Crisi dell’Eurozona: dall’euforia alla depressione attraverso due articoli de la Repubblica
E’ passata solo una settimana dalla sbornia mediatica che ha preteso di raccontare il vertice europeo di Bruxelles del 28-29 giugno. Una settimana che ha smentito l’idea fasulla che il vertice fosse stato un successo. Una settimana che ha mostrato quanto la realtà sia diversa, potremmo dire opposta, alla rappresentazione europeisticamente edificante che si era voluto diffondere.
Non staremo qui a ricordare l’evidente giustezza delle nostre valutazioni, abbondantemente presenti in questo sito. Ci divertiremo, invece, a mostrare quanto possa essere lunga una settimana, mettendo a confronto due articoli apparsi su un giornale ultra-europeista (ed ultra-montista) come la Repubblica. I due articoli – con il secondo che, alla luce dei fatti, smentisce totalmente il primo – sono l’editoriale di Eugenio Scalfari di domenica 1 luglio, ed un pezzo scritto da Federico Rampini e pubblicato ieri 7 luglio.
Partiamo da Scalfari:
«I mercati hanno risposto in modo estremamente positivo. Le Borse – specialmente quelle italiane spagnole francesi e Wall Street – hanno segnato i massimi di tutto l’anno; lo “spread” italiano è diminuito di 50 punti-base, il tasso di cambio euro-dollaro è aumentato di 2 punti-base.
Ma sono gli effetti politici e le aspettative gli elementi più importanti del quadro che si è delineato venerdì scorso a Bruxelles, con conseguenze sull’Europa, in Usa e nei Paesi membri dell’Unione».
Sono passati 6 giorni (sei), ed ecco il Rampini di ieri:
«La settimana si è chiusa in un clima completamente rovesciato rispetto all’euforia del 29: ogni illusione suscitata da quel summit Ue si è già dissipata da tempo. L’ultimo venerdì di giugno sembra una data lontanissima nella storia, per il ritmo convulso degli eventi. La realtà si è presa la sua rivincita, e dice che nulla è cambiato nell’eurozona otto giorni fa».
Torniamo agli entusiastici giudizi politici di Scalfari:
«L’asse tra Germania e Francia con l’evidente egemonia tedesca ha ceduto il posto ad una direzione collettiva i cui pilastri di sostegno sono la Germania, la Francia, l’Italia, la Spagna.
L’accordo si basa su uno scambio storico che ha come protagonisti la Merkel e Hollande: cessione di sovranità degli Stati membri dell’Unione (per quanto riguarda l’eurozona) e interventi immediati sul rilancio della domanda e sulla messa in sicurezza del sistema bancario, degli “spread” e dei debiti sovrani».
Dunque: accordo politico, nuovo asse alla guida dell’UE, rilancio della domanda, messa in sicurezza delle banche, dello spread, dei debiti pubblici. Un po’ troppo per qualunque persona ragionevole, ma evidentemente non per Scalfari!
Ecco, invece, come la vede Rampini 6 giorni dopo: «La Spagna per collocare tra gli investitori i suoi titoli del Tesoro è costretta di nuovo a offrire rendimenti vicini al 7%: cioè insostenibili nel medio-lungo periodo. Avevano ragione dunque quei “maligni” del fronte euroscettico angloamericano, dai grandi media Usa agli uffici studi delle banche di Wall Street e di Londra, che non credettero alla versione del trionfo di Mario Monti su Angela Merkel».
Ma guarda un po’, hanno avuto ragione gli «euroscettici»… Ora non si venga a dire che il fronte angloamericano è euroscettico perché contrario all’euro. In realtà l’euro ha il suo maggior sostenitore proprio a Washington (vedi le telefonate di Obama a Monti). E in quanto agli inglesi si sono spesi per l’euro (purché non gli si chieda di adottarlo) tanto l’attuale primo ministro conservatore, Cameron, quanto il suo predecessore laburista, Blair.
Il perché di tanta apprensione angloamericana richiederebbe un discorso a parte. Ma se teniamo conto che le due principali piazze finanziarie sono la City e Wall Street, e che l’euro è la moneta prediletta dagli speculatori (per i motivi che abbiamo più volte spiegato) non sarà poi così difficile comprendere la preoccupazione di Londra e Washington, le più importanti capitali del capitalismo-casinò. Il fatto è che – a differenza dei seriosi editorialisti alla Scalfari – gli anglosassoni sono particolarmente attenti ai fatti, ed alla bufala del «successone» di Bruxelles non ci hanno creduto neppure per un istante.
E veniamo al ruolo del patetico Professor Quisling, al secolo Mario Monti, Super-Mario secondo i nostrani pennivendoli. Partiamo con Scalfari, impegnato nella solita melensa metafora calcistica: «Hollande – come Cassano – ha fornito gli “assist”; Monti – come Balotelli – ha messo la palla in rete. Non a caso i mercati italiani in Borsa e nelle quotazioni dello “spread” sono stati in testa a tutti gli altri». Era il 1° luglio. La sera di quello stesso giorno il 4-0 spagnolo avrà almeno il merito (non piccolo, per la verità!) di farla finita con simili amenità.
Scalfari crede davvero alle panzane che scrive. E dunque insiste: «Mario Monti è stato il protagonista numero uno». Ed ancora: «Il nostro premier ha portato a casa quanto aveva promesso, non soltanto per far fronte alle necessità impellenti del nostro Paese ma anche per rafforzare l’Europa modificandone il quadro generale e le prospettive di fondo».
Ci stiamo divertendo con Scalfari, ma va detto che non è stato certo il solo a sostenere queste cose. Peccato che il numero dei mentitori non possa trasformare una bugia in una verità, a partire dal fantomatico meccanismo anti-spread spacciato come grande successo di Monti. Tocca perciò a Rampini tornare alla realtà: « Lo scudo anti-spread si è già arenato di fronte alla minaccia di un veto della Finlandia e a quella – ben più sostanziale – della Csu bavarese che è parte della coalizione di governo a Berlino. Dunque non ci saranno i massicci e risolutivi acquisti di bond italiani e spagnoli per arginare l’escalation dei rendimenti. Peggio: neppure l’operazione-salvataggio delle banche spagnole va in porto come si era sperato e creduto al summit del 29».
Ma Scalfari davvero non teme il ridicolo, e riesce addirittura a vedere la fine di una crisi incredibilmente definita «congiunturale». Che la crisi abbia invece caratteri sistemici é un pensiero che non sfiora neppure il fondatore di “Repubblica“.
Vediamo allora qual è la «congiuntura» post-vertice europeo secondo Rampini: «Crescita “anemica” in America col tasso di disoccupazione inchiodato all’8,2%. La Triplice delle banche centrali umiliata dai mercati (ci si riferisce alla manovra combinata di riduzione dei tassi, ndr). Il nodo delle banche spagnole torna a dominare le paure: ormai all’ordine del giorno c’è un salvataggio della Spagna come Stato sovrano, non dei singoli istituti. Il Fondo monetario estende l’allarme per un rallentamento a tutte le ex-locomotive emergenti, dalla Cina all’India. Quattro colpi duri, quattro sviluppi nefasti in sole 48 ore».
Che dire, Scalfari contro Rampini, Repubblica contro Repubblica? No, semplicemente le bugie, oltre alle gambe, hanno tempi ormai cortissimi. E la verità l’ha dovuta confessare pure l’ultra-ortodosso Repubblica, affidando il compito al lontano corrispondente da New York Federico Rampini.
La qual cosa non sposterà di un millimetro il posizionamento politico del giornale, ma forse porrà fine ai canti per una vittoria che non c’è mai stata.