Se le tendenze e i risultati previsti dai sondaggi troveranno conferma nelle urne, il dato più clamoroso che uscirà da questo turno elettorale sarà che quasi la metà degli italiani non si riconosce più nella dicotomia centrodestra/centrosinistra; percentuale ottenuta sommando l’astensione, le schede bianche/nulle e i voti al M5S.

Colpito dal’enormità di un fenomeno che non può più essere taciuto, l’economista Michele Salvati in un interessante articolo dal titolo Destra/Sinistra pubblicato su La Lettura numero 64, l’inserto culturale del Corriere della Sera, da coerente migliorista cerca invece di dimostrarne la necessità. E lo fa seriamente, cioè senza tacciare i negazionisti di simpatie per la destra, di fascismo, di qualunquismo, eccetera, come si usava fare sino a poco tempo fa, né accusandoli di favorire in tal modo la vittoria berlusconiana. Sarebbero moltissime le osservazioni da fare al testo di Salvati, ma vado subito a quella di gran lunga più importante, che a mio avviso taglia la testa al toro.

La bicentenaria dicotomia destra/sinistra è defunta quando è venuto a mancare uno dei due elementi; nel gergo del pugilato si direbbe che il match è terminato per abbandono di uno dei due contendenti, in questo caso la sinistra. Ho già detto e scritto più volte di quando, del come e del perché ciò sia avvenuto, in coincidenza col cambio di fase del capitalismo. Non volendo ripetermi riassumo il tutto parafrasando una nota canzone di Giorgio Gaber: il pensiero liberista è di destra, ora è buono anche per la sinistra. Gaber parlava del pensiero liberale e non di quello liberista, ma solo perché la canzone è dei primissimi anni Novanta.

Se nel campo delle politiche economiche e sociali, il campo in cui dovrebbe manifestarsi la maggiore diversità fra centrodestra e centrosinistra, entrambi fanno a gara a chi ottempera meglio ai dettami liberisti e ai diktat europei (al momento è in netto vantaggio il centrosinistra sul centrodestra), a che scopo riesumare il cadavere destra/sinistra soprattutto durante le campagne elettorali? Che ci azzeccano quei valori che caratterizzarono la sinistra (uguaglianza, giustizia sociale, pace, eccetera) col teatrino mediatico centrodestra/centrosinistra che nel frattempo ha sostituito l’antica dicotomia? A mio avviso, nulla! Ecco, il trucco sta proprio qui, nel confondere intenzionalmente centrodestra/centrosinistra con destra/sinistra. Nel far credere che la nuova dicotomia centrodestra/centrosinistra sia l’erede naturale della dicotomia destra/sinistra, mentre invece non ne è neanche lontana parente.

Anzi, di più. La dicotomia centrodestra/centrosinistra è solo una finzione elettorale, così come lo sono in altri paesi occidentali le finte contrapposizioni laburisti/conservatori, repubblicani/democratici, eccetera. “Che vincano i repubblicani o che vincano i democratici, vince sempre il partito del grande capitale” ripeteva Ralph Nader, più volte candidato indipendente alla presidenza USA che divenne famoso per le sue battaglie a favore dei consumatori e delle minoranze, accusato di populismo per aver sottratto voti decisivi al candidato democratico Al Gore nelle elezioni del 2000, vinte con evidenti brogli in Florida dal candidato repubblicano George W. Bush.

E’ su questi imbrogli che in Italia si sono fondate e prosperano le fortune delle maggiori forze politiche figlie della cosiddetta “seconda repubblica”. Entrambe le parti, che sono in concorrenza fra loro per una migliore gestione delle politiche liberiste, dei diktat europei e per favorire gli interessi delle banche, della grande finanza, di Confindustria, ne traggono vantaggio. Da una parte Berlusconi che richiama al voto il suo elettorato deluso agitando come negli anni Cinquanta lo spauracchio dell’instaurazione di un regime comunista che toglierebbe le libertà individuali e d’impresa e tartasserebbe i ricchi; come se non fosse evidente a tutti che dirigenti del PD come D’Alema, Fassino, Bersani, Veltroni, Finocchiaro (quest’ultima candidata gradita alla Lega Nord per la successione di Napolitano, Maroni dixit), eccetera, comunisti non sono mai stati.

Dall’altra, il centrosinistra persegue politiche liberiste, guerrafondaie, ma sapendo che lo zoccolo duro del suo elettorato è di origine picista, deve opportunisticamente richiamarsi ai valori della sinistra: equità sugli eurosacrifici spacciata per uguaglianza e giustizia sociale, continui richiami alla difesa della Costituzione nata della Resistenza, pur sapendo che la Costituzione è ormai solo più l’ombra di quella uscita dalla Resistenza, ormai bypassata alla grande in modo bipartisan dal centrodestra e dal centrosinistra. E che subito dopo il 24 febbraio tutte le forze politiche di centrodestra e di centrosinistra dovranno concorrere a stravolgerne lo spirito con la benedizione di Napolitano e del suo successore, per adeguarla al pensiero e alle esigenze del liberismo. Lo show commissionato al numero uno dei comici di regime, Roberto Benigni, per declamare la bellezza della nostra Costituzione è stato solo un rassicurante spettacolo di copertura.

Questo “richiamo della foresta” usando i valori della dicotomia destra/sinistra serve a nascondere che l’Italia è un paese post-democratico, ridotto al rango di colonia, privato di qualsiasi tipo di sovranità. E che quindi, qualsiasi governo uscirà dalla urne non potrà che proseguire e portare a termine i compiti dettati dall’Europa e impostati dalla giunta Monti-Napolitano col consenso di centrodestra e centrosinistra. Questo golpismo in progress prevede una “democrazia a bassa intensità” costituzionalizzata, il raggiungimento del pareggio di bilancio (già entrato in Costituzione col voto delle forze golpiste di centrodestra e centrosinistra presenti in parlamento) e l’abbattimento della metà del debito, obiettivo da raggiungere nei prossimi vent’anni attraverso la totale deregolamentazione del lavoro, la demolizione del welfare, e con tagli + maggiori tasse per i  cittadini pari a 50 miliardi l’anno fino al 2034.

Date queste prospettive, è chiaro che quei valori di sinistra ormai usati solo strumentalmente per gestire le politiche liberiste o accaparrarsi qualche strapuntino nelle istituzioni andrebbero riaccesi urgentemente; ma sinora le richieste in tal senso non hanno trovato interlocutori. Come dice la vocina al telefono: spiacenti, il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile o potrebbe avere il terminale spento. Come si fa allora a non riconoscersi nell’interrogativo che pone Laura Castelli, 26 anni, laureata in economia aziendale, capolista del M5S in Piemonte che in una intervista apparsa su La Stampa del 28 gennaio a pagina 10 afferma: “Fossi nata negli anni ’50 presumibilmente sarei stata di sinistra, ma oggi che senso ha questa parola?”.