Se fino a ieri si trattava di indebolire il sistema politico, oggi è possibile osare di più, puntando alla sua completa destrutturazione

Poteva il sistema politico uscire indenne dalla crisi economica che sta devastando l’Italia? Evidentemente no. Se a novembre era stato necessario il golpe bianco euro-bancario per formare un nuovo governo, le elezioni di maggio (per quanto parziali) hanno fatto emergere in pieno la crisi del sistema politico costruito a partire dall’adozione del sistema maggioritario nel 1993. La Seconda Repubblica è morente, ma ancora non si sa cosa verrà dopo. Il bipolarismo è finito, ma cercheranno di rianimarlo in tutti i modi.

Quel che prevale oggi è non a caso la confusione. Tutte le principali forze politiche sono, chi più chi meno, in affanno. Ancora più dissestate sono le coalizioni, quelle “storiche” (centrodestra e centrosinistra) e quelle su cui si è ragionato (e fantasticato) in questi ultimi tempi. Il sistema politico appare in tilt e, cosa ancora più importante, incapace di ristrutturarsi per tempo in vista delle elezioni del 2013. L’arma segreta di questa ristrutturazione, cioè l’ennesimo imbroglio del “cambiare tutto per non cambiare niente“, doveva essere la nuova legge elettorale, ma ad oggi l’accordo su questa legge sembra ancora in alto mare.

Partiamo allora da questa fotografia per cercare di capire quali potranno essere le linee di sviluppo, sempre tenendo a mente che a fianco e sopra il disfacimento del sistema politico opera potentemente la crisi economica, ed in particolare l’incipiente crac dell’Eurozona. Questo per ricordarci che, anche negli sviluppi della crisi politica italiana, alla fine peseranno di più le scelte della Merkel e della Bce, piuttosto che le strategie degli esangui Bersani, Alfano e Casini.

Ma andiamo con ordine, procedendo per punti.

1. Un governo di minoranza

Il governo Monti non ha più la maggioranza nel paese. A qualcuno questo sembrerà un dettaglio, a noi no. Non solo perché il governo dei professori è così delegittimato da ogni punto di vista, ma anche perché un eventuale tentativo montista alle prossime elezioni pare destinato alla sconfitta. Proiettando i voti ottenuti alle amministrative dall’attuale tripartito Pd-Pdl-Udc che sostiene il governo si arriva ad un 50% scarso. Ma l’idea era quella di cavalcare l’antipartitismo diffuso con una lista direttamente riconducibile al professor Quisling, il quale secondo alcuni suoi sostenitori (vedi il prof. Sartori) avrebbe avuto addirittura la forza di vincere da solo.

Questa ipotesi – palesemente infondata – fa a pugni anche con l’ultimo sondaggio Demos, pubblicato da la Repubblica del 3 giugno. Secondo questo rilevamento, peraltro operato per conto di un quotidiano ultra-montista, il gradimento per il governo è passato dal 78,6% del novembre 2011, al 61,7% del marzo scorso, per arrivare al 45,3% attuale. Una bella curva, non c’è che dire, che ha trovato un puntuale riscontro nei risultati delle amministrative del 6-20 maggio.

2. Il bipolarismo è finito?

Sul piano politico il bipolarismo è morto, su quello dei numeri, idem. Secondo il riepilogo del voto nei comuni sopra i 15mila abitanti (vedi Il Sole 24 Ore del 27 maggio) le forze – oggi divise – del centrodestra sono passate dal 50,6% del 2008 all’attuale 29,5%. Un tonfo incredibile, che ci dice fra l’altro quanto fosse in realtà debole l’egemonia berlusconiana che motivava tanto quell’antiberlusconismo a prescindere che ha fatto da sgabello al golpe novembrino. Ma, questo è il punto, al crollo del vecchio fronte berlusconiano non ha fatto riscontro un’avanzata del centrosinistra, che è passato dal 40,8% del 2008 all’attuale 39,1%. E qui parliamo soltanto di percentuali, che se invece guardassimo i numeri reali (tenendo conto cioè dell’astensionismo) il calo dei due schieramenti sui quali si è retto il sistema per quasi vent’anni sarebbe ben più pesante.

