Questo reportage sulla situazione in Georgia è stato scritto prima della elezioni parlamentari svoltesi lunedì primo ottobre. Le elezioni sono state vinte dalla coalizione “Sogno Georgiano”, guidata dal milionario e tycoon Bidzina Ivanshvili, arricchitosi grazie alle privatizzazioni selvaggie messe in atto dopo il 1991. Tuttavia gli americani e i loro alleati NATO non sono affatto contenti. L’alleanza del loro pupillo, il Presidente tutt’ora in carica Mikheil Saakashvili, ha ricevuto una sonora batosta.

Il vincitore non è certo un socialista, ma ha duramente criticato, negli anni, la politica antirussa del Presiedente georgiano culminata nella cocente sconfitta dell’agosto 2008, quando l’esercito russo penetrò in Georgia a fianco delle due nazionalità ribelli, gli osseti e gli abcazi. Staremo a vedere se il nuovo governo sgancerà davvero la Georgia dalle grinfie dell’Occidente. La prova del nove è se il nuovo governo rinuncerà o meno ad entrare nella NATO.


Si è spento il faro della democrazia: la Georgia si trova di nuovo al bivio

di Temur Pipia (Segretario Esecutivo del Comitato per la Pace della Georgia)

1. La Georgia è il “Faro della Democrazia” o un’oasi della dittatura neoliberale?

La crisi generale del capitalismo si riflette direttamente sulla Georgia. Tutte le principali  contraddizioni del capitalismo globalizzato producono le loro concrete e dirette conseguenze sui processi di sviluppo in Georgia e li orientano verso un sicuro alveo.

Gli Stati Uniti ostentano la Georgia come un esperimento americano di successo, un esempio da imitare, proclamandola il “Faro della Democrazia”. Le cosiddette “riforme neoliberali”, che sono state realizzate in un modo intransigente e particolarmente aggressivo in Georgia, sono giunte alla loro logica conclusione.

La privatizzazione di tutte le sfere dell’economia e delle infrastrutture sociali è completa. Tutti gli impianti e le fabbriche, che almeno funzionavano, sono in mani private. Tutti i sistemi di alimentazione, le centrali idroelettriche, quasi tutti i servizi delle città, compresi i sistemi di trasmissione dell’elettricità, del gas naturale e dell’acqua, sono privatizzati. Le risorse naturali, i boschi, i porti marittimi sono privatizzati.

Il processo di totale privatizzazione ha comportato la simultanea concentrazione e centralizzazione del capitale nelle mani di alcune figure di spicco del clan dominante. Tutti i principali flussi di reddito sono monopolizzati. Tutto il settore dell’import – export è monopolizzato. Essi sono divenuti fonti di arricchimento veloce per il locale clan oligarchico. L’arricchimento attraverso il monopolio del diritto di stabilire i prezzi dei beni importati si accompagna alla completa eliminazione della produzione interna, di interi settori industriali e dell’agricoltura. Per di più tutto ciò si verifica in pieno accordo con le richieste del Fondo Monetario Internazionale.

L’ultrarapido e fantastico arricchimento di una piccola minoranza va di pari passo con un fortissimo deterioramento degli standard di vita della stragrande maggioranza.

Le riforme neoliberali hanno distrutto tutte le garanzie sociali dei lavoratori. L’assistenza sanitaria è in mani private. Un’istruzione di buona qualità  si può ottenere solo dietro ingenti somme di denaro e solo in istituzioni educative private. Il diritto del lavoro nei confronti dei lavoratori è uno dei sistemi più discriminatori del mondo.

Oggi in Georgia funzionano solo le strutture di assistenza sanitaria, l’istruzione, l’alimentazione, gli stabilimenti del governo centrale e locale e il sistema bancario.  Le banche non danno credito alla sfera produttiva. Ricorrendo a pratiche usuraie, esse sono diventate la potente leva che soffoca la cosiddetta “piccola impresa” e l’acceleratore della centralizzazione e della monopolizzazione di cui ho prima parlato. Un esercito pagato profumatamente ed una polizia impeccabile proteggono l’ordine costituito. Vale a dire che nel paese funzionano solo quei sistemi assolutamente necessari per il supporto vitale di ogni società in generale. Lo stato mantiene solo la funzione di assistere il sistema privato – capitalista neoliberale.

