Il Mali val bene una guerra

Note sul movimento di liberazione dell’Azawad

Non è parso vero al “socialista” Hollande, in caduta libera nei sondaggi ed inviso alla maggioranza dei francesi per la sua politica d’austerità prona ai dettami tedeschi e della Bce, sfruttare, per potersi lanciare nell’avventura neocolonialista in Mali, i sentimenti revanchisti che si annidano purtroppo tra i cittadini d’Oltralpe.

Il pretesto è noto: la lotta al “terrorismo jihadista”. Per giustificare un’occupazione che rischia di durare a lungo, si è inventata la minaccia secondo cui i “terroristi” del Nord del paese stavano avanzando sulla capitale Bamako. Una panzana grande quanto l’immenso paese. Tutto fa brodo quando si tratta di trovare pretesti per non perdere la mefitica egemonia imperiale e salvare le proprie traballanti satrapie locali.

Vale la pena ricordare che il Mali, come la gran parte dei paesi africani è uno “Stato-fantasma”, un’entità geopolitica aleatoria inventata dal colonialismo francese. Vivono nel paese, tagliato in due da un limes storico tra Nord e Sud, numerosi gruppi etnici, e dove si parlano almeno quattro lingue. Quel che più conta è che il paese è uno tra i più poveri del mondo, dove il potere è monopolio di una élite compradora corrotta asservita alla Francia, élite che si appoggia sul consenso di alcune etnie e tribù francofone maggioritarie nel Sud, mentre quelle del Nord, tra cui i fieri tuareg, subiscono discriminazione ed emarginazione.

Mali: le zone di conflitto nell’Azawad

In questo contesto si spiega come la presa delle autorità di Bamako sulle vastissime regioni desertiche e semi-desertiche del Nord (di cui la mitica capitale Timbuctu), sia sempre stata, sin dalla indipendenza del 1962, debolissima — così che il Nord è stato di fatto autoamministrato dalle diverse tribù locali. L’aspirazione alla secessione da Bamako ha radici profonde. Ne sanno qualcosa i colonialisti francesi, a cui i tuareg diedero sempre filo da torcere e che per questo subirono sin dagli inizi del ‘900, vari massacri — fino all’ultima rivolta, quella del 2007-2009, dal cui grembo nacque nel 2011, anche sulla spinta delle “primavere arabe”, il MNLA (Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad).

Anche se la spina dorsale del MNLA sono i tuareg, il gruppo dirigente ha sempre teso a sfumare questa prevalenza, sottolineando la necessità dell’unità dei popoli dell’Azawad, superando le ataviche divisioni tribali ed etniche.

«Il MNLA desidera precisare che all’interno del comando militare MNLA ci sono: i ribelli delle vecchie rivolte degli anni ‘90 (MFUA – Movimento dei fronti unici di Azawad), del 2006 (MTNM – Movimento tuareg del nord del Mali, guidato dal compianto Ibrahim Ag Bahanga), i combattenti che sono tornati dalla Libia, e che per lo più hanno partecipato alla liberazione di quel paese, i volontari delle varie etnie del nord del Mali (Tuareg, Songhai, Peul e Moro) ed anche i soldati e gli ufficiali che hanno disertato dall’esercito del Mali». [dal sito web del MNLA]

Il simbolo del MNLA

E’ quindi doveroso sfatare una leggenda: nel conflitto libico i tuareg coinvolti non sono affatto stati tutti dalla parte di Gheddafi. La parte più consistente, in alleanza con le milizie libiche di fede islamica, ha invece combattuto dalla parte degli insorti.

Ed è proprio nel conflitto libico che molti militanti nazionalisti azawadiani si sono fatti le ossa e, una volta caduto Gheddafi, sono tornati a casa decisi a rilanciare la lotta di liberazione. E’ infatti in Libia che gran parte dei giovani azawadiani, di fede sunnita, aderiscono alla versione salafita dell’islam e, una volta tornati a casa, danno man forte alle frazioni fondamentaliste del MNLA.

