Sotto il Testo dell’Accordo di cessate il fuoco
La stampa filo-sionista è in evidente imbarazzo. Tutti gli amici di Israele non solo erano sicuri che l’invasione via terra (addirittura con lo sbarco senza precedenti di forze anfibie) ci sarebbe stata, se la auguravano.
Non era, per i sionisti, solo questione di dare una lezione ad HAMAS ed a tutta la Resistenza palestinese. I reconditi scopi dell’attacco sionista (al di là dei meschini calcoli elettorali di Netanyhau e compari) erano politici e strategici: mettere alla prova l’equilibrio geopolitico emerso con le cosiddette “Primavere arabe”, testare la solidità dell’asse turco-egiziano con HAMAS e la Fratellanza Musulmana consolidatosi nel fuoco della vicenda siriana. Ultimo ma non per importanza: mettere la Casa Bianca davanti al fatto compiuto per obbligare gli americani ad una sterzata nella loro politica di appeasement, di accomodamento con i nuovi regimi sorti dalle sollevazioni popolari.
Se così stanno le cose è fuori discussione che la leadership sionista è uscita pesantemente sconfitta, mentre HAMAS ha ottenuto una evidente vittoria politica. La conferenza stampa di Netanyhau, Barak e Lieberman, coi loro volti contratti e funerei, era la plastica rappresentazione di questa batosta politica. Poco convincenti anche quando ostentavano i successi militari del’Idf: «eliminati tre capi di HAMAS, distrutti depositi di armi e razzi e sede politiche, dimostrato l’efficienza del sistema anti-missile Iron Dome».
Su questa ostentazione di vittoria militare da parte dei sionisti, l’ha detta giusta Hassan Nasrallah: «I sionisti dicono che l’elenco degli obbiettivi da colpire a Gaza è stato completato e sta per finire. Questo rassomiglia a ciò che avvenne durante i primi quattro o cinque giorni della guerra di luglio 2006 in Libano. Ci sono obiettivi a Gaza che vengono colpiti una seconda, una terza e una quarta volta, proprio come accadde in Libano. Ve lo ricordate? Così, mentre “la lista degli obiettivi sta per essere completata”, i razzi da Gaza verso Israele continuano ad essere lanciati. Proprio come accadde da noi». [Discorso di Nasrallah del 19 novembre 2012]
Ai tempi di “Piombo fuso”, nel 2008, malgrado l’invasione sionista si fosse impaludata tra i tentacoli della tenace ed eroica resistenza opposta dalla Resistenza palestinese, HAMAS pagò a caro prezzo il sostanziale isolamento in cui fu lasciata Gaza. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Questa volta ben dieci ministri degli esteri, quelli arabi più quello turco Ahmet Davutoglu, si sono addirittura recati a Gaza, sotto le bombe, a segnalare il loro sostegno ad HAMAS —che è diventato, con la diretta sponda della Fratellanza egiziana, il vero e proprio perno di quella che a tutti gli effetti è una nuova alleanza geopolitica che allinea, dietro all’asse turco-egiziano, mezza Lega araba, compreso il famigerato Qatar.
Quando Morsi ha detto che l’Egitto non avrebbe assistito inerme all’invasione è stato chiaro che gli stessi Accordi di Camp David sarebbero potuti saltare. Un disastro che gli USA non potevano permettersi, di qui l’ordine impartito a Netanyhau, di fare marcia indietro. Un Netanyhau che agli occhi dei suoi cittadini appare infatti come un cane bastonato e che a questo punto vede a rischio la vittoria elettorale in vista della quale ha progettato l’operazione “Colonne di nubi” . La storiella auto consolatoria della vittoria militare non convince nessuno nemmeno in Israele. Ecco quanto ha dichiarato Mofaz, il leader del principale partito d’opposizione Kadima: «Un armistizio ora é un imperdonabile errore; Hamas esce da questo confronto rafforzato e imbaldanzito, gli si lascia la libertà di reclamare vittoria di fronte a un’iniziativa confusa e condotta con poco polso».
Obama tirerà un sospiro di sollievo, penserà che questa è la volta buona per togliersi di mezzo i falchi sionisti come Netanyhau una volta per tutte.
Con le ossa rotte ne escono indiscutibilmente anche Abu Mazen , al-Fatah e la sua Anp, spinti sullo sfondo a giocare un ruolo gregario.
Una vicenda, questa dell’attacco a Gaza e del fallimento dell’azzardo israeliano, che è come una cartina al tornasole per dare un giudizio, scevro da dietrologie islamofobe, sulle “Primavere arabe” che tanto a fondo hanno cambiato la geografia politica mediorientale. Il fatto che gli imperialisti abbiano, all’ultimo momento, dovuto fare buon viso a cattivo gioco per il rovesciamento dei loro regimi fantoccio, venne scambiato da alcuni come se quelle sollevazioni fossero state eterodirette dagli imperialisti medesimi. L’estensione della rivolta popolare in Siria è stata considerata da costoro come la prova del nove che le “Primavere arabe” non erano che una messa in scena, un semplice cambio di guardia col quale i Fratelli musulmani prendevano il posto dei vecchi satrapi come fidati alleati degli americani nella difesa dello status quo mediorientale.