Allo stesso tempo, a differenza di tutti o quasi i paesi postsocialisti, al livello più basso la corruzione è stata azzerata, le pastoie burocratiche sono ridottissime al momento di ottenere referenze e documenti. Gangsterismo e ruberie, fiorenti all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, sono sconfitti. Questo aspetto della restaurazione del capitalismo viene presentato come un risultato nazionale, anche se il ristabilimento dell’ordine in questi settori è stato dovuto anche alle esigenze del capitale. Il capitale necessita della riduzione al minimo dei problemi al livello più basso, senza danno per gli interessi principali della classe dirigente.

In una parola, in Georgia si è creata una specie di sistema classico di capitalismo neoliberale. Non è un caso che la elite dominante della Russia citi come esempio alcuni aspetti delle “riforme georgiane” e che altri paesi postsocialisti che, a differenza della Russia, ne hanno l’opportunità, studino regolarmente “esperienza” e “successi” della Georgia, inviando ripetutamente delegazioni governative di alto livello in questo paese caucasico dove vige la dittatura del neoliberismo, che è il paradiso di tutta l’elite oligarchica.

Ma riprendiamo il nostro discorso. Ogni regime dittatoriale ha bisogno di un certo ordine, di mezzi e metodi di autoconservazione.

Sullo sfondo di contraddizioni sociali in evoluzione, non provoca sorpresa l’eccessiva espansione dei poteri della polizia georgiana, la cui funzione di persecuzione politica  è particolarmente forte.

Nelle prigioni ci sono condizioni intollerabili, in cui è possibile picchiare a morte impunemente, sopprimere moralmente, eliminare fisicamente o distruggere con una malattia qualunque oppositore fastidioso per il potere costituito. Anche il Parlamento Europeo, tradizionalmente leale con le autorità della Georgia, si rende conto della situazione anormale delle prigioni, spingendo per far correggere la situazione. E’ significativo il fatto che in 9 anni di dittatura neoliberista il numero dei prigionieri da 6.000 nel 2003 sia arrivato a 25.000 nel 2012, cioè si è quadruplicato. Il sistema giudiziario è passato alla pratica cinica, impudente e senza precedenti della detenzione delle persone sgradite alle autorità. Oggi in Georgia nessuno è garantito contro una tale pena. Il numero delle sentenze di “non colpevolezza” in Georgia detiene il record del minimo: 0,084 (in Europa il valore medio è  0,2, cioè il 20%).

Un solo partito politico, il Movimento Nazionale Unito, governa il paese. Controlla in esclusiva tutte le sfere della vita pubblica. Anticomunismo, antisovietismo, isteria antirussa e demagogia sociale sono elevate al rango di ideologia di stato. I poteri dominanti curano gli interessi del rappresentante più reazionario del capitale internazionale: l’imperialismo americano. Ci sono tutti i segni principali del fascismo. In Georgia è sorto, più o meno, lo stesso sistema capitalista che fu creato in Cile da Pinochet.

Ma il sistema capitalista neoliberista inizia a divorare se stesso. La politica di completa privatizzazione del sistema economico e sociale accompagnata da una politica estera totalmente distruttiva ha portato il paese al completo crollo economico. La perdita del tradizionale mercato di vendita dei prodotti georgiani – quello russo – ha condotto alla totale disorganizzazione della sfera produttiva. La popolazione vive solo a spese degli emigranti che lavorano all’estero. Per esempio, nel 2010 i bonifici dalla Russia erano solo il 4% in meno rispetto al volume lordo degli investimenti in Georgia da parte del resto del mondo: rispettivamente 530,2 e 553,1 milioni di dollari. Oggi la Georgia è uno di quei pochi paesi che ha più cittadini occupati all’estero che nel proprio territorio (con almeno il 30% di differenza). Il tasso di disoccupazione ammonta al 67% (secondo le stime ufficiali solo al 15%). E’ evidente la profonda crisi sociale che si riversa su quella politica contro ogni possibilità favorevole.

La necessità di una svolta a sinistra, sia pure nel quadro del sistema capitalista – privato, è divenuta così ovvia che  i partiti borghesi con retto senso del diritto iniziano a invocarla. Senza una svolta del genere il sistema crollerà sotto il proprio peso, esausto e paralizzato fino alla morte. Comunque, il ripiegamento della follia neoliberista è divenuto una necessità urgente anche per i clan dominanti.

C’è una spaccatura nell’elite oligarchica dominante. Si è generata una potente opposizione borghese, pronta ad ammorbidire la politica neoliberista e a perseguire una politica estera moderata.

Il gruppo di opposizione capisce che senza qualche cambiamento sensibile nella politica sia interna che estera è impossibile affrontare la profonda stagnazione. Inoltre, tenendo conto delle particolari condizioni di formazione del capitalismo postsovietico in Georgia, la continuazione dell’attuale politica condurrà alla caduta della sovranità e della statualità nel suo insieme.

