Verso il vertice del 28 giugno

Morale della favola: questo passo (gli Stati Uniti d’Europa) non avverrà. Se questo momento c’è mai stato davvero, esso è oramai passato, dileguato. Oramai è troppo tardi per arrestare la tendenza alla rinazionalizzazione dei paesi. Detto con vecchio gergo: le contraddizioni inter-capitalistiche stanno riprendendo il sopravvento in Europa. Le forze centrifughe del capitale più forti di quelle centripete, mentre la sfera politica non può più fermare questa tendenza, ma solo tentare di governarla. E’ quindi molto probabile che i poteri nazionali europei decidano per il male minore. Qual è? Una separazione consensuale plurima, un abbandono condiviso e pilotato della moneta unica“.

Siamo alle porte del decisivo Vertice europeo del 28 giugno. Non vi tedieremo, questa volta, con un’analisi economica. Cercheremo piuttosto di stare sul terreno politico. Lo faremo rispondendo alle cinque domande che ci paiono cruciali: (1) Cosa accadrà con la fine eventuale della moneta unica e dell’Unione? (2) Sopravviverà l’Unione alla dissoluzione dell’eurozona? (3) Esistono soluzioni per evitare il processo di disgregazione dell’Unione monetaria? (4) Quali sono le ragioni per cui i fattori di decomposizione stanno prevalendo? (5) Esistono misure tampone per prolungare l’agonia ed evitare un collasso a breve?
Risponderò capovolgendo l’ordine delle questioni.

(5) Esistono misure tampone per prolungare l’agonia ed evitare un collasso a breve?

Sì, queste misure esistono. Gli eurocrati hanno al loro arco alcune frecce, per quanto ben più modeste di quelle già adottate e che si sono rivelate insufficienti.

Elenchiamo intanto lo sciame di provvedimenti che non hanno dato l’esito sperato. Stiamo parlando dei diversi salvataggi di Grecia, Irlanda e Portogallo. Delle centinaia di miliardi di titoli di stato acquistati sul secondario dalla Bce. Delle due grandi iniezioni di liquidità (Ltro) compiute dalla Bce per evitare il crack dei sistemi bancari. Della nascita dei fondi salva-stati (Efsf e Esm). Stiamo parlando del recente (marzo 2012) Trattato che uniforma le politiche di bilancio dei paesi euro (Fiscal compact). Non dimentichiamo infine l’ultimo arrivato, il prestito di 100 Mld al governo spagnolo per frenare la bancarotta delle banche iberiche che ha fatto cilecca in poche ore.

Malgrado tutte queste misure, per certi versi imponenti, l’euro non sta meglio, sta anzi peggio. In barba ad una politica monetaria unica, tutti i differenziali tra i paesi dell’eurozona si sono approfonditi anziché ridursi, non solo gli spread dei tassi d’interesse sui titoli di debito pubblico; divergono di conseguenza, tra paese e paese, le politiche di bilancio, il costo del denaro per le aziende e i cittadini; gli andamenti delle borse; i tassi di disoccupazione, quelli della produttività. Si approfondiscono gli squilibri delle bilance dei pagamenti.

Il fallimento senza appello della moneta unica (gli euristi pensavano che grazie ad essa sarebbe venuta l’armonizzazione) è dimostrato dal fatto che da quando c’è l’euro la distanza tra i paesi è cresciuta. Non c’è quindi da stupirsi se i cosiddetti “mercati finanziari” operano come se la moneta unica non ci fosse.

Ci sono tre misure tampone che i mercati ritengono “corpose”, che considerano necessarie onde evitare la loro fuga dall’Unione europea. Il fatto è che nessuna di esse verrà adottata dal vertice. Quest’ultimo non vincerà infatti l’opposizione tedesca agli eurobond, ovvero la mutualizzazione o condivisione dei costi dei debiti pubblici. Né sarà vinta l’opposizione tedesca a far si che la Banca centrale europea possa acquistare direttamente i titoli degli stati sull’orlo del default. La Bce, infine, non sarà autorizzata ad imitare la Fed americana, ad avviare una politica di Qantitative easing, ovvero la creazione di nuova moneta.

