Mentre le vie di Roma erano percorse dal corteo del «No Monti Day», Silvio Berlusconi dava libero corso ad un diluvio di parole contro il governo e contro l’egemonia tedesca sull’Europa. Dietro queste parole può esserci lo sfogo di un uomo che si sente tradito, il calcolo di un professionista del bluff che da sempre intreccia i suoi interessi personali con quelli della propria parte politica, ma potrebbe anche esserci qualcosa di più: l’annuncio di una svolta dalle conseguenze imprevedibili.

Sfogo, bluff o cosa seria? Questa è la domanda da porsi, e la risposta non è semplice. Le contraddittorie uscite di questi ultimi giorni, con la figura di Monti passata da possibile «leader dei “moderati”» a semplice agente della Merkel, farebbero propendere per la prima ipotesi. Ma intanto Berlusconi deve reagire alla sentenza di condanna di 4 anni di reclusione per evasione fiscale, ed alzare i toni potrebbe essere il modo migliore per ottenere nuove garanzie sul suo destino giudiziario.

La sensazione dello sbando è forte. Ma qui non si tratta solo di un vecchio leader: sbanda l’intero Pdl di fronte ad un passaggio elettorale che ne ridurrà verosimilmente la rappresentanza parlamentare di due terzi, sbanda un Pd cacciatosi nel vicolo cieco di primarie ridicole quanto insidiose, sbanda l’intera politica italiana, figlia di una Seconda repubblica che vorrebbe evolvere nella Terza ma non sa ancora come. Ma lo sbando ha un’origine più profonda, che risiede nell’incapacità di affrontare la crisi economica, nella consapevolezza di non avere più il necessario consenso sociale, per non parlare dell’egemonia di un tempo.

E’ in questo quadro generale di «sbando» che le classi dominanti italiane hanno deciso di chiamare al timone Mario Monti. E siccome la situazione resta altamente critica, e nuove fibrillazioni finanziarie si annunciano, ecco che vorrebbero il Monti bis. Ma costui non può presentarsi al diretto cospetto dell’elettorato – mica è un banale «politico» – e dunque altre soluzioni si impongono. Il Pd ha cercato di risolvere l’imbarazzante questione offrendogli il Quirinale, con Bersani premier. Per il Pdl, che dovrà gestire al meglio un sicura sconfitta, le cose sono assai più complicate. E’ anche ponendosi in questa visuale che si può forse capire l’uscita berlusconiana.

L’ex capo indiscusso della destra italiana ha voluto certamente sfogarsi. Un anno fa, quando aveva mollato per far posto all’uomo della finanza euro-atlantica, aveva senza dubbio ottenuto precise garanzie, per sé e per le aziende di famiglia. Non sappiamo per quale ragione, ma quel patto sembra ora saltato. Da qui il suo dente avvelenato con gli altri contraenti, Monti e Napolitano in primo luogo.

Difficile credere, però, che si sia trattato solo di uno sfogo. E’ possibile infatti che la mossa anti-Monti risponda innanzitutto ad un’esigenza tattica: ricordare all’esecutivo chi controlla il principale pacchetto di voti parlamentari che consente al «governo dei professori» la permanenza al potere. Ricordarglielo per ottenere una nuova e meglio certificata garanzia di immunità.

Se così fosse, saremmo solo di fronte all’ennesima puntata di una storia quasi ventennale che si attarda a finire, ma ormai non più in grado di occupare per davvero la scena politica nazionale. Se le cose dovessero stare in questo modo – e di certo lo capiremo nei prossimi giorni – non varrebbe davvero la pena sprecarsi in commenti. Ma c’è un’altra ipotesi: quella che, sia pure assai confusamente, vada prendendo forma una possibile via d’uscita dalla crisi verticale della vecchia maggioranza di destra. Una via d’uscita che, per diverse ragioni, non potrebbe comunque più avere Berlusconi come «solo uomo al comando», ma che dalle ultime mosse di Berlusconi potrebbe iniziare a conformarsi.

Quale potrebbe essere questa via d’uscita è presto detto: riposizionamento anti-europeo e soprattutto anti-tedesco, rinnovata alleanza con la Lega, gestione di una quasi certa scissione del Pdl, collocazione all’opposizione nella prossima legislatura di fronte ad un probabile governo di coalizione tra il centrosinistra, l’Udc e gli altri cespugli centristi che finirebbe per attrarre a sé i settori montisti dell’attuale partito berlusconiano.

Berlusconi sa perfettamente – e chi non lo sa, del resto? – che questo è il quadro che si va prefigurando. Quasi certamente il centrosinistra vincerà le elezioni, ma per governare avrà bisogno dei cosiddetti «centristi». Come andare allora alle elezioni? Con un Pdl sconfitto e mezzo montista, o con una nuova lista certamente sconfitta, ma epurata dai montisti e pronta a collocarsi all’opposizione?

Qualsiasi leader di partito dotato di senno – una merce apparentemente banale, ma assai rara nell’Italia perennemente votata all’inciucio – opterebbe per la seconda possibilità. Un’opzione in grado di determinare alcuni vantaggi: a) la formazione di una coalizione in grado di arrivare seconda; b) la selezione di un gruppo parlamentare coeso; c) il vantaggioso anticipo dei tempi della scissione dei «responsabili» montisti; d) la messa in difficoltà della costruzione casiniana; e) il mantenimento di un sistema politico ancora, almeno potenzialmente, bipolare; f) la possibilità di giovarsi di nuovo di alcuni temi classici (fisco in primis) nella prossima campagna elettorale.

Certo, quattro anni fa, quando l’Italia sembrava berlusconizzata, nessuno a destra avrebbe preso in considerazione una simile ritirata. Ma oggi non è il 2008, è il 2012 e Berlusconi è certamente un realista. Chi scrive dubita semmai sul coraggio dello strano aggregato berlusconiano, un ceto politico raccogliticcio e fifone abituato più che altro a stare sempre con chi vince.

Vedremo, e questa volta non bisognerà aspettare troppo. Ma se per caso i fatti faranno seguire la pioggia ai tuoni di sabato scorso, saranno guai per molti. In primo luogo per la sinistra ultra-europeista avvinghiata al dogma della moneta unica.