2. Aspetti degli attuali rapporti regionali e la Georgia

A nostro avviso, alle caratteristiche della situazione interna del paese occorre aggiungere la illustrazione di alcuni aspetti delle contraddizioni molto complesse che dilaniano la regione del Caucaso. La Georgia è il legame integrale e organico della più complessa catena dei rapporti regionali.

Il Caucaso e soprattutto la Georgia, a causa della posizione geografica, sono l’arena di scontri geopolitici, in generale fra Russia e Stati Uniti. Il risultato di questo scontro è’ particolarmente importante per la Russia, in concomitanza con l’aggravarsi della situazione relativamente all’Iran. La perdita di influenza nel Caucaso e soprattutto sulla Georgia è gravida di problemi più gravi nel Caucaso del Nord, che ancora una volta porterà alla crisi più pericolosa per la sovranità della Russia, ricadendo ancora negli anni ’90. Nell’ipotesi di caduta dell’Iran, senza garanzie di un supporto affidabile agli interessi politici e militari della Russia in Armenia, il Caucaso sarà perso per la Russia. Tale supporto, nelle condizioni del conflitto fra Azebaijan ed Armenia, sarà possibile solo attraverso il territorio della Georgia. I rapporti fra la Federazione Russa  con i problemi interni della Georgia, in generale connessi con la sua integrità territoriale, dipenderanno dalla posizione della Georgia nella soluzione del problema sopra illustrato. In seguito, discuteremo uno di questi problemi interni.

La presenza diretta di basi militari nell’Abkhazia e nell’Ossezia del Sud hanno concesso alla Russia una tregua temporanea. Il risultato del riconoscimento dell’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud è stato il sostegno legale per la diretta presenza militare della Russia in queste regioni. Sia la Russia che la Georgia si preparavano alla guerra nell’Ossezia del Sud e perseguivano tale risultato con tutti i mezzi. Inoltre, il supporto dato dalla Russia nella rivoluzione sfacciatamente pro americana del 2003 in Georgia, il suo ruolo pacificatore nella crisi di Adjara del 2004, il ritiro incondizionato delle basi militari dalla Georgia – in breve, il fatto che la Russia ha reso le posizioni in Georgia tranquille e sicure – suggerisce che lo scenario della crisi dell’agosto 2008 era stato preparato fin da allora da una lobby delle autorità russe, che miravano alla giustificazione del riconoscimento dell’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. Il riconoscimento come stati indipendenti di due regioni separate ha fornito la base legale per il ristabilimento della presenza militare russa sul territorio della Georgia. Anche la parte russa era interessata al conflitto nell’Ossezia del Sud. Sicuramente anche gli interessi della Georgia avanzavano, passo dopo passo, verso una pericolosa soluzione militare del problema dell’Ossezia del Sud, e questo è oggetto di separata analisi. E’ possibile ipotizzare quasi inequivocabilmente che uno dei principali motivi della azione politica georgiana fosse quello di nascondere la corruzione nella sfera militare: dopo tutto la Georgia aveva ricevuto dall’Occidente aiuti militari per molti miliardi con pochissima trasparenza. Senza soffermarci ancora su tale argomento, è sufficiente notare la caratteristica principale: il conflitto militare nell’Ossezia del Sud e, soprattutto, il ruolo della parte attaccante non rientrava in alcun modo negli interessi del popolo georgiano. Osseti e georgiani di fatto avevano ripristinato una comune vita pacifica per un breve periodo, praticamente per 10 anni, dopo aver superato le tristi conseguenze dello spargimento di sangue dell’inizio degli anni ’90.

Ma il periodo di tregua finisce. Nonostante la incomparabilmente più stabile situazione militare e politica nel Caucaso meridionale, che la Russia ha ottenuto in seguito al conflitto dell’Agosto 2008, il problema iraniano aggrava di nuovo la questione dell’influenza sul Caucaso. Qui occorre notare che anche se noi riflettiamo astrattamente su una ancora ipotetica crisi iraniana, la Russia senza dubbio cercherà di tirar fuori l’osso dalla sua gola. Cioè, in una prospettiva di lungo periodo non può conciliare i suoi contrasti antagonistici con la Georgia.

