismo-casinò, preda come prima e più di prima della finanza predatoria e, dopo due giorni, andrebbe carte quarantotto.

Insomma: ciò che il Pcl mette in fondo alla sua lista della spesa, il senso di realtà mette invece all’inizio, come precondizione logica e pratica. E’ quindi il ragionamento del Pcl che va capovolto.

Anche noi, come si sa, ci battiamo per il socialismo, pensiamo che solo il socialismo porrà fine ad un sistema che, oltreché disumano, passa da una cataclisma all’altro. Ma la fuoriuscita dal capitalismo è appunto un fine, un punto d’approdo che chiede tempi lunghi, sforzi titanici, il più ampio consenso sociale. Implica una fase di passaggio, la cui durata non si può stabilire in anticipo, in cui elementi capitalistici coabiteranno con quelli socialisti nascenti. Una competizione certamente conflittuale, madre di contraddizioni che andranno governate e risolte, il tutto per dire che il settore socialista prevarrà solo se batterà sul campo quello capitalistico, e lo batterà se saprà dimostrare di produrre meglio con meno dispendio di risorse, umane e naturali, se creerà beni, materiali e immateriali eccedenti lo stretto necessario, ciò senza ricorrere allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Il socialismo batterà il capitalismo insomma, solo se saprà superarlo, e per questo sono indispensabili l’ausilio delle istituzioni dello Stato nuovo e la spinta di un vivace protagonismo popolare. E’ evidente che questa è una missione dai tempi storici, che impiegherà più generazioni. Chi pensa a tempi stretti e a rivoluzioni catartiche si racconta storie e si romperà la testa.

Nel frattempo la catastrofe sociale incombe. Abbiamo anni, non decenni, per evitare un’ecatombe. Questa minaccia chiede misure d’emergenza e un fronte popolare che sia deciso ad andare al governo per applicarle. Un governo che non sarà “monocolore”, che sarà composto da chi ha a cuore le sorti del popolo lavoratore e di questo paese (pensiamo intanto al nostro che gli altri popoli penseranno ai loro). Superata positivamente la fase dura dell’emergenza, una volta salvate le fondamenta, solo dopo si aprirà la battaglia tra chi vorrà andare avanti e chi vorrà fermarsi, tra nuovi e diversi modelli sociali. La rivoluzione è permanente, detto altrimenti, un processo.