La tavola rotonda conclusiva del Campo 2012

Serpeggiava molta stanchezza, domenica mattina. Venivamo da tre giorni di dibattiti intensissimi coi i diversi protagonisti della scena mediorientale, e dopo i forum discussioni accese al bar, a volte fino a tarda notte. Ma la tavola rotonda di domenica mattina era speciale per diverse ragioni. Il Movimento Popolare di Liberazione ha occupato il campo, mettendo all’ordine del giorno la crisi italiana dentro quella europea, e dunque il ruolo e le prospettive dei movimenti popolari di protesta.

Malgrado molti ospiti stranieri fossero in procinto di partire, nonostante, dopo mesi di caldo soffocante si addensassero minacciose fosche nubi (e infatti l’acquazzone arriverà, violento, verso mezzogiorno), l’attenzione al tema era massima. Non poteva essere altrimenti, vista la presenza, tra gli oratori, di Mariano Ferro dei Forconi, Felice Floris dei pastori sardi e, in collegamento audio-video, di Alberto Perino del Movimento no-Tav.

Anzitutto l’introduzione, densa e impeccabile, del professor Nello De Bellis. De Bellis ha gettato sul tappeto i temi più scottanti: la natura storico-sistemica della crisi, la strategia dei grandi poli del potere finanziario globale che tendono a fare scempio non solo dei diritti acquisiti dai lavorarori ma delle sovranità nazionali e popolari, l’incorporazione della sinistra storica nel disegno di questi poteri (qui il ricordo del compianto Massimo Bontempelli) e quindi la necessità di costruire una nuova opposizione sociale e politica che punti alla fuoriuscita dal sistema.

Dopo i fraterni saluti di Alberto Perino del Movimento no-Tav, il quale ha denunciato l’attuale governo come il peggiore della storia repubblicana invitando tutti alla resistenza, il primo ad intervenire è stato Leonardo Mazzei.

Con la sua consueta precisione ha spiegato le cause di fondo della crisi dell’eurozona e come da questa crisi non si esca con delle mezze misure. Ha quindi esposto le oramai ben note proposte del Mpl, la cui realizzazione passa necessariamente, data l’inesistenza di forze istituzionali di vera opposizione (e qui ha espresso, ricollegandosi all’esperienza greca, la sua critica anche a Syriza), per una sollevazione popolare che consenta la formazione di un governo d’emergenza. Mazzei prima di concludere con l’affermazione che “questa sollevazione è necessaria, quindi possibile”, ha denunciato l’ammucchiata che tiene in piedi il governo Monti-Napolitano la quale, pur di tenersi in piedi e proseguire nell’applicazione del massacro sociale in nome della difesa dell’euro, sta complottando per una legge elettorale ancor più truffaldina del Porcellum.

Marino Badiale ha sottolineato la sua piena sintonia con le proposte svolte da Mazzei ma, a differenza di quest’ultimo, ritiene non esistano le condizioni per una sollevazione popolare generale. Lo spappolamento sociale causato dalla globalizzazione e dal neoliberismo è profondo e, peggio ancora, c’è stata una mutazione antropologica, per cui la maggioranza dei cittadini sono privi di una spinta interiore alla ribellione. “Negli anni settanta le gente, al limite, sparava su quelli che erano ritenuti i nemici, oggi invece si spara, e ciò da la misura di questo mutamento antropologico”. Badiale ha ammesso di essere pessimista riguardo all’idea che si possa uscire presto dal marasma, suggerendo che siamo agli inizi di una penosa via Crucis.

Di tutt’altro segno il discorso di Mariano Ferro, salito con un suo compagno ad Assisi in macchina, visto che il fallimento della Windjet ha pregiudicato il viaggio in aereo. Con la passione e il fervore che lo contraddistingue Ferro ha invitato i presenti a passare dalla parole all’azione. “Le analisi le abbiamo fatte, sulle analisi siamo d’accordo, ora occorre agire, perché solo con l’esempio possiamo parlare alle larghe masse”. Non ha avuto peli sulla lingua: “Il sistema politico che ci comanda va abbattuto, ogni ipotesi di autoriforma è illusoria, solo una rivolta popolare potrà cambiare il corso delle cose”. Ma per vincere occorre unire i diversi ceti sociali colpiti dalla crisi e portati alla fame, un fronte quindi, ma non basato su pregiudiziali ideologiche.

“La rivolta sociale è nell’aria, e ad essa prenderanno parte quelli che erano di sinistra e di destra, poiché gli interessi comuni contro questo sistema di rapina prevarranno sulle tradizionali differenze ideologiche”. Visto che c’erano anche i greci, Ferro ha invitato tutti a pensare ad una assemblea che unisca i settori popolari in lotta, dalla Grecia all’Italia, passando per gli indignatos spagnoli e per finire col Portogallo. Ha quindi concluso spiegando le ragioni che hanno spinto i Forconi a presentare una propria lista alle imminenti elezioni siciliane. Una battaglia difficilissima, vista la censura sistematica con cui le forze dominanti stanno cercando di accerchiare i Forconi.

Felice Floris ha ricostruito la storia del Movimento dei pastori sardi, le sue dure lotte, spesso represse, fino alla formazione della Consurta dei movimenti, diventata una protagonista della scena politica sarda. Non ci sono, per Felice, spazi di mediazione con le forze sistemiche, “siamo condannati a resistere e combattere” per abbattere un modello sociale che non da scampo al popolo lavoratore e che uccide ogni forma sociale e produttiva che non ubbidisca ai dettami neoliberisti.

Agganciandosi al discorso di Ferro, Floris ha messo in guardia che la situazione va sì verso la rivolta generale, ma le condizioni per questa non sono ancora mature. Floris è stato più preciso: le condizioni oggettive ci sarebbero anche “ma è il fattore soggettivo che non è maturo”, ed è quindi in questa direzione che occorre lavorare, per costruire un movimento che sia davvero pronto a vincere le sfide che si stagliano all’orizzonte. Qui l’importanza dell’esperienza della Consurta dei movimenti, un coordinamento dei movimenti sociali che vuole essere indipendente da tutti i partiti e la leva per mobilitare i più vasti settori popolari.

Il dibattito è stato intenso. Ragione e passione politica si sono date la mano. Esse debbono in effetti procedere di pari passo, mai separarsi l’una dall’altra, se davvero vogliamo passare da una resistenza divisa e quindi debole, alla controffensiva, unificando in un saldo fronte tutti i rivoli della protesta attuale fino alla rivolta generale.