Cosa si sta cucinando nel retro-bottega del centrosinistra?
La lista arancione nella coalizione da subito o solo ruota di scorta per il dopo elezioni?

Non tutto è visibile in politica. Alla ufficialità dei documenti pubblici, sempre si accompagna il lavorio dietro le quinte, e gli obiettivi sono spesso diversi da quelli dichiarati. Tutto ciò è ben noto, e le attuali contorsioni pre-elettorali non fanno altro che confermarcelo. Ma c’è un segmento del quadro politico dove le cose sembrano davvero oscure, roba per soli iniziati.

Ci riferiamo a quell’area tutta seriosamente intenta a discutere di «liste arancioni», i cui promotori sono contro Monti, ma non contro Bersani. Fuori, ma anche dentro al centrosinistra. Contro le politiche dell’Europa, ma a favore dell’Unione Europea. Un po’ contro e un po’ votanti alle primarie.

Credevate che questo genere di ambiguità fosse ormai finito? Che il governo Monti avesse avuto almeno il merito di fare chiarezza? Nossignori, così non è. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. In realtà, di «pelo» ne è rimasto ben poco, ma il vizio è evidentemente troppo forte.

Particolarmente penosa, tanto per cambiare, è la parte auto-assegnatasi dal Prc. Stramazzati a terra dal flop arcobalenico del 2008, i dirigenti di Rifondazione sono ancora lì a riprovarci, questa volta in versione monocromatica.

Leggiamo il passaggio chiave del documento approvato dal Comitato politico nazionale del Prc, lo scorso 18 novembre:   

«Avanziamo la proposta della costruzione di una lista unitaria della sinistra contro il neoliberismo, per un progetto di alternativa e per la riforma radicale della politica. La nostra proposta politica si rivolge ad Alba, all’IdV, a Sel, ai Verdi, alle forze che hanno organizzato la manifestazione del 27 ottobre, al complesso delle forze associazionistiche, sociali, culturali e di movimento disponibili, ed è finalizzata a costruire un ampio polo di alternativa che si ponga l’obiettivo di governare il paese su un programma antitetico a quello imposto da Monti e dalle politiche europee».

Mettiamoci ora nei panni di una persona che volesse capacitarsi di una simile proposta.
Inevitabilmente si porrebbe alcune domande, tra le quali, supponiamo, anche quelle che seguono:
Alba chi?  Quelli del documento più inconsistente mai prodotto nella storia dei partiti politici?
E Sel? Chi sono questi omonimi del partitello alleatosi per tempo con il Pd?
E con quale Idv ci si vuole coalizzare, con quello che Donadi e soci stanno traghettando verso Bersani, o con quello che comunque andrà a votare con Di Pietro alle primarie?

Tralasciando i Verdi, per ragioni di spazio e di sostanza, dovrebbe essere ben chiaro che le forze principali che hanno organizzato il No Monti Day (Comitato No Debito e Cobas) non potranno essere della partita, come ha già spiegato Piemme. Dunque, niente Sel e niente Idv. Resta Alba, con i suoi promotori senza truppa e senza appeal.

Che senso ha, allora, la proposta di Rifondazione?
Ce lo spiega il passaggio successivo del documento già citato. Infatti, dopo un elogio spropositato all’appello «Cambiare si può» (in sostanza promosso da Alba) ecco dove va a parare Rifondazione: «Parimenti le posizioni del sindaco di Napoli De Magistris, la dialettica aperta all’interno dell’Italia dei Valori, come anche posizioni presenti territorialmente e nazionalmente all’interno di Sinistra Ecologia e Libertà, ci confermano nella possibilità di allargare le forze che possono essere coinvolte nella costruzione di un polo della sinistra di alternativa».

Avete capito l’opportuna precisazione?
Di Sel restano solo alcune «posizioni», dell’Idv la «dialettica interna», ma spunta invece la figura dell’ex-magistrato e sindaco di Napoli. Ecco, è lì che ha deciso di andare ad impiccarsi Ferrero. Vedremo con quali risultati. Ma prima chiediamoci dove vuole andare davvero De Magistris.

