Monti andrà a sbattere

La Germania fa sul serio?
Verso il giorno del giudizio

Oggi Monti stesso ammette che la “salvezza” non dipende “solo” dalla misure del suo “governo tecnico”. A conferma che la grande ammucchiata Pd-Pdl-Udc, sotto il patrocinio del Colle, ha venduto una patacca, spacciato per buono un fasullo Salvatore della patria.

Non appena intronizzato Monti e annunciata la sua cura da cavallo noi abbiamo immediatamente affermato che la possibilità di successo della terapia era prossima allo zero. Lo dicevamo per due ragioni.

La prima, ovvia, era che le misure d’austerità, se in un primo momento avrebbero rimpinguato le casse dello Stato, prima o poi, più prima che poi, avrebbero causato più recessione economica, e quindi a contrazione della ricchezza totale, minor gettito fiscale, con relativa ripresa del rischio di default sul debito pubblico. La prova del nove, fatti quattro conti, sarebbe giunta al massimo a fine 2012, quando la Ragioneria dello Stato avrebbe tirato le somme, scoprendo che il gettito fiscale atteso sarebbe stato ben al di sotto delle aspettative.

Il problema è che il giorno del giudizio rischia di arrivare prima del previsto, e questo attiene alla seconda ragione, sostanziale, del nostro pronostico. vero è che l’economia italiana è profondamente malata, anche a causa dell’enorme debito pubblico, ma lo Stivale è solo uno dei pazienti del reparto rianimazione. Tutto l’Occidente è in condizioni gravissime. Gli USA, certo, stanno messi male, ma grazie al fatto che il dollaro è la principale moneta delle transazioni finanziarie e commerciali mondiali, che sono la principale fortezza militare, la sentinella di ultima istanza di tutti i capitalismi, essi possono ancora godere della loro rendita di posizione scaricando così all’esterno i fattori della loro stessa crisi.

Il luogo dove si scaricano oggi le tensioni economiche e finanziarie mondiali è l’Unione europea. L’illogica e paradossale costruzione europea attorno ad una moneta senza dietro né Stato, né politiche fiscali e di bilancio comuni — un’unica moneta per capitalismi nazionali confliggenti —, poteva reggere in tempi normali. Non appena certi nodi (tra cui la finanziarizzazione compulsiva) sono venuti al pettine, la fragilità intrinseca dell’architettura eurista ha mostrato le sue crepe strutturali.

Insomma, l’Italia può anche svenarsi per far quadrare i conti e rassicurare i mercati finanziari che onorerà i suoi debiti, ma tutto questo risulterà vano se l’Unione europea tutta non corre ai ripari e non sistema le sue falle. E’ infatti bastato che venisse a galla la situazione pre-bancarotta del sistema bancario spagnolo perché non solo i titoli italiani ma quelli di mezza Europa conoscessero una nuova impennata, vanificando in pochi giorni gli sforzi di mesi.

I mercati, leggi i giganti della finanza mondiale, hanno indicato quale potrebbe essere la soluzione. Non basta tartassare il popolo, far faticare i lavoratori come somari e per bassi salari. Essi non ritireranno i loro investimenti dai paesi dell’Unione a patto che tutta l’Unione, quindi la Germania, si facciano carico, come garanti, del rimborso certo del mare di debiti, pubblici e privati.

La Bce potrebbe farsi carico di questi debiti, diventando creditore di ultima istanza. C’è un problema, che occorrerebbe cambiare il suo statuto, ovvero ripensare d’accapo la sua funzione e missione, fotocopiata da quella della Bundesbank. Quindi Draghi getta la palla nel campo dei politici. Ovvero nel campo da gioco in cui Berlino la fa da padrone.

La Germania della Merkel ha scolpito nella roccia la sua posizione. Saremmo disposti, condizionale, a mettere in comune tutti i debiti (quindi i crediti), ma solo a patto che si percorra l’ultimo miglio verso l’unificazione politica europea: unica politica fiscale, unica politica di bilancio, unica politica economica, unica legislazione del mercato del lavoro. In parole povere il passaggio ad un vero e proprio super-Stato centrale europeo, sulle ceneri degli stati e del relativo principio di sovranità nazionale.

Qui il problema non è tanto chiedersi se l’establishment tedesco (non solo la Merkel) creda davvero in quello che propone. Il problema è chiedersi se questo salto sia fattibile. E ammesso che lo sia, se esso è effettuabile nei tempi stretti della crisi. E’ probabile, anzi molto probabile che la Merkel bluffi, ma se è così è perché tutti sanno che per compiere il salto occorre riscrivere d’accapo tutti i Trattati europei. Previsione ottimistica: ci vogliono tra i quattro e i sei anni. La stalla verrebbe chiusa quando i buoi se la sarebbero svignata da un pezzo.

E qui arriviamo al decisivo vertice europeo del 28 e 29 giugno. Il giorno del giudizio. Al massimo il vertice adotterà nuove misure tampone, magari consentendo alla Bce e al fondo salva stati, di comprare altri titoli di Stato, o abbassando ulteriormente il tasso di interesse. Questi palliativi saranno forse accompagnati da dichiarazioni d’intenti, più o meno pompose, sulla necessità di procedere alle calende greche, verso gli Stati Uniti (imperialisti) d’Europa.

Al che i “mercati”, dopo una settimana di quiete, s’incazzeranno. Mossi dall’impulso di mettere al sicuro le loro rendite e i loro guadagni, daranno vita ad ondate di vendite senza precedenti, facendo nuovamente tremare l’Unione. I diversi interessi dei capitalismi nazionali prenderanno il sopravvento su quelli comuni. La Grecia salterà in aria, alcuni paesi saranno spinti sull’orlo del baratro, ponendoli di fronte alla necessità di decidere, in base alla relazione costi-benefici, se morire per l’euro o se sopravvivere lasciando la moneta unica a chi se la può permettere.

L’uscita dall’euro sarà una scelta obbligata e Monti salterà come un birillo. Oggi veniamo presi per pazzi. Manca poco al tempo in cui, come pazzi, saranno condannati quelli che adesso vengono considerati assennati. Coloro i quali, invece di prepararsi al peggio, si saranno consegnati, come agnelli sacrificali, al rito per tenere in vita uno zombi.

da Sollevazione