Quali decisioni il Vertice europeo potrà dunque effettivamente adottare? Solo soluzioni di rimpiazzo. Vediamo. (1) Un passo verso l’unione bancaria: regole comuni per le banche, le quali verranno sottoposte ad un organismo sovranazionale di controllo. Che verrà stabilità un’unione vera e propria dubitiamo, dato il coacervo di interessi, nazionali e politici, che verranno intaccati. Si parla poi di un fondo comune europeo di garanzia dei depositi. (2) Data l’impossibilità di eurobond si parla di una loro versione in sedicesimo: gli eurobill, titoli pubblici di debito europei ma solo con scadenze inferiori ad un anno — il che la dice lunga: significa che gli stessi eurocrati non solo non si fidano tra di loro, ma che non credono che l’euro reggerà a lungo. (3) La Bce potrebbe essere autorizzata, in deroga ai Trattati e al suo proprio statuto, ad acquistare nuovamente parte dei titoli di stato dei paesi altamente indebitati allo scopo di ridurre gli spread. (4) la creazione di un Fondo di redenzione o riscatto del debito, mettendo in comune la quota di debito pubblico eccedente il 60% del Pil.

Prese tutte assieme queste quattro mezze-misure potrebbero placare per un po’ i mercati finanziari e posticipare il redde rationem. L’euro avrebbe comprato altro tempo, allontanando la tempesta in arrivo. Ma essa sarebbe solo posticipata. Noi dubitiamo tuttavia che questo pacchetto di misure sarà adottato in maniera organica. E se abbiamo ragione, allora, in barba alle declamazioni eventuali, la burrasca finanziaria si abbatterà sull’eurozona nei prossimi mesi, con una gragnola di vendite di titoli e azioni, tedeschi compresi. Le Borse sprofonderanno e l’instabile miscela esplosiva di debiti sovrani e debiti bancari, esploderà.


(4) Quali sono le ragioni per cui i fattori di decomposizione stanno prevalendo?

Abbiamo detto sopra che il principale indizio del fallimento della moneta unica consiste nel fatto che, lungi dall’armonizzare le differenze tra i diversi paesi che lo hanno adottato, essa è stata fattore di approfondimento dei contrasti tra le diverse economie. Il difetto stava nel manico. L’eurozona, in effetti, si concepiva ab origine, come zona di libero scambio, quindi intrinsecamente conflittuale. Ogni idea di pianificazione macroeconomica sovranazionale (eccetto la politica monetaria) era respinta in nome del paradigma liberista che la politica non si doveva ficcare troppo il naso nella sfera economica. Il risultato è che la competizione commerciale e finanziaria tra i diversi capitalismi europei, dopo la devastante crisi finanziaria esplosa negli USA nel 2007-08, è diventata vera e propria contesa. Dalla disarmonia si è passati al contrasto latente ed infine al conflitto inter-capitalista conclamato.

Due esempi lampanti su tutti. Uno è lo squilibrio nelle bilance dei pagamenti. Alcuni paesi, Germania in primis, hanno tratto enormi vantaggi dall’euro, ma anzitutto a spese degli altri membri dell’Unione. L’altro lo abbiamo con gli spread, per cui, i paesi che hanno un surplus commerciale sono premiati dai mercati finanziari e possono finanziarsi a tassi decisamente più vantaggiosi degli altri — altro che produttività del lavoro!

In buona sostanza sta accadendo che, chiuso il periodo delle vacche grasse, le singole economie si vanno “rinazionalizzando”, che dopo il cupio dissolvi delle nazioni, che ogni capitalismo (ad eccezione di pochi grandi gruppi sovranazionali) si muove, chi più velocemente e chi meno, in base ai propri interessi di bottega. Il tedesco in questo è il primo della classe.

Due fenomeni principali sono spia di questa tendenza che chiameremo post-unionista. Il decesso conclamato dell’asse carolingio franco-tedesco, da una parte, e l’insorgenza, in ogni paese, di forze “populiste” anti-unioniste e anti-euriste. Mario Monti si atteggia a cursore tra Parigi e Berlino per tentare di ricomporre l’asse. Francamente ci viene da ridere: un gauleiter, messo lì dai poteri esterni, che si traveste da sovrano. Tuttavia Monti e Napolitano hanno capito dove sta il problema: che senza l’accordo tra Germania e Francia — che non è solo fattore economico ma geopolitico e strategico — l’Unione è condannata.


(3) Esistono soluzioni per evitare il processo di disgregazione dell’Unione monetaria?

