Dunque, per la delizia degli eurofanatici degli Stati Uniti d’Europa, il premier inglese Cameron ha annunciato un referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea. Ecco un altro preciso segnale del prevalere delle tendenze disgregatrici rispetto a quelle unioniste. Tendenze che non riguardano certo un solo paese, basti pensare al mancato accordo di dicembre sul bilancio dell’Unione.

Sull’annuncio di Cameron, pubblichiamo di seguito un articolo di Ambrose Evans Pritchard, la cui tesi centrale è che il referendum non servirà, perché il 2017 è piuttosto lontano e l’attuale UE imploderà prima. Secondo l’articolista, che cita a tal proposito La Tribune, la mossa del premier britannico potrebbe mirare in realtà alla costruzione di un asse Londra-Berlino, per ridisegnare un’Europa che salvaguardi il mercato unico, mandando al tempo stesso in soffitta i progetti tendenti ad una più stretta unione politica, e respingendo fermamente ogni ipotesi di condivisione del debito. Alla faccia degli illusi sulla «solidarietà europea».

Il referendum di David Cameron non servirà mai
di Ambrose Evans Pritchard (The Telegraph)

La promessa di David Cameron per un referendum “dentro -o-fuori” dall’Europa sarà superata dagli eventi interni molto prima del 2017. Il voto potrebbe non essere necessario. Anche se Cameron ha tutto il diritto di prendere tempo. Il disallineamento della zona euro tra Nord e Sud non è stato risolto. Il blocco del Club Med sta ancora scivolando in una profonda depressione. La crisi finanziaria – che era solo il sintomo – si è aggravata trasformandosi in una crisi economica e sociale più intrattabile e quindi politica.

Mario Draghi, della BCE, si è assunto il rischio di scongiurare un default sovrano in Spagna e in Italia, ma non ha restituito a questi paesi una redditività economica vicina a quella delle monete del blocco del D-Mark, e non può farlo.
Prendetevi un momento per leggere la crisi dell’Eurozona: non è ancora finita del professor Paolo Manasse dell’Università di Bologna, pubblicato su VOX – UE.

Guardate, nel grafico sotto, al gap tra Germania e Italia. Le due economie avevano il 14% di differenza nella crescita del PIL dal 2006, e lo scostamento certamente continuerà ad aumentare quest’anno, l’anno prossimo, e l’anno dopo.

Mentre la crisi del 2008-2009 è stata uno “shock transitorio” per gli Stati Uniti, si è trasformata in uno “shock quasi-permanente” per l’Europa, simile agli effetti della crisi petrolifera del 1973. Il Prof. Willem Buiter di Citigroup usa più o meno gli stessi argomenti:

Il termine in voga è “isteresi” (1). Se le persone restano senza lavoro per un tempo abbastanza lungo, il danno alla loro professionalità e al loro capitale umano diventa una perdita permanente. Il potenziale di crescita dei fondamentali dell’economia resta danneggiato per anni. Questo è quanto stiamo vedendo in mezza Europa in questo momento. “Non si dovrebbe far passare nessuna illusione che la tempesta sia prossima alla sua fine. Anzi, è possibile che siamo proprio nell’occhio del ciclone. Le prospettive a lungo termine per la sopravvivenza dell’euro non solo non stanno migliorando, ma vanno, in realtà, sempre peggio“, conclude il Prof. Buiter.

I dati pubblicati questa mattina dimostrano che l’economia spagnola ha continuato a contrarsi ad un ritmo accelerato nel 4° trimestre. Non c’è luce alla fine del tunnel, e dato che la disoccupazione rallenta il PIL, il tasso di disoccupazione probabilmente continuerà a crescere oltre il 26.6% e resterà a livelli stratosferici ancora a lungo. L’aumento delle esportazioni che Madrid aveva previsto è in gran parte svanito e le esportazioni sono aumentate solo del 4% nel 2012.

