Colombia: processo di pace in bilico

Pubblichiamo di seguito alcune notizie sulla Colombia, tratte dal bollettino dell’Associazione Nuova Colombia, che ci parlano della delicata situazione del paese. Il governo Santos non solo non ha accettato di trasformare in bilaterale la tregua unilaterale proclamata dalle Farc a novembre, ma ha accusato la guerriglia di non aver mai applicato la tregua. Conseguentemente le Farc hanno annunciato, qualche giorno fa, la fine della tregua unilaterale.

E’ evidente che il regime sta cercando di logorare le Farc, mentre queste ultime sottolineano giustamente la centralità della questione della terra, proponendo una riforma agraria integrale.
Sotto le tre notizie in ordine cronologico: 1) Le dichiarazioni del ministro della guerra Pinzòn, 2) la fine del cessate il fuoco unilaterale, 3) la proposta delle Farc sulla riforma agraria
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1. Il ministro della guerra colombiano rema contro il processo di pace

Juan Carlos Pinzón, ministro della Guerra colombiano, ha dichiarato due giorni prima della ripresa dei dialoghi dell’Avana (il 14 gennaio scorso) che “le FARC non hanno mai mantenuto la loro parola”, alludendo al cessate il fuoco unilaterale di due mesi dichiarato dall’insorgenza il 20 novembre 2012.

Pinzón, facendosi portavoce dell’opposizione della cupola militare e dell’uribismo ai dialoghi con le FARC, si è dedicato a vomitare fuoco e ad annunciare (così come innumerevoli suoi predecessori, puntualmente smentiti dai fatti) la fine del conflitto per via militare, non astenendosi da minacce ed insulti, senza che intervenisse il presidente “Jena” Santos per obbligarlo ad allinearsi alla politica di pace che il governo afferma di perseguire.

La cospirazione militarista contro la soluzione politica del conflitto, sostenuta dall’oligarchia narco-latifondista e dai settori più reazionari, pone all’ordine del giorno la necessità di una tregua bilaterale (gli attacchi e le provocazione dei militari contro le FARC sono proseguiti imperterriti, nonostante il cessate il fuoco dichiarato dall’insorgenza), e di porre limiti al conflitto per ridurne gli effetti a danno della popolazione civile; e occorre il riconoscimento dello status di forza belligerante alle FARC, passaggio essenziale per disegnare una regolamentazione del conflitto nella prospettiva di un suo superamento.

La favoletta di un’insorgenza indebolita, costretta a sedere al tavolo delle trattative, è frutto della propaganda di regime, anche se la realtà del conflitto è ben nota a tutti; e pure se una parte dell’oligarchia al potere, rappresentata da Santos, si è trovata pragmaticamente costretta a sedersi al tavolo con le FARC, egli subisce il ricatto dei latifondisti, che ne hanno sostenuto, obtorto collo, la candidatura alla presidenza.

Ciò detto, e tornando al cecchino ministro della Guerra, sarebbe ingenuo pensare che le sue ripetute esternazioni (recentemente amplificate dal ministro degli Interni Carrillo) siano soltanto “sparate” di un incauto; seguendo lo schema dello sbirro “buono” e di quello “cattivo”, ottemperando ligiamente ad una ben calcolata suddivisione del lavoro (sporco), Pinzón fa il “duro” mentre Santos e i vari negoziatori De la Calle, Jaramillo, ecc. si mostrano più possibilisti.

La conclusione, come abbiamo sempre ribadito dall’inizio del processo dell’Avana, non può che essere una: solo una massiccia mobilitazione popolare a sostegno dei dialoghi può impedire che le trappole oligarchiche mettano fine alla possibilità di costruire una nuova Colombia, in pace e con giustizia sociale.


2. Termina il cessate il fuoco unilaterale delle Farc

Il 20 gennaio sono scaduti i 60 giorni di tregua delle operazioni offensive decretati dalle FARC all’apertura dei dialoghi. Il governo non ha avuto la forza morale di cogliere questa opportunità e rendere bilaterale il cessate il fuoco, al fine di creare un ambiente propizio alle conversazioni. Tutt’altro: il ministro della guerra Pinzón e il comandante delle Forze Armate del regime Navas, non hanno fatto altro che provocare, inventando tra l’altro menzogne sul non rispetto da parte della guerriglia dell’annunciata tregua, al fine di giustificare il proprio atteggiamento guerrafondaio e sabotatore dei dialoghi di pace. Le operazioni dell’Esercito non si sono fermate in questi ultimi due mesi, manifestando una viltà raramente vista in una guerra.

