Conversazione con Michel Kilo esponente del Forum democratico siriano, a cura di Francesca Amerio (da Limes n° 2 marzo 2013)

Limes Perché la rivoluzione siriana si sta trasformando in un conflitto sempre più interconfessionale e settario?

Kilo Questa deriva è da attribuire soprattutto al regime e ai Fratelli musulmani. Il primo ha sviluppato una strategia molto chiara sin dall’inizio: al-Asad ha infatti capito che la rivoluzione era costituita dall’incontro tra le opposizioni e i settori tradizionali della società siriana, che fanno propri i valori della società civile – ossia la libertà, la cittadinanza, lo Stato democratico e di diritto. Il regime ha voluto, dunque, separare le opposizioni dalla società tradizionale; di conseguenza ha schiacciato i movimenti della società civile che avevano organizzato e guidato le prime sommosse, affinché prevalessero i settori tradizionali, espressione di una società islamica, integralista e armata. In tal modo, al-Asad ha voluto mettere fine ad una rivoluzione della società siriana, trasformandola in una lotta interconfessionale e settaria. I Fratelli musulmani hanno aiutato il regime ad attuare tale strategia: anche nella loro ottica, infatti, bisognava trasformare la rivoluzione per la libertà in una lotta confessionale, poiché la maggioranza dei musulmani è sunnita, mentre il potere era nelle mani della minoranza alauita.

Limes Una trasformazione della rivoluzione come strategia pianificata, dunque?

Kilo Assolutamente si. Due settimane dopo lo scoppio delle prime manifestazioni, la stessa Butayna Ša’ban, consigliere del presidente, aveva messo in guardia dal pericolo di una lotta etnico-religiosa. Tuttavia, le rivolte nascevano come un movimento di protesta pacifico, di fronte al quale il regime ha scelto di rispondere con le armi. Non solo ha sparato sui numerosi manifestanti che mostravano i corpi completamente nudi con le braccia rivolte verso il cielo, ha anche tentato di armare le persone arrivando a buttare kalashnikov tra la folla.

Limes In origine l’elemento religioso non aveva nulla a che fare con le sommosse?

Kilo No, all’inizio le rivendicazioni avevano a che fare solo con la libertà, come attestano gli slogan scanditi durante e prime manifestazioni. Da “Uno, uno, uno, il popolo siriano è uno” si è passati, dopo alcuni mesi, a “Libertà” e a “Dio è amore” – amore nel senso cristiano del termine, poiché nelle manifestazioni erano presenti anche dei cristiani. Era, insomma, un movimento del tutto pacifico, ecumenico. Prendiamo l’esempio di Dar’a, città di circa 300 mila persone alla quale si fa risalire l’inizio delle rivolte in Siria, nel Marzo 2011. Quando il regime l’ha attaccata, sappiamo con certezza che in tutto vi erano quaranta armi, le quali peraltro non sono state utilizzate. Il rappresentante della città ci ha chiamato per chiederci se bisognava impiegarle, ma abbiamo risposto che in nessuna circostanza si dovevano utilizzare le armi. La forza di questo movimento consisteva proprio nel fatto di essere pacifico, civile e civico, cioè di tutti, per la libertà. All’inizio i manifestanti chiedevano unicamente riforme, non la caduta del regime. Ma il nostro geniale presidente ha detto testualmente, nel suo primo discorso dall’inizio delle proteste: “Se è la guerra, noi siamo pronti”1. Così, il regime ha esposto se stesso e i siriani ala violenza, obbligando i cittadini ad armarsi per difendersi. Per questo, sebbene all’inizio la maggior parte dei manifestanti fosse disarmata, ci troviamo oggi in una guerra. Tredici giorni prima dello scoppio della rivoluzione, Bašš?r el-Asad ha rilasciato un’intervista al Wall Street Journal in cui affermava: “Noi non siamo a Tunisia, né l’Egitto. Da noi c’è una certa convergenza tra il potere e il popolo. Pensiamo in modo unitario”. Il presidente era sicuro che i siriani non sarebbero scesi in piazza poiché aveva attivato gli šabbiha.

Limes Cosa sono?