Gli scettici sostengono che il miracolo delle esportazioni spagnole del 2010-2011 era essenzialmente un interruttore, acceso per spedire sui mercati esteri quell’eccesso di produzione già esistente e consentire alle imprese di rispondere, sfuggendo al collasso della domanda interna. Molto di questo miracolo si è già consumato. Non ci sono stati abbastanza nuovi investimenti per sostenere un boom dell’esportazione. Consulenti di mercato SFD affermano che gli investimenti esteri in Spagna sono diminuiti del 12% nei primi nove mesi del 2012, rispetto ad un anno prima.
Date uno sguardo anche ai dati sul debito diffusi oggi da Eurostat.

La cosa che colpisce subito è l’incredibile salto del debito in rapporto al PIL negli ultimi dodici mesi in una serie di paesi – 13% in Irlanda – 10,7% in Spagna – 9.9 % in Portogallo – 9% in Slovacchia – 7.4% in Italia (TTL 127,3%).

Questo mostra quanto danno sia stato fatto sull’evoluzione del debito dalla politica della terra bruciata. La contrazione del PIL nominale è un killer. Il dato Eurostat indica per il Regno Unito – tra l’altro – un aumento del 4%, ma questo conta meno che negli altri paesi, perché noi abbiamo la nostra moneta sovrana e una banca centrale. (Cose che permettono di trasformare il rischio di insolvenza in rischio monetario).

Come andrà a finire nessuno lo sa, ma è difficile credere che potrà andare avanti così per altri cinque anni perché i partiti di governo delle nazioni vittime stanno perdendo legittimità mese per mese. L’indice di gradimento di Mariano Rajoy in Spagna è già sceso al 15%, il suo gradimento di un anno fa è ormai un lontano ricordo.

Ma lo status quo non è sostenibile nemmeno al Nord, dove gli sforzi per i salvataggi si stanno trasformando in qualcosa di più profondo. Il Partito della Libertà in Olanda sta già chiedendo un referendum, e il premier Mark Rutte ha di fronte un elettorato euroscettico, non tanto diverso dagli elettori britannici in questi giorni.

Un sondaggio di Die Zeit mostra che il 60% dei tedeschi ora si oppongono al trasferimento di altri poteri a Bruxelles. La Cancelliera Angela Merkel dei cristiano-democratici potrebbe tranquillamente controfirmare gran parte del discorso di David Cameron.

I tedeschi vogliono anche un diverso tipo di UE, e certamente uno che eviti qualsiasi tipo di condivisione del debito – e questo a sua volta significa ripensare le ipotesi di una integrazione sempre più stretta. Da qui l’asse emergente “anglo-tedesco” di cui adesso si scrive tanto sulla stampa francese, spagnola e italiana.

La Tribune
ha pubblicato stamattina un pezzo affascinante che ha descritto il discorso di Cameron come una specie di dialogo con Berlino su come riformare l’Unione europea, quasi una minaccia di ritirarsi dalla UE: “Cameron: la tentation de redessiner l’Europe avec… Berlin”.

La Tribune ha ragione. Le cose non stanno esattamente come sembra. Loro non sono mai stati in Europa. La domanda interessante è se la Gran Bretagna dovrebbe lasciarsi attrarre ancora in un’altra guerra civile europea – questa volta, per lo meno pacifica – da parte delle potenze continentali che hanno bisogno di una forza per riequilibrarsi. La Germania e altri paesi possono desiderare di farci entrare, ma dovremo ascoltare queste sirene?

da ComeDonChisciotte
Fonte: http://blogs.telegraph.co.uk
Link: http://blogs.telegraph.co.uk/finance/ambroseevans-pritchard/100022429/david-camerons-referendum-may-never-be-necessary/
23.01.2013
Traduzione per ComeDonChisciotte a cura di BOSQUE PRIMARIO

Note :

1. Isteresi è la dipendenza di un sistema non solo dall’ambiente in cui si realizza, ma anche dal retaggio dell’ambiente in cui si è sviluppato e di cui conserva, nel suo profondo, tutte le caratteristiche.