Dall’esito della crisi in Siria dipendono gli aspetti di una successione di eventi relativi all’Iran, che a loro volta metteranno in moto (e già lo fanno) una leva segreta di influenza degli Stati Uniti e della Russia sul Caucaso meridionale. Attualmente si osservano esplosioni inaspettate e strane – ad uno sguardo  a breve termine – di conflitti fra Azerbaijan ed Armenia. Esse rappresentano i sintomi di una ripresa della competizione segreta fra Stati Uniti e Russia per l’influenza sul Caucaso, contro la prospettiva di una contrapposizione fra Iran e Stati Uniti.

Da un lato l’attuale esito ha aggravato la crisi politica in Georgia, dall’altro l’evoluzione degli eventi intorno all’Iran può divenire il motivo di un nuovo conflitto fra Russia e Georgia. Russia ed Armenia, legate da accordi,  collaborano strategicamente sul piano politico – militare (sotto questo aspetto inoltre esiste un accordo relativo all’aiuto militare reciproco fra Russia ed Iran, firmato nel 1921). La ripresa della  guerra fra Azerbaijan e Armenia può diventare un valido motivo per la Russia per allestire un corridoio terrestre in Armenia attraverso il territorio della Georgia; il che, a sua volta, può divenire la ragione di un nuovo conflitto fra Russia e Georgia. Ma tale questione può esser risolta pacificamente se, in seguito a cambiamenti politici in Georgia, si affermeranno nuove forze con le quali la Russia potrà interloquire.

E’ da tenere d’occhio la complicazione della situazione in Javakheti, regione meridionale della Georgia, abitata in generale da armeni, dove si manifesta per un verso un nazionalismo antiarmeno, per un altro uno antigeorgiano. In Russia esiste l’organizzazione, ufficialmente registrata, chiamata Javakhk, che invoca la separazione della regione di  Javakheti dalla Georgia.

In sintesi, in Georgia e nel Caucaso la situazione complessiva è estremamente calda e può trasformarsi di nuovo, in qualunque momento, in una tragedia su scala regionale.

Compito di tutte le forze progressiste dei paesi del Caucaso meridionale è l’analisi approfondita e concreta dei processi in corso, nonchè lo sviluppo di un piano generale di azioni da opporre agli interessi della NATO e a quelli del capitale internazionale. Come alternativa agli interessi aggressivi particolarmente pericolosi degli Stati Uniti nel Caucaso, può oggettivamente essere utile una completa integrazione dei paesi del territorio dell’ex Unione Sovietica. In questo quadro e attraverso tale integrazione dovrebbero inoltre venir risolte le contraddizioni interstatali ed internazionali così numerose nella nostra regione. Lo spazio economico unito nel territorio dell’ex Unione Sovietica ha precisi contorni. E’ necessario sviluppare ulteriormente i processi di integrazione e  non puntare sugli interessi del grande capitale delle industrie minerarie, che hanno prevalso in Russia e in alcuni paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) e che non prevedono la fusione o l’integrazione dei paesi fondata sulla parità dei diritti.

La Russia dovrebbe giocare il ruolo di guida a questo riguardo. Ma il potere politico del capitale oligarchico in Russia non è adatto per un efficace ruolo di integrazione. La Russia stessa è una fonte delle contraddizioni nel Caucaso meridionale. Per mantenere influenza la Russia concentra energie sui contrasti e le contraddizioni del popolo del Caucaso: gioca la partita che le viene imposta dagli americani. Tale condotta è controproducente e gli effetti concreti sono solo di breve periodo e a spese di tragedie per le popolazioni. Questo perché la Russia dispone soltanto delle leve militari per la soluzione dei problemi geopolitici del Caucaso meridionale nei momenti critici di svolta.

Nelle condizioni di evidente indebolimento della sinistra, può sembrare che attualmente il compito pratico delle forze antimperialiste in Georgia sia quello di sostenere l’avvento al potere di forze politiche relativamente moderate, con la contemporanea critica della loro nebulosa e borghese sostanza.

Il ripiegamento della politica neoliberista all’interno del paese, come pure il ripiegamento della contrapposizione aperta verso la Russia all’esterno sono necessità vitali per la Georgia e per il Caucaso meridionale nel suo insieme. In questa ipotesi la Georgia può assumere un efficace ruolo di stabilizzazione nella regione, considerando gli interessi dei vicini e quelli delle parti in contrasto nei conflitti più difficili del Caucaso meridionale.

Alcuni dati che illustrano i risultati di un decennio di pratiche neoliberiste in Georgia:

Il debito estero della Georgia ammonta a 10,5 miliardi di dollari, contro un piano finanziario che per il 2012 prevede entrate per 5,2 miliardi di dollari.
Negli ultimi 9 anni il bilancio del commercio estero è negativo. Sulla base dei dati del Servizio Nazionale di Statistica il saldo negativo del paese negli ultimi 5 anni ammonta a 3,1 miliardi di dollari, pari al 26% del Prodotto Interno Cumulativo.  
Il reddito vitale (minimo per la sussistenza mensile) nel 2012, secondo i dati ufficiali, è pari circa a 90 dollari per un uomo e a 165 dollari per una famiglia di 4 persone.

