Il referendum sulla nuova costituzione egiziana è terminato con la seconda giornata di voto di sabato scorso. Il sì ha ottenuto il 64%, ma solo il 33% degli elettori ha votato. Una vittoria più che dimezzata per Morsi, che dimostra quanto sia aperta la situazione egiziana. A seguire l’articolo di Wilhelm Langthaler, scritto prima dell’ultima tornata referendaria, ed incentrato in particolare sulle prospettive del movimento Tahrir.
Morsi ha potuto pensare di cavalcare l’onda del suo successo diplomatico su Gaza per segnare alcuni punti sul fronte interno. Andando contro gli aborriti giudici di Mubarak, sembrava sicuro di un travolgente sostegno popolare per orientare unilateralmente il processo costituzionale bloccato dal vecchio regime.
Nella sua tracotanza il presidente riteneva che il movimento Tahrir sarebbe restato ai margini. In realtà l’esclusione del movimento Tahrir da processo costituzionale risale al tempo del blocco fra Fratellanza Musulmana (FM) e esercito. Poi è arrivato lo scontro fra la FM da un lato e la giunta militare con l’apparato giudiziario ad essa fedele dall’altro. L’idea dietro all’operazione di Morsi sembrava quella di raccogliere sostegno e legittimazione accogliendo in parte le richieste del movimento Tahrir contro la magistratura, cioè togliendo vento alle vele del movimento. Gli islamisti hanno ritenuto di marginalizzare ogni opposizione alla loro leadership bollandola come laicista e sussumendola nel vecchio regime. Davvero sembra che credano alla loro propria narrazione di uno schiacciante sostegno popolare: errore enorme e probabilmente costoso.
Ma il movimento Tahrir è risorto in modo molto potente. Ha forgiato un’ampia coalizione di tutte quelle forze il cui unico terreno comune è il rifiuto degli islamisti. Rappresenta circa la metà della popolazione, una metà debole comunque, perché priva non solo di articolazione ed organizzazione ma anche di un progetto sociale. In questa scomoda alleanza fra sinistra, liberali e elites laiche il movimento è in pericolo di cadere preda dell’abbraccio di alcuni resti del vecchio regime. Gli islamisti stanno rimproverando al movimento proprio questo, anche se essi da parte loro si sono uniti con le componenti meno laiche del vecchio regime.
Morsi è stato davvero sorpreso dalla forza della rivolta contro il consolidamento del governo della FM. Egli ha dovuto ritirare la sua mossa autoritaria di blindare il processo costituzionale con una guida eslcusivamente islamista. Solo con grandi problemi la FM è riuscita a tenere il referendum costituzionale pagando un alto prezzo. Nonostante il pieno utilizzo del suo potente apparato e il fiancheggiamento dei Salafiti, è riuscita ad assicurarsi la misera affluenza di un terzo dell’elettorato.
Anche un 10% di vantaggio dei SI’ sui NO è ben lontano da una vittoria schiacciante e rende falsa la pretesa islamista di rappresentare la volontà popolare. Nel centro politico nevralgico del Cairo la Fratellanza ha addirittura perso, come pure nella provincia di Gharbiyya che ospita la città industriale di Mahalla, i cui lavoratori hanno avuto una parte importante nella rivolta contro il regime di Mubarak. Ci sono inoltre innumerevoli accuse di irregolarità e brogli attribuiti all’apparato della FM, che ne erodono la legittimità.
Nessuno può parlare di una schiacciante vittoria; gli islamisti erano così sicuri! Il formale successo ai punti degli islamisti in realtà è una perenne situazione di stallo e, in determinate circostanze, potrebbe trasformarsi in una vittoria di Pirro. Dopo questo tremendo errore della FM, la palla ora è in mano del movimento Tahrir e l’esito dell’attuale ciclo del conflitto dipenderà dalla sua intelligenza politica.
In sintesi, ci sono due scenari: da un lato un attacco frontale dei laici per rovesciare Morsi, dall’altro la preliminare accettazione di un governo islamico con una sistematica opposizione che preme per profonde riforme democratiche e sociali.
