Il referendum in corso nelle isole Malvinas altro non è che una farsa. Una farsa tesa a legittimare una colonia inglese a 14mila chilometri da Londra. Sono chiamati a votare 1.650 elettori, su una popolazione di 1.973 isolani, cui si aggiungono circa 600 tra militari e contractors presenti nella base britannica sull’arcipelago.

Già questi numeri, relativi ad un territorio di 12.173 Kmq (in pratica metà Toscana), dicono tutto: gli abitanti inglesi delle Malvinas altro non sono che un avamposto delle rinnovate pretese colonialiste di Londra.

Del resto, per il mantenimento della base militare aperta dopo la guerra del 1982, la Gran Bretagna spende la bellezza di 200 milioni di sterline all’anno. Al cambio attuale 230 milioni di euro, che è come dire che ogni isolano costa a Londra 116mila euro all’anno. Decisamente un po’ troppo se non fossero in gioco ben altri interessi. Le Malvinas si trovano infatti in una posizione strategica, soprattutto per poter rivendicare futuri diritti sull’Antartide. Inoltre, al di là degli interessi sulla pesca, vi sono quelli ben più corposi sulle riserve di petrolio che sono state recentemente scoperte nelle acque dell’arcipelago.

Il referendum farsa ha dunque lo scopo di tutelare questi interessi, mantenendo uno status quo inaccettabile. Il governo argentino ha già detto che considererà nullo l’esito del voto. Due mesi fa, la presidente Cristina Fernandez de Kirchner si è rivolta al governo inglese, chiedendogli il rispetto della risoluzione ONU del 1960 in cui si invitano tutti gli stati membri a «porre fine al colonialismo in tutte le sue forme e manifestazioni».

Le Malvinas vennero strappate all’Argentina nel 1833. Che adesso, a quasi due secoli di distanza da quell’invasione, si abbia la pretesa di far decidere il destino di queste isole (che si trovano a meno di 500 chilometri dalle coste argentine) dai discendenti della popolazione insediata dai conquistatori inglesi, la dice lunga su come viene inteso ancora oggi il diritto internazionale sulle rive del Tamigi.

Il referendum (i risultati ufficiali saranno noti domani sera) ha ovviamente un esito scontato. E fa davvero sorridere che a Londra si abbia il coraggio di parlare di «diritto all’autodeterminazione». Di fronte a tanta sfacciataggine ha buon gioco il governo argentino nel rilevare come i residenti chiamati a votare siano di fatto una popolazione impiantata da un colonialismo che, se sul piano storico non è ormai che l’ombra di se stesso, non rinuncia però a controllare in giro per il mondo più di una dozzina di piccole colonie, oggi pudicamente chiamate «dipendenze britanniche d’oltremare».

Tra queste quattordici mini-colonie, molte volte ben più importanti per la posizione strategica di quanto si potrebbe pensare, altre volte utilizzate come paradisi fiscali, troviamo oltre alle Malvinas (per gli inglesi Falkland), Bermuda, Gibilterra, Isole Cayman, Anguilla e Sant’Elena. Senza dimenticare l’isola di Diego Garcia, adibita a base militare della marina americana, con la presenza di 3.200 soldati. Questa base, situata nell’Oceano Indiano, è stata massicciamente utilizzata per le operazioni militari sia in Iraq che in Afghanistan.

Con il referendum il governo di Londra vorrebbe chiudere lo storico contenzioso con l’Argentina. Ma se l’esito del voto è scontato, la chiusura della partita con il governo di Buenos Aires sembra proprio di là da venire.