Gli incontri al Campo di Assisi: Palestina ed Egitto

Assisi, 24 agosto – Dopo la parentesi greca, i lavori del Campo 2012 sono tornati a concentrarsi sul Medio Oriente, in particolare nella sessione pomeridiana sulla Palestina, mentre la sera è stata la volta dell’Egitto.

Come ricordato in apertura dei lavori, il tema proposto nel forum sulla Palestina è stato quello de «la questione dello Stato democratico e la solidarietà internazionale nel nuovo scenario regionale».

Un tema sviluppato da tutti i relatori a partire da Attia Rajab (Germania) che ha ripercorso le tappe del movimento sionista, il suo porsi fin dal principio come avanguardia dell’occidente nell’area, la sua propaganda incentrata sullo slogan di «un popolo senza terra, per una terra senza popolo», fino ad arrivare all’odierno apartheid.

Per Rajab il problema è che, di fronte a questa situazione, la solidarietà internazionale, un tempo ben più politicizzata, tende oggi a manifestarsi principalmente come umanitaria. C’è allora il problema di ridare contenuto politico alla solidarietà, utilizzando tutte le occasioni possibili, come è stato fatto, ad esempio con le conferenze di Haifa e Stoccarda.

Che la soluzione non possa essere che quella dello Stato unico è stata l’opinione di Rajab come quella degli altri relatori, a partire da Zaher Birawi (Gran Bretagna), che si è concentrato sul nuovo scenario regionale determinato dalle sollevazioni arabe.

Per Birawi, tutta l’area sta subendo un cambiamento radicale, ma a suo giudizio il centro di questo sommovimento è l’Egitto. Sono vere rivoluzioni? – si è chiesto. Certo che sì. Come è possibile pensare che milioni di arabi da sempre contro l’imperialismo americano si siano mobilitati al servizio degli Usa come pensa qualcuno?

Questa nuova situazione ha un grande impatto sulla questione palestinese. E’ vero che le sollevazioni non hanno prodotto ad oggi veri cambiamenti sociali, ma i nuovi governi, legittimati anche dalle elezioni, sono quanto meno in condizioni migliori per resistere alle pressioni dell’imperialismo.

I vantaggi portati alla causa palestinese sono per Birawi evidenti. In primo luogo già durante le sollevazioni la bandiera della Palestina è stata fatta propria dai manifestanti, ma secondo il relatore novità importanti arriveranno dall’Egitto. Egli non pensa, infatti, che possa esservi una vera riappacificazione con gli Usa ed Israele.

Per Birawi il fatto decisivo è che le sollevazioni hanno tolto di mezzo i guardiani degli interessi di Israele. E rivolgendosi ai sostenitori della tesi del complotto ha invitato al superamento dell’eurocentrismo, chiedendo di guardare alla realtà dei paesi arabi con gli occhi degli arabi.

E’ stata poi la volta di Yoav Bar (Haifa) per il quale la soluzione dei «due popoli, due stati» non è una soluzione. Anzi, per essere più precisi essa è la soluzione dell’imperialismo. Ed è una vera tragedia che la sinistra sia in buona parte su questa posizione. La soluzione è in realtà una sola: un unico Stato democratico con il diritto al ritorno per i palestinesi.

Parlando della conferenza di Haifa, Bar ha detto che siamo partiti dalla formula di «uno Stato democratico secolare», per arrivare a quella di uno «Stato democratico per la Palestina», una soluzione non accettata però da tutti partecipanti. Ora questa situazione è stata superata ed è nato un coordinamento unitario per un «unico Stato democratico palestinese», di cui lo stesso Bar è uno dei coordinatori internazionali.

Per il relatore le condizioni storiche portano a grandi cambiamenti. Da qui il suo ottimismo sulle attuali prospettive. «Con la forza di 300 milioni di arabi e quella dei popoli della Turchia e dell’Iran non ci saranno più ostacoli per costruire lo Stato unico di Palestina», è stata questa la sua conclusione.