La pensione minima è di 50 dollari; nel paese ci sono 826.800 pensionati; a ogni pensionato corrisponde lo 0,75 di una persona occupata, mentre il valore ottimale di questo rapporto sarebbe 3. L’età pensionabile nel Caucaso meridionale è la più alta, mentre la pensione media è la più bassa. Lo stipendio medio nominale è di 426 dollari, quello delle donne è di 260 dollari; secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, lo stipendio medio in Georgia è al 59° posto fra 72 paesi; e qui vogliamo richiamare l’attenzione del lettore sul fatto che in Georgia, anche secondo i calcoli più ottimistici, il 33 – 35% della popolazione attiva percepisce uno stipendio. E’ noto che la percentuale di assunzioni fra tutta la popolazione economicamente attiva (tenendo conto anche degli emigrati) ammonta solo al 22,5%. Occorre inoltre considerare una grande differenza nei salari, a seconda dei settori di attività e delle posizioni dei lavoratori. Per esempio lo stipendio medio dei medici è di circa 200 dollari, quello degli insegnanti di 170. Essi, sulla scala comparativa, sono molto più bassi rispetto ai suddetti indicatori generali.

Secondo i dati, ovviamente sottostimati, del Servizio Nazionale di Statistica della Georgia, il 9,2% della popolazione è sotto la soglia di povertà; eppure, secondo l’Agenzia di Servizio Sociale della Georgia – che è una struttura ufficiale – nel registro unificato della famiglie povere (richiedenti aiuto) sono registrate 1.623.233 persone (514.102 famiglie). Ciò equivale alla metà della popolazione attualmente residente nel paese, secondo i nostri dati; se ci basiamo sui dati ufficiali riguardanti il numero di abitanti, ciò equivale a più di un terzo dei residenti.

Circa un milione di cittadini georgiani sono emigrati all’estero, cioè circa il 22% della popolazione totale, secondo i dati ufficiali. Se paragoniamo questo indicatore con la dimensione della popolazione reale, la percentuale di emigrati non è del 22% ma del 33%; il 70% lascia la Georgia per trovare lavoro all’estero. L’85% degli emigrati rientrano in una fascia di età compresa fra i 20 e i 50 anni, mentre la percentuale rientrante in tale fascia di età in rapporto a tutta la popolazione è meno del 40%.

In Georgia la spesa per la sanità è di 35 dollari pro capite. Questo indicatore classifica la Georgia insieme allo Yemen, il Togo e l’Eritrea, che occupano fra il 149° e il 152° posto fra 170 paesi.
La Georgia è al 164° posto su 190 paesi per tasso di natalità.
Secondo il rapporto del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, la media annuale di diminuzione della popolazione in Georgia ammonterà fra il 2011 e il 2015 allo 0,7%, mentre nello stesso periodo il tasso medio mensile di crescita della popolazione dell’Armenia sarà dello 0,3% e quello dell’Azerbaijan dell’1,1%.
Un paese si considera invecchiato quando la percentuale degli ultrasessantacinquenni supera il 7%, in Georgia questa percentuale è del 14,4%.

Il tasso di mortalità, soprattutto fra i neonati, è molto alto. Ogni 1000 nuovi nati ne muoiono 25 (nei paesi sviluppati l’indicatore non supera le 3 o 4 unità).

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la Georgia rientra nella categoria di quei paesi dove i suicidi avvengono più frequentemente che altrove, e il cosiddetto “indice di felicità” in Georgia praticamente non esiste. La maggioranza della popolazione si percepisce come sfortunata.
In Georgia ci sono 539 prigionieri ogni 100.000 persone. Per un confronto: nei paesi sviluppati questo indicatore oscilla fra 70 e 80 prigionieri ogni 100.000 cittadini. La Georgia è al 4° posto fra i paesi del mondo per la percentuale di prigionieri.

I dati citati nell’articolo provengono da queste fonti:

– National Service of Statistics of Georgia;
– Joseph Archvadze, report: «Modern Demographic Situation of Georgia, the Hostage of Political and Economical Conditions»;
– Human Rights Centre, Georgia;
– World Health Organization;
– Analytical printing editions.

Inizi di Ottobre 2012

Traduzione di Maria Grazia Ardizzone