Perché il crollo di Assad è imminente

Il Movimento Popolare contro l’ingerenza straniera e la guerra civile settaria
Parla Salameh Kaileh

Salameh Kaileh
(foto) è uno scrittore siro-palestinese, un attivista politico e intellettuale marxista, esponente della Coalizione Siriana di Sinistra.

E’ stato nuovamente arrestato il 24 aprile 2012. Dopo essere stato torturato, è stato espulso dalla Siria, dove aveva vissuto per tre decenni, di cui 8 anni passati in prigione. Degno di nota che il regime di Assad abbia usato le origini palestinesi di Kaileh come pretesto giuridico per legittimare l’espulsione dal paese. La tendenza di Kaileh è stata interna alla rivolta popolare sin dall’inizio.

Kaileh è stato ospite a Vienna, su invito dell’OKAZ (Centro culturale arabo in Austria) e dell’Unione dei Siriani all’Estero, allo scopo di parlare del movimento di disobbedienza civile a Damasco. Il Campo Antimperialista ha partecipato all’organizzazione dell’evento e al dibattito.

L’intervento di Kaileh ha fatto seguito all’attentato di Damasco in cui sono stati uccisi quattro alti funzionari dell’apparato di sicurezza. La situazione politica sul terreno suggerisce che la battaglia finale si sta avvicinando. Per Kaileh è della massima importanza il fatto che la vittoria dell’insurrezione popolare è possibile senza l’intervento straniero. Questa vittoria potrebbe avvenire passando attraverso un forte cambiamento interno agli apparati statali, parte dei quali potrebbero essere alla ricerca di un compromesso con correnti dell’opposizione. Se questo non dovesse accadere, c’è il pericolo di un dilagare del caos e di una prolungata guerra civile, dice Kaileh.

Secondo Kaileh, né il popolo né la maggioranza delle forze armate ribelli vogliono una guerra civile settaria. Anche i gruppi più religiosi della popolazione non perseguono il settarismo. Ma si guardano da quelle forze sostenute dal Golfo, che vogliono trasformare la rivolta popolare in una guerra civile tra sette religiose. Ciò cozza contro alcune parti dell’opposizione politica che invece fanno un discorso settario. Per questo Egli ha invitato i siriani all’estero a non limitarsi ad un aiuto umanitario, ma a sviluppare una campagna politica di solidarietà con la rivoluzione siriana. Questo campo non deve essere lasciato a quelle forze che seguono gli ordini provenienti dall’esterno.


La fine in vista

Kaileh ha dato un’idea di come il regime abbia gradualmente perso la sua base sociale con la crescita della ribellione. Il segno più importante è dato dal fatto che, alla fine, le due città, Damasco e Aleppo, si sono unite all’insurrezione cosa che segna la fase finale. La strategia politica del regime si è basata sulla sanguinosa repressione delle proteste civili da una parte, dall’altra sulla scelta di suscitare la paura del fondamentalismo islamico e una guerra civile settaria, di cui in particolare, le minoranze sarebbero vittime. In un primo momento ciò ha dato i suoi frutti. Grosse fette di popolazione, specialmente tra le minoranze, si sono allontanate dalla protesta popolare. Si deve notare che gruppi dell’opposizione facevano parte di quel gioco e hanno aiutato Assad, promuovendo, di fatto, il settarismo sunnita.

Ma le cose col tempo sono cambiate. Parti sempre più numerose di popolazione si sono allontanate dal regime man mano che la rivolta continuava a crescere e il regime mostrava tutta la sua incapacità nel domarla. La borghesia mercantile, uno dei principali pilastri del regime, ha gradualmente ritirato il suo sostegno. Anche il reclutamento degli scherani del regime, gli Shabiha, è diventato problematico, poiché i loro familiari non vogliono più perdere i figli per una battaglia che appare sempre più perdente. Al contrario, la feroce repressione contro il movimento civile di strada, ha costretto quest’ultimo a ricorrere a mezzi armati di autodifesa, con legittimazione popolare. Nel frattempo le proteste continuano ad espandersi in sempre più regioni. A tale processo si aggiunge la crisi economica del regime, che ha perso le entrate provenienti dalle esportazioni di petrolio. Anche la riscossione delle tasse è sensibilmente diminuita. Le autorità hanno reagito stampando carta moneta, innescando quindi una spirale inflazionistica che colpisce la popolazione.