Sì, esistono. Esse possono essere riassunte in tre parole: Stati uniti d’Europa. Compiere il salto verso un vero e proprio stato federale europeo (e dove c’è federalismo c’è sempre un forte potere centrale) è la sola soluzione per salvare l’euro e con esso il processo di costruzione dell’Unione europea. Non è un caso che i mercati finanziari invocano i politici europei a compiere questo passaggio, poiché esso, significherebbe andare alla radice dei problemi, risolvere con un colpo d’ala le incongruenze e le contraddizioni che stanno facendo sprofondare l’Unione. Un’unica politica economica, una sola politica fiscale e di bilancio, un unico effettivo mercato dei capitali, una omogenea legislazione sociale, un forte potere imperiale. A quel punto ha senso una moneta unica e la Banca centrale avrebbe gli effettivi poteri di prestatore di ultima istanza.

Sbarazzarsi quindi una volta per sempre degli stati sovrani e di ciò che ne resta. Il problema è che, se i paesi “periferici” sono già a sovranità limitata, se le élite dirigenti di questi paesi sono pronte a sacrificarsi come agnelli sull’altare del Moloch, sono proprio Germania e Francia, non solo le loro classi dirigenti ma i loro stessi sudditi, a custodire gelosamente la loro indipendenza. Il loro potere di veto e interdittorio infatti, è forte adesso, in un’Unione slabbrata e posticcia, sarebbe decisamente minore in un’Europa-stato.

Morale della favola: questo passo (gli Stati Uniti d’Europa) non avverrà. Se questo momento c’è mai stato davvero, esso è oramai passato, dileguato. Oramai è troppo tardi per arrestare la tendenza alla rinazionalizzazione dei paesi. Detto con vecchio gergo: le contraddizioni inter-capitalistiche stanno riprendendo il sopravvento in Europa. Le forze centrifughe del capitale più forti di quelle centripete, mentre la sfera politica non può più fermare questa tendenza, ma solo tentare di governarla. E’ quindi molto probabile che i poteri nazionali europei decidano per il male minore. Qual è? Una separazione consensuale plurima, un abbandono condiviso e pilotato della moneta unica.

(2) Sopravviverà l’Unione alla dissoluzione dell’eurozona?

L’eurozona è destinata a disgregarsi e siccome l’Unione europea è stata ancorata alla moneta unica e all’economia, quest’ultima si sfascerà poco dopo. Non stiamo parlando di un crollo subitaneo, i dominanti cercheranno in ogni maniera di evitarlo, visto che temono processi ingovernabili segnati dal caos sociale e geopolitico. Tanto più in assenza di forze antisistemiche che possano ingaggiare a breve la lotta per strappare il potere, avremo un’agonia dolorosa, ma lenta. L’agonia non significa altro che il passaggio da un ordine morente ad un nascente, quanto sarà dolorosa e lunga dipende da molteplici fattori. Noi possiamo solo concentraci sul fattore che con la nostra prassi possiamo determinare appunto quello di far sì che una movimento rivoluzionario antisistemico acquisti potenza, ovvero guadagni l’appoggio di larghe masse.

La nostra funzione primaria non è quella di suscitare i conflitti. Di conflitti ne avremo a iosa nel periodo in cui stiamo per entrare. La nostra funzione primaria è quella, oggi, di dire al popolo lavoratore come stanno le cose, di indicare le tendenze e le contraddizioni oggettive, di indicare la via d’uscita al marasma, con quali mezzi e alleanze aprirgli la strada.


(1) Cosa accadrà con la fine eventuale della moneta unica e dell’Unione?

Quanto tempo occorrerà, attraverso quali passaggi politici una forza rivoluzionaria si farà spazio, quali vie tattiche dovranno essere seguite per afferrare il potere, questo è presto per dirlo. Certe sono quattro cose: (1) le forze euriste sono destinate a collassare con la disgregazione dell’Unione; (2) malgrado condannate a perire esse resisteranno con ogni mezzo a loro disposizione; (3) le nuove forze che la società tiene in grembo — quelle che oggi stanno facendo capolino tra i miasmi sistemici non sono nulla di più che apripista — dovranno prepararsi a battaglie durissime, a guidare le sollevazioni di popolo sulla cui scia soltanto potranno salire al potere; (4) ad ogni crisi storica corrisponde un’esacerbarsi delle contraddizioni e dei conflitti sociali, quindi una polarizzazione irriducibile. Non avremo solo spinte democratico-rivoluzionarie per fuoriuscire dal capitalismo, avremo anche forze che andranno in senso opposto. Il capitalismo, tanto più quando si sentirà minacciato, non esiterà a giocare la carta eversiva del neo-fascismo. I borghesi non vanno mai in battaglia, inviano in loro vece i loro scherani.