Ciò che resta della sinistra ha rialzato la testa. E dopo?
Quanti eravamo? Abbastanza, visto il quadro sociale e politico, segnato dalla momentanea stabilizzazione della crisi del debito e dalla apparente forza del Governo Monti che sta riuscendo nel tentativo di far credere che suo è il merito di aver domato lo spread.
(Nella foto lo striscione del Mpl al No Monti Day)
La verità sta da un’altra parte e ci dice che se le tempestose acque della crisi finanziaria si sono calmate ciò si deve anzitutto alla mossa estiva della Bce. Che tuttavia ha il fiato corto, perché la promessa di Draghi, nulla può, come i dati empirici indicano, contro la tendenza fondamentale: quella di una recessione che si va allargando fino a coinvolgere addirittura la Germania. Non passerà molto tempo che l’effetto morfina si esaurirà e i mercati finanziari ripiomberanno in una burrascosa depressione.
Il primo dato che emerge dalla giornata di ieri (sabato, ndr) è che la sinistra, ciò che resta di una sinistra che ancora merita questo nome (che non patteggia col montismo) è scesa in piazza e si è contata. Le migliaia di militanti possono essere soddisfatti. A dispetto del silenzio dei media, delle difficoltà organizzative, del boicottaggio della sinistra montiana (da Sel al Pd passando per Cgil e Fiom), il No Monti Day è stato un discreto successo. Quella che un tempo avremmo definito “sinistra di classe”, è in campo, si è delimitata da quella di sistema — cosa che non avvenne l’anno passato, il 15 ottobre, quando l’antiberlusconismo di maniera le teneva avvinghiate.
Come questa “sinistra di classe” farà tesoro di questa resurrezione, è un altro paio di maniche. Non è ancora detto che lo sganciamento dalla sinistra sistemica, reso ineluttabile dall’avvento del governo Monti, sia davvero irreversibile. Perché lo sia occorre che questa “sinistra di classe” trasformi questo distacco da tattico in strategico.
Non avverrà, questo distacco, con la riproposizione delle vecchie minestre, quale più e quale meno, condite con le tradizionali salse rivoluzionariste novecentesche. Il rischio che questa sinistra resti prigioniera dei vecchi schemi, che non riesca a tirare le conseguenze dei profondi mutamenti sociali, economici e culturali avvenuti è forte. Sono ancora troppi, all’estrema sinistra, quelli che si attardano a capire quanto profonde sono le conseguenze, da una parte, dell’avvento del capitalismo casinò, dall’altra dell’Unione europea con la sua moneta unica. Chi non coglie questi due mutamenti, continuando a credere che nulla, nel sistema capitalistico, è sostanzialmente cambiato rischia di perire assieme ai suoi nobili ideali.
Una strategia di fuoriuscita dal capitalismo resterà un’invocazione astratta se non la si appoggia su un’analisi concreta della situazione concreta, se non la si incardina ad un disegno strategico che preveda l’uscita dall’Unione europea e l’abbandono della moneta unica. Una strategia socialista, necessariamente di lungo periodo, che non si incardini al passaggio tattico sovranista è destinata al fallimento.
C’è una cocciuta resistenza, anche in seno a chi manifestava ieri, riguardo al discorso sovranista. Essa si nasconde dietro al velo di un malinteso internazionalismo. Tuttavia noi vediamo le prime crepe. Alla base il discorso dell’uscita dall’Unione e dall’euro si sta facendo breccia, meno, molto meno, tra i gruppi dirigenti.
I prossimi mesi e anni di crisi, noi crediamo, indeboliranno questi ultimi. Non passerà molto tempo che le idee di un fronte ampio di cui il popolo lavoratore sia forza motrice; che soltanto con una generale sollevazione popolare sarà possibile invertire il corso degli eventi; che l’uscita dall’Unione e dall’euro sono due condizioni indispensabili per evitare il baratro; che queste idee diventeranno maggioritarie.
da SollevAzione