Già, perché la sensazione è che la dirigenza del Prc abbia più che altro degli interlocutori immaginari, soggetti politici (e qualche volta solo soggetti) ai quali si fa la corte in assenza di una vera linea politica. In realtà, una linea c’è, ed è anche abbastanza semplice: rientrare in parlamento ad ogni costo. In fondo è la linea di Diliberto, Patta e Salvi, già in coda da settimane ai gazebo delle primarie del Pd (pardon, del centrosinistra), e da mesi in fila alla porta di Bersani per ottenere qualche scranno.

Ma qual è il progetto di De Magistris? Ecco, questa anguilla arancione, ce lo dirà soltanto a metà dicembre. Mica fesso! A quel punto sarà noto il responso delle primarie, come pure le prospettive della legge elettorale. E solo a quel punto, forse, l’anguilla cesserà di sgusciare per dire qualche parola più chiara.

Al momento dobbiamo accontentarci delle più recenti dichiarazioni dell’ex magistrato. Leggiamo ad esempio cosa dice in un intervista a Luca Sappino del 18 novembre: «Io vedo uno schieramento che si iscrive nella geografia del centrosinistra, ma che fa la sua corsa in autonomia, con le sue proposte, e solo dopo, per realizzarle, dialoga con quello che sarà il candidato della coalizione Pd-Sel-Psi». E ancora: «Da parte nostra il messaggio sarà chiaro: saremo fortemente alternativi ma senza conflitti feroci. Noi vogliamo governare». Non è ancora chiaro? Allora beccatevi questa. All’intervistatore, che gli chiede se c’è un candidato alle primarie che renderebbe impossibile l’alleanza con gli «arancioni», il furbastro risponde che non c’è niente di impossibile, neppure se vincesse Renzi…

Alla luce di queste affermazioni, siamo troppo maligni se pensiamo che il pastrocchio sia già stato cucinato da tempo nel retro-bottega del Pd, con un accordo tra Bersani e gli «arancioni»? Saremo anche maligni, ma è esattamente questo il senso colto anche dal Corriere della Sera, nell’articolo di Maria Teresa Meli pubblicato il 22 novembre. Per la giornalista, la coalizione «vedrà insieme il Pd, Sel e le liste arancioni. Ossia le liste di Giuliano Pisapia e Luigi De Magistris».

C’è, tuttavia, un’altra possibilità, altrettanto «arancione», ma ancora più anguillesca (e dunque assai più probabile). Ce ne parla un articolo uscito su Repubblica questa mattina. Secondo Annalisa Cuzzocrea e Matteo Pucciarelli la lista arancione non sarà la «lista dei sindaci» di cui si è a lungo vociferato. Giuliano Pisapia (Milano), Michele Emiliano (Bari) e Marco Doria (Genova) si sarebbero infatti sfilati, mentre De Magistris si appresterebbe a lanciare la candidatura a premier di Antonio Ingroia, l’ex sostituto procuratore di Palermo, da poche settimane in Guatemala per un incarico Onu. Insomma, un magistrato che lancia un altro magistrato, nel mentre si dice di voler lottare contro le caste…

Vista l’inconsistenza strategica e programmatica di questa operazione, non è difficile capire quale sia il disegno: correre da soli, fuori dalla coalizione di centrosinistra, per raccogliere meglio i consensi di un elettorato di sinistra allo sbando, per poi proporsi come alleati di Bersani subito dopo il voto.

Ovviamente, nessuno può sapere oggi quale sarà il risultato elettorale di questa aggregazione senz’anima, ed ancor meno sono prevedibili quelli che potranno essere i margini di manovra dopo il voto, sempre ammesso ma tutt’altro che concesso che la soglia per l’accesso al parlamento venga superata. Di solito i listoni pasticciati dell’ultimora, modello «né carne, né pesce» non funzionano, potranno funzionare questa volta, con il voto d’opposizione polarizzato sul M5S e quello di fiancheggiamento del Pd già opzionato da Vendola?

