Note sul Movimento 5 Stelle

Un nuovo intervento sul significato e le conseguenze della recente affermazione elettorale del Movimento 5 Stelle

In Italia, oggi, nel 2012, c’è una nuova Santa Alleanza, una riunione di tutti i partiti della Seconda Repubblica in una caccia contro uno spauracchio mostruoso, lo spettro del grillismo. Il successo del M5S nella recente tornata elettorale amministrativa ha agitato le acque stagnanti e maleodoranti della politica italiana.

Come mai questa vittoria del M5S ha seminato il panico nelle forze politiche, in particolare in quelle di “sinistra”? Va detto preliminarmente che vi è stata sino a qualche mese fa una generale sottovalutazione del fenomeno. Nel primo VDay  del 2007 a Bologna, un Beppe Grillo molto più bravo delle forze politiche a captare i sentimenti popolari disse: “I politici penseranno che noi siamo dei mattacchioni, e che stiamo scherzando. Ma quando capiranno che siamo tremendamente seri, per loro sarà troppo tardi”. Le cause principali di questi attacchi di panico  politico sono due.

La prima è che la stragrande maggioranza degli attivisti e dell’elettorato del M5S è composta da giovani. Questa classe politica è letteralmente terrorizzata dal fatto che molti giovani sono passati direttamente dall’astensionismo o dalla delega, alla militanza bypassando le vecchie forze politiche.

La seconda, forse ancora più tremenda della prima, è che questi giovani hanno completamente abbandonato la dicotomia Destra/Sinistra. Dicotomia che, perlomeno in Italia, è effettivamente superata nei fatti, come dimostra la Grosse Koalition che sostiene la giunta Monti-Napolitano. Che una formazione politica fuori dalla finta contrapposizione centrodestra/centrosinistra ottenga un ottimo risultato elettorale è più di un semplice campanello d’allarme per questa classe politica.

Perché la sinistra cosiddetta “alternativa” o “radicale” non è riuscita a intercettare queste esigenze e a  proporsi come sbocco politico alle aspirazioni di questi giovani e non più giovani? Avendo conoscenza personale pluridecennale e diretta dei fatti e dei personaggi potrei dilungarmi per pagine sull’argomento, raccontando anche aneddoti divertenti, ma mi limito all’essenziale in poche righe. In sintesi la differenza fra il M5S e la suddetta sinistra può essere espressa così: il M5S è uno strumento per far esprimere direttamente i giovani, mentre la sinistra vuole solo vincere l’appalto per la rappresentanza dei loro interessi, ma poi in parlamento devono andarci Oliviero Diliberto o qualche giovane già predestinato alla carriera come Gennaro Migliore (il cognome non tragga in inganno il lettore), detto Epurator, già velino dell’InFausto Bertinotti, oggi felicemente imbucato in SEL alla ricerca della poltrona perduta.  Questa sinistra non ha alcun futuro perché è alternativa a parole, ma pronta ad accodarsi al PD e ad abbandonare gli obiettivi se le poltrone istituzionali sono a rischio. Ad esempio, Grillo può denunciare la presenza delle basi NATO in Italia, mentre Ferrero e Diliberto non lo possono fare, altrimenti Bersani non li carica sul carrozzone del centrosinistra e addio poltrone. Vendola, poi, ha solo la funzione dell’accalappiacani, e cioè riportare poeticamente al canile del PD gli elettori potenzialmente randagi.

Come si difende questa classe politica dagli attacchi di Beppe Grillo e dall’avanzata del M5S? Innanzitutto con dichiarazioni terroristiche. Dice ad esempio Massimo D’Alema: “Dobbiamo renderci conto che noi siamo un grande Paese europeo, con vincoli economici internazionali. E dobbiamo immaginarci cosa potrebbe succedere se nel 2013, nel compiacimento generale, un fenomeno di questo tipo dovesse esplodere a livello nazionale con parole d’ordine come l’uscita dall’euro o il fatto che non dobbiamo pagare il debito pubblico. Capisco che tutto questo faccia divertire i media e che la sinistra vecchia, noiosa e burocratica venga presa a ceffoni… Ma dobbiamo tutti renderci conto che se dovesse vincere una forza di questo tipo per l’Italia sarebbe il crac” (ASCA, 23 maggio).

