Inchiesta sui gruppi armati dell’opposizione siriana (seconda parte)

La divisione tra i ribelli sul futuro della rivolta

Fonti dell’opposizione siriana concordano sul fatto che le tre maggiori formazioni armate dei ribelli attive nel paese sono la Brigata Rijal Allah (Brigata degli Uomini di Dio), il Battaglione Khalid Ibn al-Walid, e il Battaglione al-Farouq.

Ognuno di essi ha diversi orientamenti e prospettive. Il Battaglione Khalid Ibn al-Walid è sostenuto dalla Fratellanza Musulmana. La maggior parte dei membri del Battaglione al-Farouq sono invece salafiti, armati e finanziati dall’Arabia Saudita. Entrambi questi gruppi sono in contrasto con Rijal Allah ed altre fazioni, come la Brigata Ali Ibn Abi Taleb — questi ultimi accusano i primi di essere al servizio degli stranieri.

Rijal Allah ubbidisce agli ordini della Riserva rivoluzionaria (al-Radeef al-Thawri ), un movimento attivo nelle campagne attorno a Damasco, nella capitale stessa, dentro e intorno alle città di al-Rastam, Aleppo e Latakia. Il segretario generale della Riserva rivoluzionaria, noto come Abu Abd al-Rahman, dice che il movimento può contare su circa 6200 uomini in armi. Ogni membro è iscritto per nome, insieme con le sue armi. Ma essi sono pronti a deporle in cambio di diritti politici sotto la protezione delle Nazioni Unite.

La Brigata Rijal Allah, che si afferma sia guidata da Amjad al-Hamid, un carismatico ex-capitano dell’esercito siriano che ha disertato dopo la repressione ad al-Rastam e poi diventato un comandante ribelle. Egli è stato assassinato alcuni mesi fa, a quanto pare dagli islamisti integralisti, dopo aver messo in guardia dalla loro crescente influenza nella rivolta e il loro coinvolgimento nelle uccisioni settarie. Il suo successore è un altro disertore dell’esercito, il capitano Hudhaifa al-Qasem.

Fonti dell’opposizione dicono che all’interno di questo gruppo — ma pure di altri, tra cui la Brigata Umar al-Khattab, la Brigata Ali Ibn bi-Taleb e la Brigata Abu Bakr al-Siddiq (queste ultime comandate rispettivamente dall’ex primo luogotenenti Fayez al-Abdallah e Uqba Saadeddin), c’è crescente allarme per l’emergere di gruppi di ribelli integralisti Takfiri. Questi ultimi vengono accusati di danneggiare la rivoluzione, e ciò spiega il numero crescente di scontri tra questi e le altre fazioni dell’opposizione per il controllo dei territori.

Il comandante di uno di questi gruppi combattenti, la Brigata dei Martiri di Dimashq Reef, esprime sgomento per lo stato attuale della rivolta armata. Ibn al-Sham al-Thaer, accusa i media e i portavoce più famosi (come i colonnelli Mustafa al-Sheikh, Riyadh al-Asad e Qasem Saadeddin), di suscitare false aspettative. Egli dice che le loro frequenti spacconate pubbliche non sono mai accompagnata da azioni sul terreno, e questo ha minato la fiducia di molte persone verso il Free Siria Army.

Ibn al-Sham, che dice far parte della Riserva rivoluzionaria, sottolinea la necessità per le diverse frazioni dell’opposizione, di superare le divisioni per arrivare ad una soluzione che risparmi altro sangue del popolo siriano. Egli mette in guardia su massacri imminenti, ed esorta gli amici del popolo siriano a lanciare qualche iniziativa volta a scongiurare ulteriori tragedie.

L’atteggiamento di Ibn al-Sham, che opera all’interno della Siria, è nettamente in contrasto con quella di molti altri comandanti, alcuni dei quali hanno deciso di rifugiarsi all’estero. La sede di uno dei comandanti ribelli, conosciuto come Alaa al-Sheikh, per esempio, è in Arabia Saudita, e parla di vittoria dietro l’angolo, dell’alto morale tra i rivoluzionari, che vedrebbero “il paradiso dalla canna di fucili”visto che lottano con la fede.