E’ rianimabile il bipolarismo dopo questa debacle? Difficile dirlo, quel che è certo è che ci proveranno in tutti i modi. Ma, tra le forze maggiori, ognuno ha la sua ricetta: il Pd vorrebbe ora (dopo aver sostanzialmente concordato con destra e centristi un modello elettorale ispano-tedesco) un sistema alla francese, cioè maggioritario a doppio turno. Questo ha consentito al Pdl di rilanciare: se francese deve essere, che lo sia fino in fondo, adottando anche il sistema presidenzialista d’Oltralpe. In quanto ai centristi, la piccola guardia repubblicana pateticamente schierata a difesa di palazzo Chigi, lo smarrimento è totale. Sembrava che contassero sulla discesa in campo di Montezemolo, ma ora che questa mossa sembra più vicina, pare che non gli vada più bene.

Insomma, le attuali forze parlamentari sembrano incapaci di una vera risposta sistemica. Certo, qualcuno cercherà di richiamarle all’ordine, ma trovare la quadra in questa situazione è tutt’altro che facile. Qui non si tratta soltanto dei diversi interessi dei singoli partiti, che comunque ci sono. Si tratta soprattutto del banalissimo fatto che se il consenso non esiste, non c’è sistema elettorale che tenga.


3. Il puzzle sempre più difficile della legge elettorale

Eh già, la legge elettorale… Erano sul punto di partorire l’ennesimo mostro, ma il voto di maggio ha fermato tutto: vediamo il perché. Il mostriciattolo in questione si chiamava ispano-tedesco, un imbroglio in grado di superare in peggio sia il Mattarellum che l’attuale Porcellum, a conferma che al peggio non c’è limite. A cosa doveva servire la porcheria pronta ad essere sfornata dal trio ABC (Alfano, Bersani, Casini)? Semplice, essa doveva preparare la riedizione dell’attuale tripartito montista nella prossima legislatura.

L’ispano-tedesco era infatti meno bipolarista della legge attuale, ma per niente proporzionale (come pure si tentava di far credere). In breve il mix tra modello tedesco (proporzionale, ma con sbarramento esplicito al 5%) e spagnolo (collegi uninominali molto piccoli in grado di produrre uno sbarramento implicito in qualche caso anche del 10%) favoriva le forze maggiori – in teoria le tre che fanno capo ad ABC – ma non le obbligava ad alleanze preventive, come nel caso della legge attuale.

Un bel vantaggio per la campagna elettorale di Pd e Pdl, un vantaggio ancora più grande per le prospettive di governo (e di sottogoverno) dei doppio-fornisti al seguito di Casini. In altri termini, il Pdl avrebbe potuto fare a meno del becero alleato leghista, il Pd avrebbe potuto distanziarsi dall’orecchino e dalle pretese di Vendola, nonché dalle urla sgrammaticate di Di Pietro. Ma, soprattutto, il piccolo democristiano senza voti, che fu braccio destro di Forlani, sarebbe rimasto al centro del gioco, felice come un bambino la sera della Befana.

E invece è arrivato il carbone, ma prima di entrare nei dettagli diciamo alcune cosette ai sinistri che avevano già sentenziato che qualunque legge sarebbe stata meglio del Porcellum. L’inciucio di ABC non era per niente proporzionale, toglieva il premio di maggioranza alle coalizioni solo per assegnarlo ai partiti maggiori, non reintroduceva affatto il voto di preferenza. Detto in altri termini, blindava ulteriormente un sistema politico marcio, imbonendo certi oppositori di sua maestà con un “diritto di tribuna” che forse avrebbe consentito a due o tre sinistro-federati di rientrare in Parlamento da una porticina secondaria predisposta giusto per loro.

Ma ormai è inutile entrare nei dettagli. Di ispano-tedesco non si parla proprio più. La spiegazione è semplice: in primo luogo i tre partiti ABC non hanno più la maggioranza assoluta; in secondo luogo (come dicono anche i recenti sondaggi) con l’ascesa del Movimento 5 Stelle (M5S) il Pdl è tutt’altro che certo di restare il secondo partito; in terzo luogo il piccolo democristiano senza voti è ben lungi dal divenire “terza forza”. Ecco che tutti i vantaggi (per ABC) dell’ipotizzato mostriciattolo sono svaniti in un colpo solo.

Il problema è che l’ennesima porcata elettorale non aveva subordinate condivise. Non c’era e non c’è un piano B, e difficilmente il Porcellum verrà sostituito da una nuova legge elettorale. L’ispano-tedesco, concepito da quel galantuomo di Violante – un personaggio a cui non affideresti neppure la gestione di un condominio – sintetizzava bene gli interessi e gli appetiti dei contraenti, con una soluzione che non dispiaceva certo ai centri del potere finanziario, nazionale e non. Gli imbroglioni avevano trovato la “quadra”, ma prima di poterne vedere i frutti la porcata gli è andata di traverso.  