Mai analisi fu più sballata. Sballati i due postulati su cui si reggeva il teorema.
Il primo postulato riguarda la Fratellanza musulmana. Per i suoi principi religiosi e perché è espressione di una borghesia araba rampante, essa non avrebbe potuto giocare che un ruolo conservatore sul piano sociale e quindi, per malintesa proprietà transitiva, su quello geopolitico.
Il secondo postulato considerava che in Medio oriente solo l’asse Tehran-Damasco potesse giocare, se non un ruolo coerentemente antimperialista, un freno ai piani imperiali — di qui l’appoggio senza sé e senza ma ad Assad, fino a perorare lo strangolamento della sollevazione in Siria.
Escludeva, questa visione, tre fattori cruciali.
Il primo, che la questione palestinese è il fulcro di ogni discorso geopolitico in Medio oriente, e che su questo terreno la Fratellanza, quindi i nuovi regimi come quello egiziano, avrebbero osato sostenere HAMAS in maniera decisa, giocando la carta dell’opposizione ad Israele anche per frenare le ambizioni egemoniche iraniane.
Il secondo fattore che certe analisi semplicistiche non prendevano in considerazione era ed è il peso rilevantissimo che ha la contesa arabo-persiana. Una contesa storica, che si dipana parallelamente ai giochi delle grandi potenze, USA in primis, che in Siria ha il suo cruciale banco di prova.
Il terzo fattore è la disputa in seno allo stesso “schieramento” sunnita. Fino alle “Primavere arabe” esso era guidato indiscutibilmente dall’Arabia Saudita la quale, con le sue montagne di denaro e la fitta rete di madrasse wahabite, ha investito ogni sua risorsa per emarginare l’altro polo, quello egiziano e della Fratellanza, anche puntandogli contro i gruppi salafiti.
Così, un’altra vittima della seconda battaglia di Gaza è proprio la pretesa dei sauditi, tutta giocata nell’orizzonte strategico filo-americano e filo-israeliano, di di porsi come faro della riscossa sunnita.
E per finire il nostro discorso, nulla può essere compreso della tragica vicenda siriana, con una lettura binaria, senza tenere in considerazione il combinato disposto di questi diversi fattori.
La Siria è un intricato terreno di scontro non solo tra imperialisti e fronte pro-iraniano, tra blocco iraniano-shita e arabo-sunnita, ma pure tra l’asse saudita e quello egiziano-turco. Questo ci aiuta a capire la fine del vecchio Cns (un organismo che si era schierato per l’intervento armato esterno per rovesciare Assad) e la sua sostituzione con la neonata Coalizione delle Opposizioni Siriane (COS) guidata da Moaz al-Khatib, imam della più importante moschea di Damasco, vicino alla Fratellanza. Un mutamento che non è solo di facciata, visto che la nuova coalizione, per bocca di al-Khatib respinge, almeno formalmente, non solo ogni intervento esterno ma pure una no-flight zone.
C’è chi sosterrà che il branco di lupi ha messo alla sua testa un agnello allo scopo di guadagnare in Siria quel consenso che il CNS non aveva, nonché per avere l’endorsement dei russi e degli iraniani. Vero. Resta che la nascita del COS, con l’emarginazione dei personaggi più squalificati e ascari dell’opposizione siriana è se non altro la prova che l’asse turco-egiziano gioca la sua propria partita. Il terremoto in Medio oriente è appena iniziato, e la lotta per la supremazia è tutta aperta.
Testo dell’accordo di cessate il fuoco tra Israele e palestinesi di Gaza
Di seguito è riportato il testo integrale in lingua inglese del cessate il fuoco tra Israele ei palestinesi di Gaza che è stato raggiunto il Mercoledì 21/11/2012 con la mediazione egiziana. Il testo è stato distribuito dalla presidenza egiziana.
Accordo d’intesa per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza
1: (nessun titolo dato per questa sezione)
A. Israele deve cessare tutte le ostilità nella Striscia di Gaza, di terra, mare ed aria, comprese le incursioni contro obbiettivi individuali.
B. Tutte le fazioni palestinesi devono cessare tutte le ostilità dalla Striscia di Gaza contro Israele, tra cui gli attacchi di razzi e tutti gli attacchi lungo il confine.
C. L’apertura dei valichi per facilitare i movimenti delle persone e il trasferimento di merci, astenersi dal limitare la libera circolazione dei residenti nelle zone di confine e attuazione di queste procedure dopo 24 ore dall’inizio del cessate il fuoco.
D. Altre questioni potranno essere valutate .
2: Meccanismi di attuazione:
A. Impostare l’ora zero affinché entri in vigore il cessate il fuoco.
B. L’Egitto ha ricevuto assicurazioni da ciascuna parte che le parti si impegnano a rispettare ciò che è stato concordato.
C. Ciascuna parte si impegna a non compiere atti che violino quest’ accordo. In caso di osservazioni l’Egitto, in qualità di sponsor di questo accordo, è informato per seguirle.