Con la limpida onestà intellettuale che lo distingue, e dopo circa un anno di contrasti in merito alle controverse “primavere arabe”, Giulio ha deciso di rompere gli indugi e di uscire dal Campo. Una scelta sofferta, come vedrà chi legge, quanto lo è stata la sua permanenza nell’organizzazione nell’ultimo periodo. Il dissenso, Giulio, lo aveva espresso (non era il solo) già la primavera scorsa, dopo l’insurrezione di Bengasi — noi ritenemmo inizialmente legittima la rivolta popolare contro il regime autocratico di Gheddafi, salvo, Ça va sans dire, difendere la resistenza gheddafiana una volta scese in campo le armate imperialiste.

Giulio, convinto che la rivolta fosse ab origine, orchestrata dall’imperialismo, era per una posizione, costi quel che costi, di difesa di Gheddafi e del suo regime. E’ stata la Siria a far traboccare il vaso. I nostri lettori più assidui sanno come la pensiamo. Più di chiunque altro abbiamo contribuito ad informare sui fatti e sulle complesse dinamiche delle opposizioni al regime di Bashar al-Assad. Ci sembra inutile ricapitolarle di nuovo. Ci sono dei particolari che contengono il generale. E’ questo il caso. Chi avrà la pazienza di leggere il documento qui sotto, capirà infatti che dietro alla tragica vicenda siriana si addensano questioni ancor più serie e di profilo programmatico. Che appunto Giulio ricapitola con estrema franchezza.

La lettera di Giulio Bonali

Cari compagni, la lettura dell’intervista ad Abdalaziz al-Khair “condivisa nelle grandi linee” dalla redazione del sito del Campo e soprattutto la breve premessa della redazione stessa, oltre ai fatti concreti che in Siria e negli altri paesi arabi si sono svolti negli ultimi mesi e si stanno svolgendo al presente mi inducono a prendere finalmente una decisione per me molto difficile, sulla quale per troppo tempo sono stato incerto (per lo meno dall’inizio della sovversione che considero senza dubbio islamista-reazionaria, “fascista” – in senso lato – e filooccidentale che ha portato alla distruzione di quel che rimaneva della rivoluzione “nasseriana” in Libia e all’attuale terribile catastrofe nazionale, sociale, economica, umanitaria in quel paese: la cessazione della mia adesione al Campo Antiimperialista, che in coscienza non è più sostenibile da parte mia.

Quasi mi vergogno di affermare a chiare lettere una cosa della quale credo non sia possibile dubitare, cioè che la mia stima e ammirazione personale verso i compagni del Campo, coi quali collaboro con soddisfazione da almeno un decennio e dai quali molto ho imparato, e in particolare verso il nucleo dirigente, rimane intatta (e cioè altissima); ma la mia adesione non può dipendere solo da essa ma invece soprattutto dalla condivisibilità da parte mia delle scelte politiche dell’organizzazione e dei principi ideali che le ispirano.

E le vicende dell’ultimo anno e mezzo hanno evidenziato sempre più un’insanabile divergenza fra me e voi circa le valutazioni politiche della “primavera araba”, dell’“Islam politico” e in particolare delle tragiche vicende libiche e siriane, che ritengo derivare da una profonda, importante differenziazione circa i principi della lotta rivoluzionaria antiimperialista e per il socialismo.

Senza ovviamente alcuna strampalata pretesa di convincervi, né a scopo inutilmente polemico, ma soltanto per un’elementare esigenza di chiarezza e lealtà vero di voi mi sembra doveroso un accenno ai profondi motivi di dissenso che mi spingono ad uscire dal Campo.

Circa la situazione siriana nella premessa della redazione all’intervista di cui sopra si afferma il “criterio principale: la distinzione fra oppressi e oppressori”, che verrebbe prima del “criterio geopolitico”; e inoltre che “abbiamo in Siria (…) un ossimoro: quello di un regime dispotico ma antisionista e antiimperialista. In questi casi non possiamo difenderlo come se fosse un’astratta entità monovalente. C’è una contraddizione ed è proprio su questa contraddizione che fanno leva i nostri nemici imperialisti. Finché non si risolve la contraddizione la Siria resta in pericolo. E come si risolve? Combinando antiimperialismo, giustizia sociale e democrazia”.

