Si aggrava la tensione tra Turchia e Siria. L’abbattimento del caccia turco – un incidente secondo Damasco – consente ad Ankara di appellarsi all’articolo 4 della Nato. Se un’azione diretta contro la Siria – sul modello libico per intenderci – è per ora esclusa, resta il fatto che questo episodio favorisce senz’altro le forze che puntano all’escalation.

Due anni fa 9 cittadini turchi persero la vita a causa dell’aggressione israeliana alla nave turca Mavi Marmara, l’ammiraglia della Freedom Flotilla, e la Nato non pensò certo di applicare l’art. 4, né la Turchia lo pretese veramente. Vedremo cosa accadrà domani. Intanto, sul quadro della situazione, potete leggere sotto un breve aggiornamento da Nena News.

Siria-Turchia: domani meeting NATO
(da Nena News)

Roma, 25 giugno 2012 – La Turchia fa appello alla NATO: intervenga contro la Siria dopo l’abbattimento di un caccia F-4 di Ankara da parte della difesa anti-aerea di Damasco.

La risposta dell’Alleanza Atlantica è giunta a stretto giro: gli Stati membri parteciperanno domani ad una riunione d’emergenza per discutere della richiesta della Turchia, appellatasi all’articolo 4 del trattato costitutivo della NATO, chiamata ad intervenire nel caso uno dei suoi membri subisca un attacco. Risponde anche l’Unione Europea: oggi incontro dei ministri degli Esteri degli Stati membri per discutere della crisi siriana. In Lussemburgo la UE ha preso nuove misure contro Damasco: estensione dell’embargo militare sul commercio di armi.

La Siria si difende: il caccia turco era entrato nello spazio aereo siriano, si è trattato di un incidente e non di un assalto premeditato. Affermazione non condivisa da Ankara che, tramite il ministro degli Esteri Davutoglu, insiste: l’F-4 volava nello spazio aereo internazionale, a 13 miglia nautiche dalla Siria, e stava effettuando un volo d’esercitazione, senza armi a bordo. Secondo alcuni analisti, l’abbattimento avrebbe permesso alla Siria di testare i nuovi radar di difesa aerea di fabbricazione russa, mostrando così al mondo di essere in grado di difendersi in caso di intervento armato.

Ma poco importa. L’abbattimento non ha fatto altro che peggiorare i già tesi rapporti tra i due Paesi, un tempo alleati e oggi ai ferri corti. Erdogan ha da tempo abbandonato al proprio destino il presidente siriano Bashar al-Assad, ospitando numerosi meeting dei gruppi di opposizione al regime.

Immediata la reazione occidentale, con Gran Bretagna (che ha chiesto una “robusta azione internazionale) e Stati Uniti subito schieratisi dalla parte di Ankara. Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha promesso assistenza alla Turchia nelle indagini sull’abbattimento, aggiungendo che Washington lavorerà gomito a gomito con i Paesi della regione per garantire una transizione di potere in Siria.


Proseguono le violenze. La Giordania blocca l’ingresso ai rifugiati

Scontri in mattinata nella provincia di Homs: un morto e dodici feriti, secondo i dati forniti da alcuni attivisti ai media, mentre l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani parla di almeno 90 morti nella giornata di ieri, di cui 59 civili. La stessa fonte ha inoltre raccontato di diverse defezioni nel battaglione di artiglieria di stanza ad Aleppo: i soldati avrebbero abbandonato l’esercito governativo portandosi con sé ingenti quantità di armi.

Oggi la stampa locale e internazionale ha riportato la notizia della fuga da parte di numerosi civili siriani, residenti a Damasco: foto scattate da attivisti mostrano intere famiglie partire a bordo di piccoli camion carichi di effetti personali, al fine di salvarsi dalla violenze che insanguinano la capitale siriana.

Ma non solo: aumenta costantemente il numero di rifugiati siriani in Giordania. E mentre l’Arabia Saudita invia ad Amman aiuti umanitari per le famiglie siriane scappate dal conflitto, le autorità giordane avrebbero ricevuto l’ordine di bloccare gli ingressi nel Paese. Secondo quanto riportato dall’agenzia stampa Al Arabiya, circa 50 siriani sarebbero stati fermati all’aeroporto Queen Alia, nella capitale giordana.

Un testimone rimasto anonimo ha raccontato di numerosi cittadini siriani rispediti indietro. Lo stesso ministro degli Esteri giordano, Nasser Jouda, ha giustificato i dinieghi di ingresso con “ragioni di sicurezza”.