Il primo scenario individua gli islamisti come il pericolo principale. C’è una vasta gamma di possibili letture, da quella di estrema sinistra a quella laico – liberale, che hanno in comune il fatto di considerare Morsi come un usurpatore da schiacciare subito. Entrambi tendono a sminuire l’influenza popolare e il radicamento degli islamisti. Polarizzano il conflitto sulla contrapposizione fra islamisti e laici e così, volenti o nolenti, forniscono ai loro nemici una potente munizione: l’affermazione che è tutto l’Islam. In fin dei conti favoriscono il ricompattamento del campo islamista anziché dividerlo.
Ecco il secondo scenario. Si accetta l’assunto che gli islamisti e soprattutto la FM abbiano profonde radici nel popolo (prescindendo dal dibattito se siano maggioranza o solo una minoranza ben organizzata). Ma significativi settori del loro elettorato non sono indifferenti alle richieste del movimento rivoluzionario democratico, o addirittura le sostengono mentre, allo stesso tempo, restano attaccati al simbolismo dell’Islam. Una idea centrale di questo approccio è che le masse vogliono (e ne hanno il diritto) passare per la pratica esperienza di un governo islamico e/o islamista al fine di formarsi le loro opinioni. Il che non significa arrendersi ad un tale governo o tollerarlo passivamente. Al contrario, le esigenze democratiche, sociali ed antimperialiste della maggioranza debbono venire al primo posto, vanno ribadite e rispettate e la necessaria critica va sviluppata allo scopo di fare avanzare un processo di maturazione, con la consapevolezza di non mettere in discussione il ruolo centrale dell’Islam politico nella formazione del governo. Per un certo periodo di tempo bisogna accettare di stare all’opposizione (il che, tra l’altro, aiuta a sbarazzarsi degli indesiderati alleati del vecchio regime che invece sarebbero necessari per far cadere gli islamisti). Per sollevare la questione del potere, il movimento Tahrir dovrebbe mobilitare la stragrande maggioranza della popolazione. Assumere questo peso ora o comunque presto significherebbe cader preda della stessa arroganza degli islamisti, ma senza il loro formidabile apparato.
Ci sono tre campi su cui il movimento Tahrir potrebbe concentrarsi:
a) Continuare la lotta per un’assemblea costituente eletta con il voto popolare. Anche dopo il referendum le critiche al processo costituzionale per il suo carattere castrato, pilotato e non democratico, restano valide. Ma ciò non può significare il boicottaggio delle istituzioni che emanano da questo processo. La lotta per l’egemonia deve comprendere le elezioni per questi corpi, nonostante la necessaria critica ai loro profondi limiti. Non bisogna dimenticare che per la prima volta nella storia si è potuto formulare e votare in una campagna elettorale un programma politico sostanzialmente diverso: indipendentemente da tutti i difetti e manipolazioni, il popolo giustamente accoglie tutto questo come un progresso.
b) La questione sociale sta diventando sempre più esplosiva, preparando il terreno per lo sviluppo di una forza sociale rivoluzionaria. Non a caso Morsi ha rinviato le misure di austerità, imposte dall’oligarchia capitalista globale quale prezzo per gli aiuti per cibo e carburante, a dopo il referendum. Ma un’idea, un programma per uno sviluppo sociale indipendente contro l’elite capitalista deve ancora essere disegnato, sviluppato e propagato. Ciò richiederà tempo.
c) Insistere sull’esigenza popolare di indipendenza nazionale, respingendo la dominazione occidentale e sionista. Ma diffidare del radicalismo verbale. Chiunque voglia la revoca degli accordi di Camp David, dovrà affrontare un conflitto frontale con la concentrata potenza, non solo militare, dell’imperialismo. Un tale scontro a tutto campo si può anche perdere, come insegna la storia del 1967; esso richiede preparazione. E l’unica preparazione è l’intensificazione della rivoluzione egiziana ed araba contro le elites capitaliste locali e globali, che per ora è solo all’inizio.
Traduzione di Maria Grazia Ardizzone