La lotta armata come continuazione del movimento popolare democratico

Secondo Kaileh, il passaggio alla lotta armata costituisce uno sviluppo legittimo di fronte alla brutalità del regime.
Dopo sei mesi di proteste pacifiche, gli attivisti sono giunti alla conclusione che solo con una autodifesa armata  potranno resistere agli attacchi da parte dell’esercito e dei paramilitari. Il crescente coinvolgimento dell’esercito ha accelerato questo processo.

L’attentato di Damasco è avvenuto in un momento in cui i punti deboli del regime si sono accumulati. A prescindere da come si voglia interpretare l’attentato, o perpetrato dai ribelli armati o resa dei conti interna, in entrambi i casi emerge comunque una crisi di fiducia e coesione all’interno del sistema di potere. Parti significative delle forze armate, della polizia e dell’apparato burocratico dubitano che una soluzione militare sia ancora possibile. Per loro una cooperazione con la rivolta diventa sempre più possibile e necessaria. D’altra parte il cerchio blindato attorno ad Assad non si fida più della sua struttura di potere e si basa sempre più sui propri gruppi esclusivi e fedeli sia dentro che fuori l’apparato statale.

Un colpo di stato combinato con l’insurrezione

Secondo Kaileh, la variante più probabile e anche auspicabile del cambiamento sarebbe un golpe all’interno dell’apparato statale, cosa che richiede un gruppo pronto ad assumere il potere e fare un compromesso con l’insurrezione per la costruzione di un regime transitorio. La Russia, che ha svolto un ruolo decisivo nel mantenere Assad al suo posto, sembra modificare la sua posizione. Mosca cerca le forze che potrebbero guidare la transizione, garantendo anche gli interessi russi. Se così non sarà, il regime di Assad potrebbe lottare fino alla fine. Si arriverà al caos ed alla guerra civile se l’opposizione non è in grado di prendere il controllo e unificare il paese date le interferenze dei gruppi che obbediscono agli interessi stranieri.

Per Kaileh, in ultima istanza, solo il popolo siriano, contando sulle sue forze, può sconfiggere il regime e conquistare lo Stato.


Ingerenza straniera

Allo stesso tempo Kaileh riconosce la presenza di forze sostenute dall’Arabia Saudita e altri stati del Golfo, che intendono istigare una guerra civile settaria. Ma, secondo Kaileh, questo rimane un fenomeno politicamente marginale che non esprime le rivendicazioni politiche e sociali delle masse popolari.

Ma l’ingerenza straniera di diversi attori regionali e globali, che rappresentano interessi divergenti, ha complicato la situazione.

Fin dall’inizio l’Arabia Saudita ha combattuto il movimento democratico nel mondo arabo. I Sauditi temono che l’onda possa, infine, estendersi al loro regno. Pertanto nei primi mesi della rivolta hanno sostenuto il regime di Assad finanziariamente. Poi hanno infiltrato con forze fondamentaliste l’opposizione, al fine di sabotare la rivoluzione dall’interno. La linea dei Sauditi è quella di trasformare il movimento democratico popolare in una guerra civile settaria. Insieme con l’imperialismo essi vogliono prolungare le ostilità per indebolire tutte le parti. Alla fine i Sauditi saranno in grado di dettare le condizioni ai vincitori – chiunque essi siano.

Maggioranza non settaria

Kaileh ha insistito sul fatto che la maggioranza della popolazione non vuole essere coinvolta in una guerra civile settaria. In realtà c’è anche una tendenza inversa. Mentre nella prima fase le minoranze hanno mantenuto una certa passività per paura del fondamentalismo sunnita, oggi invece si stanno unendo alle proteste contro il regime. Anche tra gli Alawiti il sostegno ad Assad è minore di quanto è stato segnalato. Invece di minacciarli – come hanno fatto alcune forze di opposizione – è compito dell’opposizione stessa convincere gli Alawiti e allontanare da loro le paure con coraggiose garanzie politiche, ha dichiarato Kaileh.