I combattenti della Riserva rivoluzionaria e altri ritengono invece “che il regime non potrà essere rovesciato con la forza delle armi a disposizione dei rivoluzionari”. Afferma infatti il segretario generale del movimento: «Noi sosteniamo il rovesciamento del regime entro i termini del piano Annan. (…) Ci sono quelli che dicono: “Lasciamo che il paese vada in rovina per 10 o 15 anni, dopo si riprenderà”. Noi diciamo invece che siamo per un piano che ci risparmi sangue e anarchia».

Il piano che vuole Abd al-Rahman in realtà non esiste, almeno non ancora. Egli dice che la formulazione di una “road map” politica è essenziale data la frammentazione dei gruppi di opposizione. Egli avverte che “l’anarchia delle armi” rischia di minare il sostegno ai combattenti dell’opposizione, e la priorità dovrebbe essere quella di unificare i ranghi dei ribelli.

«Noi della Riserva rivoluzionaria abbiamo la capacità di riunire le diverse fazioni che agiscono effettivamente sul terreno», sostiene. Egli propone che le Nazioni Unite forniscano protezione ai loro rappresentanti per incontrarsi e formulare una posizione comune, come base per perseguire il piano di Annan. «A meno che queste nazioni non vogliamo il fallimento di questo piano». Abd al-Rahman dice che tutti i tentativi di entrare in contatto con le Nazioni Unite non hanno ricevuto finora alcuna risposta. «Siamo in grado di condurre il dialogo. Vogliamo la protezione da Kofi Annan in modo che possiamo incontrare e dire quello cosa vogliamo», insiste.

Abu Abd al-Rahman contesta l’atteggiamento di chiusura del Consiglio nazionale siriano (SNC). “In quale direzione ci vogliono portare?”, Osserva. Egli aggiunge che la maggior parte degli esponenti dell’opposizione in esilio “non rappresentano il popolo siriano”.

Molti leader dell’opposizione nonché ex ufficiali che hanno abbandonato l’esercito sono anch’essi in contrasto con il SNC riguardo al corso futuro della “rivoluzione”. L’incapacità della ribellione armata di rovesciare il regime, o di continuare all’infinito senza ottenere risultati, pone dei seri dilemmi. Essi temono che una volta che fallito il piano Annan, il regime scatenerà una devastante repressione.

Tali gruppi stanno cercando di sviluppare soluzioni politiche che riescano a fermare ulteriori spargimenti di sangue. Sono anche consapevoli del fatto che il controllo del terreno da parte dei ribelli, fintanto che non si traduce in conquiste politiche, è precario.

Un ostacolo all’accordo tra le diverse frazioni combattenti è che, mentre molti leader dell’opposizione e gli ufficiali disertori, in privato, ammettono che il regime non può essere abbattuto con la forza delle armi, sono riluttanti a dirlo apertamente, poiché sarebbero bollati come traditori.

«Saremmo accusati di svendere il sangue dei martiri caduti. In realtà onoreremmo il sangue dei martiri se risparmieremo il nostro popolo da altri massacri e se non li condurremo alla perdizione».

La soluzione che propongono vuole offrire un’opportunità alla rivoluzione un quadro politico per svilupparsi. Essi sostengono che questo è decisivo ove il regime venisse rimosso e certi obbiettivi venissero realizzati.

Fino a poco tempo fa molti riponevano le loro speranze su una delle due opzioni: o intervento militare straniero, o un colpo di stato guidato da un ufficiale che potrebbe appellarsi al sostegno popolare e delle fazioni armate. Adesso pochi si aspettano la prima opzione, mentre non vi è traccia alcuna di chi potrebbe realizzare la seconda, almeno non nel prossimo futuro.

Molti sostenitori dell’opposizione sono quindi giunti alla conclusione che la scelta si è oramai ridotta a questo: o dialogo, o la caduta della Siria.

La prima parte è stata pubblicata lo scorso 17 giugno

Traduzione a cura della Redazione