L’ultimo forum del Campo di Assisi
Le “primavere arabe”, lo scontro in Siria e la strategia imperialista per il Medio oriente

Introducendo questo incontro, la sera di sabato 25 agosto, Moreno Pasquinelli ha ribadito le posizioni del Campo sulle “primavere arabe” e sulle conseguenze geopolitiche di questo sommovimento epocale.

Il Campo Antimperialista ha salutato calorosamente, fin dall’inizio, le sollevazioni arabe perché «le rivendicazioni democratiche noi le difendiamo». Ma queste rivolte hanno avuto anche un chiaro segno di classe. Il problema è allora quello di tenere insieme il blocco popolare protagonista delle sollevazioni, inclusa la componente islamica, dato che: «l’alleanza con le masse islamiche è necessaria, se vogliamo sconfiggere il sionismo e l’imperialismo».

Tre i relatori in questo forum: il prof. Dehshiri, dell’università di Theran, Ali Fayyad, membro della direzione di Hezbollah, ed Evangelis Pissias. Considerata la vastità dei temi trattati, ci limiteremo ad un breve sunto delle posizione espresse dai tre protagonisti della serata.


Mohammad Reza Dehshiri

Per il professore iraniano più che di “primavere arabe”, si dovrebbe parlare di “risveglio islamico”. A suo avviso – ma questa visione è stata contestata da diversi interventi – il movimento ha avuto un carattere più islamico che arabo. Esso si è espresso certamente per la democrazia, ma non per la “democrazia” importata.

Per Dehshiri la rivoluzione iraniana del 1979 ha avuto un’influenza sulle sollevazioni arabe, ed una similitudine la si può rinvenire nel carattere pacifico e di massa delle manifestazioni. Naturalmente, ogni Paese può avere una sua combinazione tra Islam e democrazia, ma questo è lo snodo decisivo.

Sul piano geopolitico, tre gli effetti principali a suo giudizio: in primo luogo, un cambiamento sostanziale nei rapporti di forza con Israele; in secondo luogo, un peso crescente del Medio Oriente e del Nord Africa nelle relazioni internazionali; in terzo luogo, il passaggio da un mondo unipolare ad un mondo sempre più multipolare.

Ovviamente l’imperialismo ha cercato, e sta cercando, di riorientare a proprio vantaggio il movimento che è stato protagonista delle “primavere arabe”. Lo fa cercando di approfondire il conflitto sciiti-sunniti, favorendo l’integralismo religioso, aumentando il ciclo della violenza nella regione.

Sul piano storico, Dehshiri ha parlato di 3 “ondate islamiche” negli ultimi due secoli. La prima, nell’ottocento, è stata la mobilitazione del mondo islamico contro il colonialismo; la seconda è invece rappresentata dalla rivoluzione iraniana del 1979; la terza è quella attuale, che ha condotto alle vittorie in Tunisia ed Egitto.

Rispondendo alle domande, Dehshiri ha fatto una rivendicazione ed un’ammissione. La rivendicazione è stata quella del contributo decisivo delle forze islamiche. L’ammissione, con riferimento al proprio Paese, è stata che «noi vogliamo la giustizia sociale, ma so bene che non l’abbiamo ancora realizzata».


Ali Fayyad

Per Fayyad le primavere arabe sono un prodotto arabo, nel quale gli Usa hanno provato ad interferire. Due sono i fatti importanti degli ultimi tempi: l’uscita di scena di Mubarak ed il ritiro americano dall’Iraq. Fatti che evidenziano un netto cambiamento degli equilibri strategici in Medio Oriente.

Sulla Siria, Fayyad ha detto che quella in corso non può essere letta come rivoluzione democratica. E’ vero che il popolo siriano ha diritto al cambiamento democratico, ma Usa, Arabia Saudita e Qatar vogliono la democrazia? Il fatto è che alla Siria viene fatta pagare la sua posizione a sostegno delle resistenze.

In ogni caso – ha proseguito il dirigente di Hezbollah – noi vediamo un cambiamento in Medio Oriente. Adesso c’è un nuovo giocatore: il popolo. Siamo alle porte di una nuova storia araba. La novità è che l’Islam è arrivato al governo e che gli Usa sono più deboli.