L’ultima relazione è stata quella di Leo Gabriel, membro dell’esecutivo del Social Forum mondiale e molto attivo nelle azioni di solidarietà con la Palestina. Gabriel ha paragonato le primavere arabe con i cambiamenti avvenuti in America Latina, dove il tratto comune è rappresentato dal fatto che la gente ha cominciato a riappropriarsi della politica.

Sulla questione dello stato democratico, Gabriel ritiene che forse la precisazione sul suo carattere secolare sarebbe stata preferibile. A suo giudizio il movimento di solidarietà deve oggi affrontare soprattutto il problema della comunicazione. Da qui la necessità di campagne molto simboliche, in grado in questo modo di ottenere risultati con i media.

Del dibattito che si è sviluppato dopo questi quattro interventi, segnaliamo – per la sua rilevanza – una questione. Moreno Pasquinelli, rivolgendosi a Birawi, ha sollevato infatti il problema della posizione della Fratellanza Musulmana, favorevole all’intervento militare in Siria, una posizione che si ripercuote pesantemente nel movimento di solidarietà con la Palestina.

Birawi, precisando comunque di non rappresentare la Fratellanza, ha detto che non è vero che essa abbia preso una simile posizione, assunta invece su al Jazeera da un singolo esponente siriano. In ogni caso lui è totalmente contrario all’intervento straniero, pur condannando con forza un presidente che uccide il suo popolo.

La giornata di venerdì 24 è proseguita la sera con il forum sulla situazione egiziana.

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Egitto: restaurazione o rivoluzione? I militari, gli islamisti e il movimento di piazza Tahrir

La serata si è aperta con la proiezione del film-documentraio «Proibito», della regista egiziana Amal Ramsis, presente ad Assisi. Il film, girato nell’autunno 2010, è una sorta di fotografia sull’Egitto a tre mesi dalla sollevazione di piazza Tahrir. Come già si può intuire dal titolo, «Proibito» è una rassegna di tutte le proibizioni presenti nella società egiziana, sia nel campo dei diritti civili che in quello dei diritti sociali.

Ovviamente anche questo film nasce proibito, mentre dopo la caduta del regime la proiezione verrà autorizzata ed avverrà alla presenza del nuovo ministro della cultura.

Nel film si vedono anche i grandi scioperi e il nuovo clima affermatosi in Egitto a partire dal 2005, un passaggio che certo ha preparato la sollevazione del 2011. E’ a partire proprio dall’iniziativa di Kifaya contro Mubarak che la gente ha cominciato a prendere coraggio. Ed anche il risultato del candidato nasseriano alle presidenziali, Hamdin – che ha vinto nelle grandi città – è un segnale di notevole importanza.

Il film si chiude con le immagini della grande manifestazione in piazza Tahrir del 25 gennaio 2010, il momento che segnerà l’inizio della fine per il regime di Mubarak. La regista, intervenendo dopo la proiezione, ha spiegato che inizialmente il film si concludeva con la frase «abbiamo rovesciato il regime», mentre dopo un anno e mezzo da quei fatti, ed in particolare dopo la vittoria elettorale della Fratellanza Musulmana, è arrivata alla conclusione che in realtà «nulla è cambiato nel Paese».

Una posizione piuttosto netta, contestata in particolare da Moreno Pasquinelli.
Amal Ramsis ha detto che le proibizioni di ieri ci sono anche oggi, che il valico di Rafah è ancora sostanzialmente chiuso, che l’informazione è controllata, che il nuovo governo condanna gli scioperi come «controrivoluzionari», che la liquidazione di Tantawi da parte del presidente Morsi si deve soltanto ad un’alleanza di quest’ultimo con altri settori dell’esercito.

Pasquinelli ha replicato dicendo sostanzialmente tre cose. In primo luogo che è sbagliato parlare di una nuova dittatura, questa volta della Fratellanza Musulmana. In secondo luogo che, se così fosse, ciò significherebbe la sconfitta del movimento di Piazza Tahrir, mentre invece la situazione è ancora del tutto aperta. In terzo luogo, che la Fratellanza Musulmana egiziana non è certo al servizio dell’Arabia Saudita e del Qatar, come invece alcuni vorrebbero far credere.