Staremo a vedere. Ma, in ogni caso, che c’azzecca con una simile prospettiva Rifondazione Comunista? C’azzecca, c’azzecca. Perché l’arancione potrebbe essere il colore dell’autobus diretto a Montecitorio. Niente di male, purché lo dicessero con chiarezza, senza scomodare un’improbabile ed inesistente «Syriza italiana».

Del resto, costoro, nella loro imperizia, lasciano sempre abbondanti tracce dei loro pasticci. Sapete con quale titolo hanno presentato il documento di cui ci siamo occupati più sopra: «Alternativi a Monti, ma unitari». La domanda sorge spontanea: unitari con chi? Eh già, perché se la lingua italiana ha un senso il «ma» è davvero rivelatore. Infatti, se si fosse voluto solo indicare l’obiettivo dell’unità contro Monti il «ma» sarebbe stato fuori luogo. Dunque la traduzione esatta è: contro Monti, ma unitari con chi Monti lo sostiene. Piccole contraddizioni, ma che in bocca a chi ha detto signorsì a Bertinotti per 15 anni di certo non stupiscono troppo.

E’, la nostra, un’altra malignità? Sarà, ma è una malignità che coincide con la sintesi ricavata dal giornalista della Reuters Massimiliano Di Giorgio a commento della propria intervista a Paolo Ferrero, realizzata tre giorni fa:

«Dopo essere rimasta fuori dal Parlamento per più di quattro anni, Rifondazione comunista vorrebbe presentarsi alle prossime elezioni con una lista “No Monti” – ma non contro l’euro – a cui potrebbero partecipare l’Idv, esponenti della Fiom, attivisti No-Tav e con la benedizione del sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Lo ha spiegato in un’intervista a Reuters, Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, partito a cui i sondaggi attribuiscono il 2-3% delle intenzioni di voto. L’obiettivo della lista è quello di cercare di condizionare da sinistra un eventuale governo guidato dal Partito democratico, per abbandonare la politica “neoliberista” del governo di Mario Monti e ricontrattare con l’Unione europea il cosiddetto “Fiscal Compact”, ossia il nuovo patto sulla disciplina di bilancio, e i trattati Ue».

Esattamente come per gli ispiratori della lista arancione, l’obiettivo è quello di «cercare di condizionare da sinistra un eventuale governo guidato dal Partito democratico», altro che Syriza italiana, qui siamo alla politica di sempre, all’opportunismo di sempre. Senza che questo escluda, peraltro, il disastro elettorale degli ultimi anni.

Se sarà questa l’operazione, non solo non vi sarà alcuna Syriza italiana. Vi sarà piuttosto la sua negazione, prestandosi al gioco di imbrigliare ogni vera opposizione alle politiche del blocco dominante. Un autentico tradimento di quanto gli stessi dirigenti del Prc vanno dicendo, consumato per il solito piatto di lenticchie, peraltro neppure del tutto assicurato.

Vedremo come andrà a finire. Può darsi che alla fine il gruppo dirigente del Prc resti con il solito pugno di mosche. Può darsi, ma a quel punto sarebbe davvero troppo tardi per costruire una seria alternativa al montismo. Tanto più in una campagna elettorale in cui le attuali forze di governo cercheranno in ogni modo di demonizzare Grillo e il M5S, facendone ancor di più il vero antagonista di questa tornata elettorale.

Chi scrive ha sempre pensato che il Pd lavorasse ad un’alleanza più larga, a geometria variabile in funzione della legge elettorale. Al punto in cui siamo giunti è possibile che al Pd, più che un allargamento di una coalizione comunque impossibilitata ad incassare il premio di maggioranza, servano alleati da utilizzare solo dopo il voto. Anche perché nella coalizione c’è già Sel a fungere da copertura a sinistra. Con la lista arancione si cercherà invece di raccogliere il consenso di un’area potenzialmente più vasta, impedendo al tempo stesso la nascita di una vera lista di opposizione al montismo ed all’Unione Europea, la vera madre della politica dei sacrifici senza fine che si continuerà a voler imporre al popolo lavoratore.

Ecco a cosa servono gli arancioni. Ad impedire, ancora una volta, che nasca qualcosa di serio contro la politica del blocco dominante.