A me sembra una posizione – essa si! – in realtà astratta e inadeguata a valutare correttamente la realtà concreta presente e ad agirvi efficacemente.

Non sempre in politica (anzi solo in casi alquanto felicemente eccezionali) ci si possono di fatto realisticamente permettere gli obiettivi che soggettivamente si vorrebbe. Spesso ci si deve alleare anche con movimenti e partiti che per certi versi ci ripugnano, per obiettivi parziali e più o meno tattici che soggettivamente riteniamo tutt’altro che esaltanti, ma che oggettivamente (se le nostre valutazioni sono corrette, ovviamente) costituiscono la “linea del Piave” – ma preferirei dire la “linea Leningrado-Mosca-Stalingrado” – dalla quale sarebbe disastroso recedere.

Sono sempre più convinto che in Siria da almeno un anno si assiste a un crescendo di ferocissime aggressioni imperialistiche inequivocabilmente terroristiche ad opera di fanatici islamisti al soldo degli Stati Uniti e dei loro vassalli sauditi e bahreiniani, pronti a compiere, non appena malauguratamente conquistassero il potere, una sanguinosissima pulizia etnica in grande stile contro tutte le minoranze (e almeno in certe zone del paese le maggioranze) non sunnite (meglio se fondamentaliste, e comunque per amore o per forza non anti-fondamentaliste), del tipo di quelle che già orrendamente essi stessi hanno appena realizzato in Libia (per lo meno nei territori sotto il loro controllo).

Ritengo fondamentale distinguere fra nemico principale e nemici secondari in un processo di lotta politica spesso soggetto a rapidi cambiamenti anche radicali, per i quali possono anche aversi rovesciamenti dialettici in questi rapporti e quelli che soggettivamente o anche oggettivamente in una certa fase erano nemici secondari possono di fatto e in un’ altra fase diventare nemici principali e viceversa.

Sono convinto (tanto più dopo ciò che è appena accaduto in Libia) che oggi in Siria il massimo obiettivo oggettivamente conseguibile e da perseguire inderogabilmente sia la salvaguardia della sovranità nazionale, di quel poco o tanto di laicità dello stato esistente, della convivenza pacifica fra le diverse etnie e credenze religiose, dal feroce attacco imperialistico-fondamentalistico di cui sono oggetto.

Per me oggi vagheggiare scenari democratici, antiautoritari e socialmente più avanzati degli attuali significa oggettivamente indebolire gravemente (e colpevolmente) la necessaria difesa di queste (limitatissime fin che si vuole) conquiste di indipendenza nazionale e di civile convivenza che rimangono alle popolazioni siriane, senza le quali nessun ulteriore passo avanti è possibile fare, e aiutare oggettivamente l’attacco imperialistico-fondamentalistico contro di esse, contribuendo a precipitare quel paese nella rovina e nella barbarie più nere (…con le migliori intenzioni, delle quali notoriamente sono lastricate le strade per l’ inferno).

Nell’intervista Abdalaziz al Khair pretenderebbe fra l’altro dall’attuale governo il ritiro dell’esercito dai centri urbani soggetti al barbaro attacco terroristico dei nemici del popolo: sono convinto che di fatto sarebbe la resa alla sovversione islamista-imperialista. Inoltre afferma che sia il regime che i suoi avversari (messi del tutto astrattamente e antidialetticamente, oltre che a mio avviso miopissimamente, sullo stesso piano!) starebbero spingendo il paese verso l’intervento militare straniero e la guerra civile. Non vedo su quale intervento straniero potrebbe contare il governo, che (analogamente a quello libico da poco malauguratamente abbattuto) non può sperare altro se non che si riesca ad ottenere che siano i Siriani a decidere del loro destino.

E credo che queste posizioni politiche condivise dal Campo, che ripeto di ritenere radicalmente errate e dannosissime, derivino da un errore di fondo nella concezione generale della lotta contro l’imperialismo e per il socialismo, comunque da un atteggiamento strategico che ritengo profondamente errato.

Non per niente sono un grande estimatore di Stalin e soprattutto del suo “machiavellismo”: sono infatti convinto che in una lotta, come è quella fra progresso e reazione, senza esclusione di colpi, all’ultimo sangue, con un nemico potentissimo che non si fa scrupolo di usare qualunque mezzo, anche i più abbietti, non solo non sia immorale esitare a nostra volta ad usare qualunque mezzo, quando necessario, ma che sia anzi immorale proprio evitare di farlo.