4. Dalla Seconda Repubblica a…

Una cosa è certa: la Seconda Repubblica è morta, ma nessuno sa come sarà la Terza. E intanto si voterà con il Porcellum (al massimo, ma non è detto, con qualche piccola modifica). Gli interessi sistemici potrebbero spingere il tripartito ad andare avanti, ma ABC sarebbero certi della vittoria solo alleandosi preventivamente, e questo sembra troppo anche per simili scarafaggi. Non a caso avevano studiato il modo di allearsi, ma solo a posteriori.. ovviamente per il bene del paese, ci mancherebbe…

Naturalmente niente vieta che essi si coalizzino dopo il voto anche con il Porcellum, ma, c’è un ma. Per avere il premio di maggioranza bisogna che ognuno si coalizzi già prima con i propri tradizionali alleati. Ecco perché la “foto di Vasto” (Pd, Sel, Idv) ha ripreso forza. La cosa più probabile è che l’inciucio avvenga ugualmente, dopo il voto. Questo lascia però la lotta aperta per la conquista del primo posto, anche se oggi il centrosinistra potrebbe imporsi anche senza raggiungere il 40% dei consensi. Oggi… ma tra un anno?

Lasciando ora da parte gli scenari elettorali, quel che è certo è che i protagonisti della via italiana al tramonto della democrazia parlamentare non hanno alcun progetto serio da proporre. Prevale solo e sempre l’interesse contingente, il calcolo elettorale a breve. Mai una proposta compiuta, meno che mai una riflessione autocritica sui disastri del bipolarismo e della Seconda Repubblica. Anzi, se Porcellum sarà, possiamo sicuramente aspettarci il revival di un bipolarismo ormai fiacco e spompato, non solo perché i protagonisti (sempre gli stessi) sono sempre meno credibili, ma perché si è visto come il “bipolarismo” e l'”alternanza” possano facilmente evolvere in un’ammucchiata al servizio del potere finanziario.  

5. La vera ragione della crisi del bipolarismo

Il bipolarismo, però, non è in crisi per ragioni di ingegneria elettorale. La sua crisi è invece strutturale e direttamente connessa ai sommovimenti tellurici indotti dalla crisi economica. Il motore del bipolarismo non è tanto il mito dell’alternanza  – in realtà tra forze intercambiabili – quanto la cosiddetta “convergenza al centro”. Quante volte avete sentito evocare questa teoria centripeta? In realtà, in condizioni ordinarie di funzionamento del sistema, questa teoria era piuttosto fondata, laddove il fondamento consiste nel prevalere di tendenze conservatrici.

Il conservatorismo al quale ci si riferisce non è tanto quello legato alla conservazione di un ordine di valori, quanto quello che discende dalla conservazione di uno stato di benessere che non si intende in alcun modo mettere a rischio. Nel capitalismo – quantomeno nei paesi del “centro” – quando il sistema “funziona”, i cosiddetti “moderati” (un modo quanto mai insulso di definire i conservatori) sono veramente la maggioranza. Il fatto è che a volte il sistema si inceppa, e con il passare del tempo ci si accorge di quanto poco ci sia in realtà da conservare.

Ovvio che questa fine del “moderatismo” (cioè del conservatorismo) può avere, ed in effetti ha, segni di classe ed orientamenti politici e culturali assai difformi, ma appunto per questo il mitico “centro” verso il quale i due poli dovrebbero convergere tende a nebulizzarsi, per la disperazione di tutti gli strateghi da quattro soldi che si sono fatti belli giocando con la legge centripeta del bipolarismo e della sua alternanza per gonzi.

Questa è la ragione per cui il Berlusconi populista ed anticomunista otteneva brillanti risultati elettorali, mentre la sua ombra attuale, realista e montista, produce un disastro nelle urne. Ma è anche la ragione per la quale Grillo non fa neppure in tempo a mettere la freccia che già non vede più alle sue spalle né il demagogo pugliese, né l’urlatore molisano, entrambi uniti dall’alleanza di ferro con il Pd.