Kilo Gli šabbiha sono organizzazioni di base presenti in tutta la Siria: dietro la porta accanto alla vostra, al mercato, nelle chiese, per strada, nelle campagne, ovunque. 185 mila criminali, guidati da ufficiali dei servizi speciali. Fanatici inquadrati nel partito Ba’t, armati, equipaggiati, muniti di mezzi di trasporto e finanziati.

Limes La popolazione sapeva della loro esistenza?

Kilo L’esistenza di queste unità era nota ai siriani, ma ciò che ha sorpreso è stato scoprire quanto fossero numerose. Nelle prime manifestazioni ad Hamah, per esempio, circa dodici persone erano attese da 200 šabbiha. E alla prima manifestazione di Dayr-al-Zawr, a fronteggiare i 200 usciti dalle moschee per manifestare c’erano circa mille šabbiha. Al-Asad era convinto che questa organizzazione avrebbe impedito alla gente di scendere in strada: in questo senso sì che la Siria non è la Tunisia, dove invece le persone potevano andare in piazza. Oltre agli šabbiha, il regime può contare su otto organizzazioni dei servizi di sicurezza, forti di circa 100 mila persone (e di altri numerosi sostenitori), suddivise in sicurezza nazionale, sicurezza generale, sicurezza politica (interna ed esterna), sicurezza militare e sicurezza aerea, più due divisioni a protezione del presidente. Al-Asad può inoltre avvalersi dell’esercito regolare, che conta circa 420 mila tra soldati e ufficiali. Il regime ha dunque a disposizione centinaia di migliaia di persone, che lavorano per lo stato e che morirebbero di fame se lasciassero il lavoro. Questa organizzazione di base ha saputo penetrare tutta la società, inquadrandola nel partito Ba’t, composto da circa 3 milioni di membri distribuiti su tutto il territorio. Al-Asad avrà pensato che la Siria mancasse di una società in grado di rivoltarsi, che non vi fossero spazi e forze sufficienti per una rivoluzione. Eppure la rivoluzione è qui e nel 60% del paese lo Stato non esiste più. Lo stesso partito Ba’t non esiste più: i suoi membri sono passati dall’altro lato della barricata, schierandosi contro il potere. L’obbligo di iscriversi al partito è caduto, i siriani sono liberi di scegliere e stanno scegliendo di lasciarlo. I numeri parlano chiaro: dai 3 milioni, oggi raggiungono forse 200 mila unità. Anche l’esercito si sta smembrando: circa 85 mila tra soldati e ufficiali hanno disertato negli ultimi due mesi.

Limes Questi elementi spiegano la deriva degli ultimi mesi?

Kilo Questa rivoluzione non è più pacifica. Ma cosa bisogna fare quando il regime invia l’aviazione a bombardare la sua gente? Cosa fare se si hanno figli e genitori? Le persone sono obbligate a difendersi. Qui vi è una distinzione da fare tra la legittima difesa delle persone e la militarizzazione della rivoluzione. Noi siamo contro la militarizzazione della rivoluzione e contro la supremazia degli ufficiali. Siamo, invece, per il diritto legittimo delle persone a difendersi. Se guardate Aljazeera o al-Arabiya penserete che tutta la Siria è diventata islamica e integralista: non è vero, è una minoranza. Salafiti e islamisti sono tra il 3 e il 5 % delle persone implicate nella rivoluzione: una piccola minoranza. Inoltre, non sono gli unici ad essere armati: oggi vi sono circa 100 mila siriani in armi che rivendicano la libertà, lo Stato civile e la democrazia. Questa resta una rivoluzione per la libertà. L’esercito siriano libero (Esl) ha vietato ai suoi membri di aderire a un partito politico o religioso e ha preteso che si impegnassero ad abbandonare le armi appena la rivoluzione avrà fine. L’Esl ha dunque preso posizione contro gli islamisti, non accettandoli tra i suoi ranghi. Tuttavia, chiediamo a questo esercito di organizzarsi per mettere fine al caos che regna al suo interno: sono infatti presenti molti civili e bisogna controllarli.

1 Discorso di Baššar al-Asad di fronte al parlamento siriano, 30/3/2011.

Intervista pubblicata su Limes n° 2 – marzo 2013