Il Campo Antimperialista ha espresso ai compagni del Movimento dei Patrioti Democratici vicinanza e solidarietà per l’uccisione di Chokri Belaid

Chokri Belaid era il segretario generale di uno dei partiti storici tunisini di sinistra, i Patrioti Democratici, parte della ben più ampia coalizione Nidaa Tunes, un recente fronte unitario laico, fondato dall’ex primo ministro Beji Caid el Sebsi.

Belaid è stato assassinato ieri mattina, davanti alla sua abitazione, freddato da quattro colpi di pistola, secondo le prime ricostruzioni, sparate da un uomo che indossava il burnous, tradizionale abito tunisino.

Lo avevamo incontrato durante la nostra seconda visita a Tunisi nel Marzo del 2011, subito dopo la cacciata di Ben Ali, quando ancora fra le strade della città si respirava un’aria di fermento, la gente faceva capannello per discutere, manifestazioni spontanee sorgevano in ogni quartiere, la fiducia nella possibilità del cambiamento, nella rivoluzione radicale era palpabile. I segni del conflitto erano ancora tutti lì, Avenue Bourguiba era circondata dal filo spinato, tanti i carri armati e la sera, sebbene il coprifuoco fosse terminato, i soldati di guardia, con i mitra spianati, osservavano ogni movimento, spiavano con sospetto ogni passante, pronti a prevenire qualsiasi azione di disturbo.

Eravamo stati invitati a cena da alcuni militanti dei Patrioti Democratici (ultima propaggine della sinistra comunista tunisina), e Belaid era con loro. In una grande sala da pranzo, piena di tappeti e divani, gustando del buon vino e assaggiando delizie locali, la conversazione si è presto animata, un incendio verbale innescato dal confronto, senza esclusione di colpi, tra occidente ed oriente, islam e cristianesimo, islam e politica, islam e laicismo, islam e noi.

E non erano certo i nostri “patrioti” a difendere l’islam. In nome di un secolarismo spinto, appassionati di una cultura occidentale democratica e libera, si scagliavano contro i loro fratelli islamisti e contro Ennahda (Rinascita), il partito che avrebbe poi vinto le prime elezioni democratiche, e senza brogli, della Tunisia.

I nostri commensali, specialmente le giovani donne, rigorosamente senza velo, ci accusavano di non riuscire minimamente a capire che nei paesi islamici, dove non esiste distinzione tra la sfera politico-sociale e religiosa, i diritti civili, individuali, vengono calpestati e ignorati. Si giungeva a sostenere che l’islam politico fosse una specie di corrente fascista.

Il problema è spinoso.
Noi venivamo dalle regioni del sud, da Kasserine, da Sidi Bouzid, i luoghi da cui la rivolta, in seguito al gesto estremo di Mohammed Bouazizi, era divampata.
Quelle sono zone poverissime, misere, dove non si lavora, non si mangia, ci si inventa venditori ambulanti per sfamare famiglie numerose. La scuola è lontana dai pensieri dei più giovani, non parliamo dei diritti civili, perché sei occupato a trovare un pezzo di pane, la sopravvivenza quotidiana invade il tuo essere.

Ci trovavamo quella sera a cena con dei compagni che avevano contribuito a cacciare Ben Ali, che avevano partecipato alle imponenti manifestazioni della Kasbah 1 e 2, ma che, anche per estrazione sociale, erano lontani dalle istanze che avevano spinto i settori più poveri della popolazione, certamente influenzati dall’islam, a gettarsi nella mischia. Sentivamo che la Tunisia post-rivoluzionaria era divisa da antiche paratie: le zone povere del sud contro il più ricco nord-est, le zone aride e deserte contro le zone costiere turistiche molto frequentate. I nullatenenti e sfruttati non solo contro i benestanti borghesi, ma anche contro le classi medie urbane occidentalizzate.

In questo clima era scoppiata la rabbia popolare. Gli islamisti si sono inseriti in questo contesto, e hanno riscosso l’appoggio degli ultimi, degli umiliati, che in Ennahda hanno visto una speranza concreta di cambiamento, di riscatto, di liberazione.

Uomini come Chokri Belaid – esponenti di una sinistra che ha fatto della secolarizzazione una bandiera identitaria; di una sinistra che immagina progresso ed emancipazione come inscindibilmente connessi alle tradizioni europee – sembravano chiudere gli occhi di fronte alla rinascita islamica, liquidata da loro come “pericolo reazionario”.

L’islam, come dicono tanti esponenti di Ennahda, è un contenitore ampio, c’è dentro anche la possibilità di pensare ad una democrazia che non sia necessariamente di stampo occidentale.
Belaid accusava Ennahda di essere vicina ed appoggiare gruppi estremisti che incitano alla violenza. E’ invece innegabile che in seno al partito islamico al governo vi siano tendenze diverse, e che ci siano in Tunisia gruppi salafiti agguerriti, feroci oppositori del governo di Ennahda, Ma il cammino verso la democrazia è sempre accidentato. Governare un paese arretrato, dopo anni di dittatura, guidare la transizione, non è cosa semplice.

Il presidente di Ennahda, Rachid Gannouchi, si è affrettato a condannare il vile gesto, bollandolo come “attentato terroristico contro la rivoluzione tunisina” e, invitando tutte le forze alla concordia, ha messo in guardia i tunisini tutti perché non cadano nella trappola di chi vuol destabilizzare il paese e distruggere gli sforzi fatti sino ad oggi. E’ implicito che si riferisse alle formazioni estremiste salafite.

La Tunisia è sull’orlo di una grave crisi istituzionale.
Le opposizioni presenti nell’Assemblea Costituente hanno deciso di far dimettere tutti i loro rappresentanti, mentre il premier Hamadi Jebali ha comunicato ieri sera di voler sciogliere l’esecutivo e costituirne uno di soli tecnici, spaccando di fatto Ennahda in due.

E’ in corso in questo momento un vertice di governo al Palazzo di Cartagine, coordinato dal presidente Moncef Marzouki, mentre disordini, scontri e manifestazioni proseguono in tutto il paese.
Noi condanniamo apertamente l’accaduto, e abbiamo già espresso ai compagni del Movimento dei Patrioti Democratici vicinanza e solidarietà.
Vedremo l’evolversi della situazione nelle prossime ore.