Attenzione, la fine del “moderatismo” non significa che sia in atto una consapevole radicalizzazione politica e tanto meno di classe. C’è anche questo, ma le cose sono notevolmente più complicate, come avviene quasi sempre in politica, specie nei momenti di passaggio. Quel che è certo è che il “moderatismo” non ha in questa fase alcun appeal elettorale, un elemento questo assai decisivo per cercare di comprendere le future dinamiche politiche.


6. Un sistema politico colpito duramente

Dalle macerie degli ultimi anni, con la politica ridotta alle urla da stadio tra berlusconiani ed antiberlusconiani intenti a litigare su tutto, fuorché sulle questioni fondamentali – sia che si trattasse dei sì ai diktat europei, sia di quelli agli ordini della Casa Bianca per imbarcarsi in questa o quell’impresa dell’impero a stelle e strisce – il sistema politico esce colpito duramente, forse mortalmente.

A 6 mesi dal golpe novembrino la crisi politica si è solo aggravata. D’altra parte è una politica muta, cieca e sorda. Muta ed obbediente, incapace di qualsiasi replica, di fronte agli ordini delle oligarchie. Cieca e sorda di fronte ai disastri sociali che ha provocato con la sua piena adesione al dominio del capitalismo-casinò dell’iper-finanziarizzazione. Certo, le bestie ferite cercheranno in qualche modo di riprendersi. Altrettanto sicuramente non mancheranno i sinistrati pronti a fare l’ennesima guardia al bidone vuoto della “lotta alla destra”.

Su questi ultimi bisogna però spendere qualche parola. Inutile appendice di un sistema allo sbando, non sanno pensare ad altro che al rientro in parlamento. Per ottenerlo sono disposti a tutto, neanche fossero al centro del mondo. Quel che è più grave è la loro distanza dai veri nodi dell’oggi. Nodi che opportunisticamente rifuggono come la peste, basti pensare alle questioni decisive dell’Unione Europea e dell’euro. I loro stanchi slogan, di un riformismo alquanto sbiadito, non attraggono più nessuno, anche perché in politica non è facile diventare credibili, mentre è molto più facile perdere la credibilità eventualmente acquisita. Con lo svantaggio che una volta che la si è persa, riconquistarla è quasi impossibile.

Ma torniamo alle cose serie. I centri del potere economico-finanziario, ma anche quelli sovranazionali (USA ed UE), cercheranno di rimettere in piedi, riorganizzandolo in qualche modo, un sistema politico altrimenti allo sbando. Ci riusciranno? Dipenderà da molte cose, ma soprattutto e in ultima istanza dalla capacità di far emergere una proposta complessivamente alternativa: proposta di governo, ma anche di potere, proposta di un programma e dei modi di realizzarlo, svolta radicale negli indirizzi economici, sociali e nella collocazione internazionale del paese. Svolta che potrà determinarsi solo con una vera sollevazione popolare. Svolta forse più vicina di fronte al collasso del sistema politico attuale.


7. L’astensionismo non è più l’unica arma

Per anni, in molti casi da soli, abbiamo sostenuto la via astensionista, la strada cioè dell’esodo popolare da una politica asservita alle oligarchie. Quella strada ha dato grandi frutti, delegittimando il sistema ed i suoi protagonisti. Questa scelta è stata la più efficace in un quadro sì di crisi ma anche di tenuta del sistema e del bipolarismo.

Ma oggi che la crisi sistemica del capitalismo sta trascinando con se la strutturazione politica che ha fatto da guardaspalle alle malefatte della finanza predatoria, l’astensionismo non è più l’unica arma che abbiamo a disposizione. Su questo abbiamo il dovere di aprire una riflessione.

Una delle ragioni forti dell’astensionismo – che per noi è sempre stato politico e non ideologico – è stata la consapevolezza della pericolosa inutilità delle listarelle di sinistra: troppo deboli per aggregare ed impensierire l’avversario, ma sempre utili a legittimare (sia pure involontariamente, è ovvio) il gioco antidemocratico di un voto truccato dai media e dallo stesso sistema elettorale.

Oggi, però, il successo del M5S dimostra che le vecchie regole del gioco stanno saltando, che è possibile colpire più duramente il sistema prima che riesca a riorganizzarsi. Non è questa la posta in gioco dei prossimi mesi? Certo, tutto dipenderà dall’evoluzione della crisi economica, in particolare dagli sviluppi del crac dell’Eurozona e dai contraccolpi sociali che provocherà, ma i termini dello scontro politico si stanno modificando rapidamente. E altrettanto rapido nel coglierli dovrà essere chi crede e lavora alla sollevazione.