Non si può non notare, all’interno di questa tornata elettorale europea di primavera, un’anomalia tutta italiana. In tutti i Paesi europei, i partiti che hanno sin qui governato la crisi del capitalismo vengono duramente puniti, e le forze istituzionali di opposizione se ne avvantaggiano. In Italia, il centrodestra si sfascia anche e soprattutto a causa degli scandali e viene duramente punito dall’elettorato, ma i partiti d’opposizione parlamentare o aspiranti tali non guadagnano un voto che è uno, anzi. Gli unici veri vincitori risultano l’astensionismo e il M5S. Tutti gli altri hanno perso, compreso il PD che per bocca del suo segretario Pinocchio Bersani afferma invece d’aver vinto le elezioni.

Il dato dell’astensionismo  è sempre quello più importante da osservare per valutare correttamente qualsiasi risultato elettorale. Dalla sua percentuale si misura la validità della prova elettorale e la legittimità a governare degli eletti. Generalmente il discorso sull’astensionismo viene liquidato nel giro di un’ora dalla chiusura delle urne con il rammarico di tutte le forze politiche che esprimono preoccupazione per la tenuta della “democrazia”, dopodiché si passa alle percentuali ottenute dai partiti, che sono quelle che contano per spartirsi le poltrone. Non è quindi un caso che i risultati elettorali vengano forniti in percentuale e non in voti reali. Se così non fosse, ci si accorgerebbe subito del trucco, e cioè che nella stragrande maggioranza dei casi, soprattutto nei sistemi elettorali a doppio turno come ad esempio nel caso dei sindaci, gli eletti sono espressione di un’esigua minoranza di cittadini che quasi mai supera il 30% degli aventi diritto al voto.  Il PD, ad esempio, che si dichiara vincitore della tornata elettorale ha perso 90.000 elettori, ma il caso più emblematico è quello di Genova, dove solo un elettore su due si è recato alle urne al primo turno e nemmeno quattro su dieci al secondo. In sostanza, il marchese rosso Marco Doria è stato votato solo dai parenti stretti e dai tifosi della sua curva. Al contrario di Parma, dove al ballottaggio l’astensionismo è stato molto contenuto.

Insomma, la maggioranza del popolo italiano ha delegittimato in blocco questa classe politica, e non potendo negare la vittoria di Grillo, si declassa la vittoria del M5S a “voto di protesta”, ad “antipolitica”; e Grillo a demagogo e populista. Ma la preoccupazione è evidente tanto che, subito dopo il primo turno, il comunista preferito da Kissinger, l’ex comunista riciclato Giorgio Napolitano ha sollecitato le delegittimate forze politiche ad operare velocemente quelle “ineludibili” modifiche costituzionali e un cambiamento ad hoc della legge elettorale con l’evidente intento di sbarrare la strada a qualsiasi nuova forza politica esterna ed incompatibile col teatrino delle marionette di centrodestra e di centrosinistra.

Un’ultima constatazione sul M5S. Quando nacque nel 2005, era più che altro un movimento che si proponeva di cambiare le storture del sistema capitalistico per farlo funzionare meglio, per renderlo efficiente, per cambiarne i manovratori considerati più che altro incompetenti. I privilegi e gli scandali della classe politica hanno poi trasformato il M5S nel movimento anticasta per eccellenza. Nonostante la campagna elettorale testé conclusa fosse amministrativa, Grillo si è pronunciato contro il pagamento del debito pubblico e per l’uscita dall’euro. Se alle parole farà seguire i fatti, e se gli eletti del M5S negli enti locali sapranno approcciare il problema del lavoro, sinora scarsamente toccato da Grillo, in un modo totalmente diverso e opposto dalla giunta Monti-Napolitano, ci troveremmo di fronte ad una novità assoluta in Italia: un movimento popolare antisistema non ideologico.

Meglio non abbandonarsi a facili entusiasmi rivoluzionari, ma se questa non è una rivoluzione culturale, poco ci manca.

Cesare Allara
Torino 28 maggio 2012