A solo un anno dalla sua fondazione, il MNLA subisce così una pesante scissione. La frazione salafita, l’Ansar Dine, capeggiata da Yiad Ag Ghali, si stacca dal MNLA andando per la sua strada e contendendo al MNLA il controllo del territorio. Nel giugno del 2012 i miliziani del MNLA subiscono una pesante sconfitta da parte della coalizione degli islamisti formata da Ansar Dine, dal Movimento per l’Unicità del Jihad dell’Ovest (Mujao) e da piccoli gruppi legati ai jihadisti di Al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQMI). Se il MNLA si riallaccia alla lunga storia dei movimenti nazionalisti progressisti e hanno in mente un Azawad democratico, gli avversari professano un islam d’impronta wahabita e vogliono instaurare in Azawad una Repubblica islamica fondata sulla sharia. Sono queste forze che nel luglio 2012, in sfregio alla solida tradizione sufi dell’Islam locale, attaccano e danneggiano i famosi e bellissimi luoghi di culto dei santi.

Leggendo i documenti del MNLA, anzitutto il documento del 2. Congresso d’emergenza svoltosi dal 8 al 10 gennaio scorsi a Tinzawatane, si capisce che la forza di spinta delle milizie islamiste viene anzitutto dalla gioventù dell’Azawad, gioventù che trova nell’islam combattente salafita la risposta alla sua sete di riscatto sociale e di vendetta.

L’aggressione francese aumenterà il numero dei profughi

L’avanzata dei combattenti islamisti — che nel 2011 è dilagata anche grazie a numerose diserzioni dall’esercito maliano, e in virtù delle quali intere guarnigioni sono passate con gli insorti — è stata fulminea e devastante. Il MNLA, ha subito pesanti perdite, ed è stato schiacciato in un angolo. La cosa ha avuto effetti anche sui fragili equilibri del potere centrale di Bamako. I golpisti saliti al potere nel marzo 2012 si sono subito appellati a Parigi e ai governi dei paesi limitrofi affinché inviino truppe di supporto allo sgangherato esercito maliano. Rispondendo positivamente all’appello dei suoi scherani locali Parigi ha immediatamente posto la questione in sede Onu che, immancabilmente, da semaforo verde all’invio di truppe imperialiste (risoluzione 2085 del dicembre 2012).

Ecco dunque che, in una pittoresca versione della “guerra umanitaria”, l’imperialismo francese, lancia in resta, il 14 gennaio, è partito in guerra. Il primo assaggio: una fitta serie di bombardamenti “intelligenti” che hanno colpito le città e i villaggi di Kidal, Gao, Douentza, Konna e Leré.

“Fermata l’avanzata dei terroristi”, hanno esclamato i tronfi comandi militari francesi. Balle! Siamo solo agli inizi di una guerra che potrebbe invece essere lunga e di logoramento. Ammesso che gli invasori riescano a riprendere il controllo delle città di Azawad, e quindi spingere i ribelli verso l’interno, verso le smisurate distese desertiche, i colonialisti, in Mali, dovranno restarci a lungo.

Ma questo è esattamente ciò a cui aspirano, in barba alle dichiarazioni del bugiardo Hollande. Il rischio è dunque quello di un’estensione del conflitto agli stati confinanti: alla Mauritania (accusata da Bamako si sostenere il MNLA), al Niger (le cui miniere di uranio sono d’importanza capitale per la Francia nucleare), all’Algeria (accusata di spalleggiare Ansar Dine), alla Nigeria già in fiamme.
Tutto il Sahel è infatti un complesso sistema di vasi comunicanti, dove l’Islam combattente conosce una avanzata anche perché da voce a masse sterminate di diseredati condannati alla fame.

Combattenti salafiti dell’Azawad

Ci vengono in mente i complottisti, i dietrologi, gli adepti alla setta cosmopolita ma nata a stelle e strisce della “conspiracy”, quelli per cui qaidismo e jihadismo, sarebbero solo protesi della Cia. Chissà che anche questa volta, in preda alle loro farneticazioni paranoiche, non bolleranno i combattenti tuareg come mercenari al soldo della spectra imperialista. La loro stupidità è talmente grande che potrebbero inventarsi che il conflitto in Mali è in verità un conflitto tra la Francia gollista e i diavoli americani, strizzando quindi l’occhio alla prima.