
Primo comandamento: battere l’asse Monti-Partito democratico
«Detto fuori dai denti non solo ci auguriamo un successo della lista M5S e che la lista degli arancioni riesca a superare lo sbarramento. Ci auguriamo che i berlscones e i leghisti non vengano travolti».
Il 26 dicembre scorso Bersani ha rilasciato un’intervista al Financial Times (uno degli organi ufficiali dell’élite del mondo bancario-finanziario che la fa da padrona nella grande bisca del capitalismo-casinò). In essa, senza peli sulla lingua, Bersani afferma che nel caso dovesse diventare Primo ministro s’impegnerà ad osservare col massimo scrupolo i dettami europei… quelli previsti dal Fiscal compact (che non chiederà di rinegoziare) e dal pareggio di bilancio. Quindi continuazione delle politiche di austerità, di tagli alla spesa pubblica, di macelleria sociale e di priorità alle esigenze della finanza globale. Veramente Bersani si spinge oltre, afferma che perora ulteriori cessioni di sovranità a favore di un super-potere europeo (il Commissario unico come piacerebbe alla Merkel) e accetta l’idea che questo super-potere abbia diritto di veto sui governi nazionali.
Alcuni si sono stupiti. Male. A ben vedere non si tratta che di una tetragona riconferma della “Dichiarazione d’intenti” sottoscritta dai candidati alle Primarie del centro-sinistra. E ci viene il vomito davanti alle frasi di circostanza bersaniane sulla “equità”, la “giustizia sociale” e la “crescita”. Nessun partito in lizza mente più del Pd. Superato forse dal fido saltimbanco Vendola.
Non c’è alcuna differenza tra la linea del Pd e l’Agenda Monti, punto. Il Sole 24 Ore lo va ripetendo da settimane «un governo post-Monti dovrebbe comportarsi più o meno allo stesso modo del governo attuale…. Qualsiasi sarà il prossimo governo rischia di avere ancora meno margine di manovra».
Non avremo né più equità (parola pelosa), né tantomeno una redistribuzione della ricchezza dalla rendita al popolo lavoratore, per la semplicissima ragione che ubbidendo al Fiscal compact avverrà necessariamente il contrario: il drenaggio di risorse dalle classi produttive a quelle parassitarie e rentier. Bersani e Monti mentono quando dicono agli elettori che avremo la “crescita”: essi sanno che questo drenaggio di ricchezza è un cappio al collo dell’economia italiana e che il rispetto del Fiscal compact significa che anche ove il Pil tornasse a salire dell’1% annuo per il popolo lavoratore saranno dolori: crescita della disoccupazione, alta imposizione fiscale, calo dei consumi.
Per questo la posta in gioco delle prossime elezioni è una e una sola: battere l’asse dell’euro-dittatura Monti-Pd. Si fa subito a fare i conti. Per il popolo lavoratore saranno dolori se questo asse superasse il 50% dei consensi. Per azzoppare questo asse bisognerebbe che la lista montiana (data oggi a circa il 20%) non riuscisse a diventare davvero il secondo partito, e che il Pd, pur dato per vincente, non superi la soglia immaginaria del 30%.* Se questo accadesse ci sarà da cantare vittoria perché Lorsignori potrebbero sì formare un governo, ma esso avrà numeri risicatissimi e il governo andrebbe presto gambe all’aria.
Se l’accozzaglia montiana diventasse secondo partito e il PD superasse di slancio la soglia del 30%, sarebbero loro a cantare vittoria.
Detto fuori dai denti non solo ci auguriamo un successo della lista M5S e che la lista degli arancioni riesca a superare lo sbarramento. Ci auguriamo che i berlscones e i leghisti non vengano travolti.
Chi si scandalizza fa male a scandalizzarsi. La posta in palio di queste elezioni è difendere o cedere gli ultimi brandelli di sovranità popolare, accettare o respingere il nodo scorsoio del Fiscal compact, accettare o respingere l’orizzonte di austerità penitenziale che l’euro-dittatura esige. Non c’è, per capirlo, nemmeno il bisogno di scomodare la massima che “il nemico del mio nemico è un mio amico”. C’è solo bisogno di guardare in faccia la realtà, di capire quanto è grande la minaccia che incombe. C’è, per capirlo, solo bisogno di un sano senso di realtà.
* Tengo fuori dal conto l’eventuale risultato, quale che sia, di Sel. Va bene che i vendoliani hanno sottoscritto un programma comune col Pd, ma la pattuglia parlamentare di Sel non riteniamo possa spingersi troppo oltre nelle politiche antipopolari montiane, e quindi Sel rappresenta sì per il Pd una risorsa elettorale, ma un impiccio in futuro. Non sarà facile per Bersani, imbarcare i vendoliani in un governo con i montani, non fosse perché questi ultimi dichiarano di non accettarlo. In verità Bersani spera in un flop di Sel. Anche da qui potrebbero arrivargli delle brutte sorprese.
da SollevAzione