Grandi sfide sono davanti a noi: innanzi tutto la lotta contro il sionismo e l’imperialismo, che non possiamo permettere che venga rimpiazzata dalla guerra interna tra gli arabi; poi bisogna impedire la Fitna, cioè la guerra confessionale tra sciiti e sunniti; infine dobbiamo proteggere tutte le componenti della società civile. «Ho parlato della Fitna» – ha detto Fayyad – «perché si tratta di un problema reale». Del resto è già successo, dopo la prima guerra americana all’Iraq, in Libano dopo l’uccisione di Hariri, ed ora in Siria.

In Medio Oriente si confrontano tre progetti: quello americano, incentrato sul controllo delle fonti energetiche e sul sostegno ad Israele; il progetto turco, improntato ad un “neo-ottomanesimo” che è anche frutto del mancato ingresso nell’Unione Europea; il progetto delle Resistenze, che non è un progetto religioso. Poi ci sono dei sub-progetti: quelli della Fratellanza Musulmana, dell’Arabia Saudita e del Qatar, il progetto iraniano ed il modello liberale.

Dopo aver ricordato i conflitti interni al mondo arabo, e riferendosi alla “Pace di Vestfalia” del 1648, Fayyad ha detto che «C’è bisogno di una Vestfalia islamica, non tanto per finire le guerre settarie in corso, quanto per prevenirne di nuove e più gravi. Abbiamo paura di una “guerra dei trent’anni: non deve accadere, non avrebbe senso». Per andare nella giusta direzione saranno decisivi sia soggetti statali che non statali. Tra i primi noi mettiamo l’Iran, l’Iraq e l’Egitto; tra i secondi, Hamas, Hezbollah e la Fratellanza Musulmana.

Poi Fayyad ha così concluso: «Gli Stati Uniti sono oggi più deboli, per la sconfitta sionista in Libano, la perdita dell’Egitto e il ritiro dall’Iraq. Noi dobbiamo continuare la lotta, combinando resistenza e democrazia, libertà e liberazione».

Dopo numerosi interventi, Fayyad ha ripreso la parola osservando come la maggioranza delle domande girassero attorno alla questione siriana. Questione che ha due aspetti, quello di una lotta per le riforme democratiche e quello della cospirazione imperialista per far capitolare la Siria. «Come possiamo appoggiare le richieste del popolo siriano e battere la politica imperialista? Questo è il problema». «Non nascondo l’amicizia con Assad, che sostiene la resistenza. Al tempo stesso non nego la corruzione e gli errori del regime siriano».

Tuttavia, a giudizio di Fayyad, la situazione è diversa da quella di Tunisia ed Egitto, dato che Assad continua ad avere l’appoggio della maggioranza dei siriani. E’ sbagliata perciò la richiesta dell’opposizione di cacciare Assad come precondizione per il negoziato. «Allo stesso tempo – ha proseguito – non penso che da questa situazione si possa tornare alla stabilità». E per evitare la guerra civile e la divisione «dobbiamo aiutare il popolo siriano a trovare un tavolo negoziale. Nel 2014 ci saranno in Siria le elezioni presidenziali. Prima si dovrà porre fine alla guerra civile, costituendo un governo di unità nazionale».

Fayyad ha quindi concluso, ricordando il ruolo della Resistenza come fattore decisivo anche in questa turbolenta fase della situazione mediorientale.

Vangelis Pissias

Per l’esponente greco lo spettro del pensiero arabo-islamico è piuttosto ampio, ed occorrono analisi di più lungo periodo. Pissias si sofferma poi su due aspetti che evidenziano quanto il mondo stia cambiando e quanto sia destinato a cambiare: il crescente peso dei Brics e i cambiamenti demografici.

In questo nuovo quadro – si è chiesto – quali modelli sociali nasceranno in Medio Oriente? Quali forme prenderà la democrazia? Forse, non necessariamente quelle liberali occidentali, che se così fosse sarebbe un disastro.

Per Pissias, i cambiamenti in Egitto sono importanti, ma qual è il modello sociale della Fratellanza Musulmana? E’ semplicemente quello neo-liberale?

Tornando sull’argomento nell’intervento conclusivo, Pissias ha precisato che probabilmente è un po’ presto per darsi dei modelli. Ma per rendere l’idea dei rapporti attuali tra Egitto ed occidente, ha citato un fatto recente: «Morsi è stato invitato negli Usa. La sua risposta è stata che prima andrà in Cina ed in Iran. Solo dopo negli Usa…»