Kaileh ha messo in guardia da semplificazioni settarie che associano gruppi confessionali a posizioni politiche omogenee. Le note bande di Shabiha, per esempio, non sono esclusivamente costituite da Alawiti come viene comunemente riportato. Le radici del fenomeno si trovano nella regione costiera Alawita, esso consiste in una struttura mafiosa, impegnata nel contrabbando protetto dalla famiglia regnante Assad-Makhlouf. Questi criminali non si sono astenuti dal terrorizzare anche la popolazione Alawita e si odiano persino fra di loro. Successivamente gli Shabiha sono stati trasformati in una struttura para-militare, operativa ancora oggi. Ad Aleppo questi delinquenti non sono Alawiti, ma sunniti, anche a Damasco ci sono sunniti tra gli Shabiha.

Oscillanti analisi dell’imperialismo e i suoi nemici

Tra le sollevazioni arabe quella siriana è stata la più controversa. Molte di quelle forze che hanno sostenuto le esplosioni popolari in Tunisia, Egitto, Bahrain e anche in Libia, non hanno trovato parole chiare sulla Siria. La ragione di ciò sta nel sostegno ufficiale che Assad offre alla Resistenza Palestinese.

Il problema è – dice Kaileh – che questa visione guarda al passato, e non riesce a considerare i profondi cambiamenti intervenuti nella società siriana. Sin dal 1990 vi è stata una forte tendenza alla liberalizzazione capitalista. Dopo l’ascesa al potere di Bashar al Assad, questo processo ha subito un accelerazione. Dal 2007 in poi, la situazione sociale in Siria non è molto diversa da quella dei paesi in cui sono scoppiate le rivolte popolari: controllo di tipo mafioso delle élite al potere nei settori cardine dell’economia, una enorme disoccupazione, circa al 30%, e una aumentata povertà di massa sempre più spinta dall’ampliamento abissale della forbice salari-prezzi. La Siria è stata completamente integrata nell’ordine globale capitalistico. I trattati economici con la Turchia hanno accelerato il collasso dell’agricoltura e dell’industria siriane. Questo aspetto sociale è troppo spesso trascurato nelle analisi che si attengono esclusivamente al campo politico.

Il secondo errore è quello di guardare all’imperialismo solo da un punto di vista geo-politico, con criteri formalistici. Anche qui la crisi economica dell’imperialismo non viene presa in considerazione. In realtà, la capacità dell’imperialismo di esercitare un controllo globale è diminuita. Nemmeno in Libia, dove la NATO è intervenuta direttamente e militarmente, esso è in grado di dettare le sue condizioni. L’imperialismo non è in grado di organizzare un “complotto”, quale l’insurrezione siriana. Al contrario, la sua politica è caratterizzata dalla consapevolezza di aver perso egemonia. Per questo Washington non è in grado di giocare un ruolo diretto in Siria. Mentre cerca un compromesso con Mosca, lascia il campo all’influenza diretta di Unione Europea, Turchia e Arabia Saudita.

Ma anche l’intervento turco non è lineare. Pur essendosi schierata contro Assad, Ankara è riluttante a dare pieno sostegno ai gruppi armati. Né vuole una troppo forte influenza degli Stati Uniti, cosa che potrebbe colpire il suo peso a livello regionale. La Turchia teme anche di ritrovarsi un pericoloso caos di ritorno in casa.

Anche se l’imperialismo riuscisse a garantire i propri interessi per un periodo transitorio, incorporando alcune forze islamiste, non sarà in grado di risolvere i problemi di fondo che hanno portato alle insurrezioni popolari. Kaileh sta puntando le sue speranze sulle nuove forze politiche che stanno sorgendo dai movimenti di massa, i quali continueranno la lotta come vediamo negli altri paesi arabi.

Vienna 30 Luglio 2012
Traduzione a cura della Redazione