Davanti all’evidenza della situazione, il presidente Santos è stato alla fine costretto a riconoscere che le FARC avevano mantenuto la parola, sbugiardando, suo malgrado, i propri collaboratori. Ora la situazione sul campo ritorna al 19 novembre scorso, quando secondo cifre governative ogni mese cadono in media 200 soldati e poliziotti negli scontri con le FARC (le cifre fornite dalla guerriglia sui militari messi fuori combattimento sono molto più alte), le cui famiglie potranno ringraziare il loro governo per non aver voluto salvaguardare la vita e l’integrità dei loro congiunti, mandati a morire nelle selve e sulle montagne del paese, come carne da macello, per difendere gli interessi di una piccola minoranza avida e sanguinaria che detiene illegittimamente il potere.

Da parte loro le FARC, in mancanza della disponibilità governativa a firmare un cessate il fuoco bilaterale, propongono almeno un trattato di regolazione del conflitto che diminuisca l’impatto della guerra sulla popolazione civile, per esempio vietando di posizionare basi e caserme militari nelle aree abitate, cosa che equivale ad usare la popolazione come scudo umano. Tecnica largamente impiegata da esercito e polizia colombiani, non solo per ripararsi dagli attacchi della guerriglia ma anche per poterla cinicamente accusare di danneggiare i civili.

In mancanza di un trattato del genere, così come di una sospensione bilaterale delle operazioni belliche o di ogni altra iniziativa volta a dare corpo e sostanza ai dialoghi in corso, si può mettere la pietra tombale sulla credibilità di Santos come interlocutore per la costruzione della pace con giustizia sociale in Colombia.


3. Le Farc propongono una riforma agraria integrale

Le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia-Esercito del Popolo (FARC-EP), nell’ambito dei dialoghi di pace con il governo di Juan Manuel Santos ripresi all’Avana lo scorso 14 gennaio, hanno avanzato la proposta di una riforma rurale ed agraria integrale, socio-ambientale, democratica e partecipativa, esortando la controparte governativa a porre fine alla retorica guerrafondaia che accompagna le false promesse di risolvere i problemi sociali.

I portavoce guerriglieri hanno chiesto alla delegazione governativa di dimostrare la volontà di avanzare nel processo di pace, ponendo sul Tavolo proposte chiare e concrete indicate dal paese, e mettendo fine al problema del latifondo e della spoliazione della terra con metodi violenti o mascherati dalla legalità.

Le FARC, dopo aver studiato con attenzione le proposte che il popolo ha presentato attraverso Forum, eventi organizzati dall’iniziativa popolare, dall’ONU, dall’Università Nazionale, dalla commissione di Pace di Senato e Camera, ed attraverso la pagina web disposta dalla Tavola delle Conversazioni, hanno reso nota la bozza di una posizione preliminare in merito al primo punto dell’Accordo Generale, denominata “Dieci proposte per una politica di sviluppo rurale e agrario integrale con focalizzazione territoriale”, dove la prima proposta è la “Realizzazione di una riforma rurale e agraria integrale, socio ambientale, democratica e partecipativa, focalizzata territorialmente”. Dalle proposte del popolo colombiano, pienamente cosciente che alla base del conflitto sociale ed armato c’è la questione della terra e di tutte le disuguaglianze politiche, economiche, sociali e culturali legate al latifondo, le FARC, nell’esercizio della propria sovranità politica, propongono una riforma integrale che trasformi le relazioni rurali, che contribuisca alla democratizzazione reale del potere territoriale, della società, dello Stato e del modello economico nel suo insieme, sradicando fame e povertà, riconoscendo contadini e contadine come soggetti politici a cui sia garantito il godimento effettivo di diritti politici, economici, sociali e culturali.
Solo con una piena ed effettiva partecipazione del popolo al processo di pace si potranno affrontare tutti gli ostacoli che separano il presente di un paese in conflitto, diseguale, saccheggiato e neo-colonizzato, da un paese con piena sovranità, in pace e con giustizia sociale.