Infatti un simile atteggiamento moralistico ma in realtà immorale, attento ai principi astratti ma cieco – o meglio presbite: alla ricerca di impossibili “obiettivi” pretesi “più avanzati” di quelli oggettivamente perseguibili – di fronte alla realtà concreta della lotta di classe ferocissimamente in corso, e perciò impotente e oggettivamente dannoso, ha sempre caratterizzato a mio avviso le principali posizioni alternative allo “stalinismo” interne al fronte rivoluzionario anticapitalista (o che per lo meno soggettivamente si proponevano di essere tali): dai trotzkisti e gli anarchici nella guerra civile spagnola, agli estimatori “di sinistra” della disastrosa perestrojka controrivoluzionaria gorbyana, agli attuali estimatori più o meno visionari delle “primavere arabe” (le quali fra l’altro finora – e pur senza disperare certo circa loro auspicabili riprese e sviluppi futuri – hanno prodotto soltanto nei casi migliori degli pseudocambiamenti gattopardeschi, nei peggiori la barbarie imperialistica-fondamentalistica “alla libica”), ai coltivatori di quella che mi pare sempre più una pia illusione circa la pretesa potenzialità antiimperialistica e rivoluzionaria dell’Islam politico (che per certi aspetti mi ricorda molto la “nostra” vecchia DC, nella quale si sentivano anche proclami verbalmente più rivoluzionari della linea del “nostro” vecchio PCI – non che ci volessero grandi sforzi, invero – ma poi alla fine nei fatti prevalevano sempre le correnti più anticomuniste e per lo meno conservatrici, se non reazionarie).

Inoltre non condivido il vostro atteggiamento verso la democrazia formale che (lo dico senza intenti polemici) mi sembra riecheggiare la formula berlingueriana circa il suo preteso “valore universale”. Da parte mia ritengo, in ossequio al suddetto “machiavellismo staliniano”, che poiché il nemico non si fa scrupolo di eliminare la democrazia formale non appena metta a repentaglio il suo potere anche noi dobbiamo essere pronti a liquidarla o comunque a fregarcene qualora la lotta lo richieda (non per niente sono diventato comunista in gioventù seguendo e appassionatamente aderendo – da lontano e comodamente alloggiato al confortevole calduccio di casa mia – alla formidabile ma sanguinosamente sconfitta esperienza del governo di Unidad Popular in Cile).

Credo che della democrazia formale non dobbiamo farci un feticcio anche perché sono profondamente convinto che una conditio sine qua non di una reale, integrale, autentica democrazia (letteralmente: potere del popolo) sia costituito dall’eliminazione delle diseguaglianze economiche e sociali, di classe, e dunque dal socialismo (sebbene a sua volta pure la democrazia – cioè il potere del popolo lavoratore il più direttamente e liberamente possibile esercitato “in prima persona” – sia una conditio sine qua non di un socialismo integralmente compiuto).

Comunque é un principio per me inderogabile quello per il quale fin che la società sarà divisa in classi antagonistiche, anche in caso di istituzioni formalmente democratiche (che fra l’altro di regola solo la lotta dei comunisti impone alle classi dominanti, per lo meno da quando il capitalismo è entrato nella sua “suprema” fase imperialistica, profondamente e irrimediabilmente reazionaria) il potere reale sarà sempre sostanzialmente differente da quello formale, in quanto detenuto nei fatti reali dalle minoritarie classi (per l’appunto proprietarie e) dominanti.

Detto questo (credo doverosamente), cercherò sempre di collaborare con voi, nei limiti delle mie modeste capacità dei quali credo di essere ben consapevole, sulle questioni (innanzitutto quelle attuali di politica interna e circa l’“Europa”; virgolette perché ha poco a che vedere con l’entità geografica, ovviamente) che mi trovano pienamente d’accordo con voi, a seguire il vostro sito ed eventualmente a mandarvi critiche e commenti che ritenessi costruttivi; continuo ovviamente anche ad aderire convintamente al Movimento Popolare di Liberazione.

Vi saluto cordialmente come sempre, ribadendo la mia stima personale nei vostri confronti e augurandovi buon lavoro nella lotta per il futuro dell’umanità.