30 marzo. L’impatto della crisi finanziaria di Cipro è inversamente proporzionale alle sue piccole dimensioni. Le conseguenze, anche a causa del “salvataggio”, saranno devastanti. Afferma Albert Edward, analista del gruppo bancario francese Société Générale: «Penso che alla fine l’eurozona si distruggerà». La famigerata trojka attua un “esproprio proletario”?
Connubio tossico
Le cause del crack cipriota
Cipro è uno di quei paesi dell’Unione considerato uno “Stato-banca-off-shore”. Chi metteva (ovvero prestava) denaro nelle banche cipriote godeva di un doppio vantaggio: una remunerazione dei conti correnti con tassi nettamente superiori alla media europea e un trattamento fiscale molto agevolato. Tanto per dire: «La tassazione sugli utili delle società nel 2002 è stata fissata al 10%, diventando così una delle più convenienti d’Europa. In Italia, ad esempio, oggi è al 20%. [1]
Il caso Cipro è solo uno degli esempi di quale stramba e micidiale Unione sia quella europea, unita da una moneta emessa da una banca privata ma divisa nei più disparati campi. Ogni Stato che se lo può permettere, in barba ai discorsi unionisti, aggira i dogmi monetaristi — il controllo del tasso d’inflazione, quello sul deficit al 3% del Pil e sul pareggio di bilancio — e applica politiche economiche di vantaggio per il capitale (anzitutto la rendita finanziaria) che sono micidiali per quei paesi con i bilanci pubblici scassati. In poco più di dieci anni di euro i paesi europei, come per la deriva dei continenti, si sono allontanati l’uno dall’altro. Peggio, i paesi europei che si sono rafforzati, in primis la Germania, lo hanno fatto alle spalle dei “paesi fratelli”.
Basti guardare ai flussi di capitali intra-Ue, ovvero la vera e propria fuga di capitali dai paesi mediterranei verso Nord. La Germania in particolare, grazie al surplus della partite correnti, si è ingrassata finanziando i paesi del Sud: «A fine gennaio del 2013 vanta un credito per 617 miliardi con uno sbilancio in negativo (debito) dell’intera periferia dell’eurozona per 822 miliardi». [2]
Molti analisti e pennivendoli, avatar degli stregoni dell’aristocrazia finanziaria, cercando di scantonare da questo fatto plateale, tentano di avvalorare la tesi che “i ciprioti se la sono cercata”, tirano in ballo il suo “sistema finanziario ipetrofico”, le presunte pratiche di “finanza allegra” delle autorità bancarie, l’assenza di controlli, i politici corrotti dagli oligarchi russi. [3] Balle!
Si guardano bene dal tirare in ballo, se non il super-paradiso-fiscale chiamato Svizzera, almeno Malta e Lussemburgo, veri e propri santuari interni alla Unione europea della speculazione finanziaria. Il Granducato è un caso addirittura clamoroso: ha solo 525mila abitanti ma le sue aziende creditizie e finanziarie hanno debiti con l’estero pari al 1000% del Pil, mentre gli asset delle sue banche rappresentano più del 700% del Pil. Come mai le banche lussemburghesi non saltano? La ragione è semplice: il Granducato non è solo una cassaforte ma una piattaforma per il gioco d’azzardo, non degli oligarchi russi, ma di quelli europei (anzitutto tedeschi, che hanno il maggior numero di filiali bancarie in Lussemburgo) e anglosassoni. Quanto detto emerge da un dato eclatante: nel Granducato solo l’8% degli attivi bancari è detenuto da banche locali, mentre a Cipro questa quota arriva al 71%. [4]
Vale quindi l’adagio che non si sputa mai sul piatto dove si mangia.
Ma torniamo a Nicosia. Che ci hanno fatto le banche cipriote con questa enorme massa di liquidità (otto volte il Pil) affluita nei loro forzieri anche grazie al dogma eurista — come vedremo più avanti oramai violato — del liberoscambismo e del libero movimento dei capitali? Tre cose principalmente: li hanno investiti in titoli di stato e bond bancari della Grecia; li hanno prestati ai cittadini nella forma di crediti al consumo; hanno infine finanziato a dismisura gli investimenti immobiliari fino a provocare una bolla dell’edilizia.
Due in particolare i fattori scatenanti del crack del sistema bancario cipriota: lo scoppio della bolla immobiliare — crollo dei valori dei beni ipotecati dalle banche in cambio dei crediti erogati e di conseguenza dei collaterali dati in garanzia nell’interbancario — e la ristrutturazione del debito greco decisa dalla trojka.
Il disastro per Cipro è iniziato col default di Atene. Le banche cipriote avevano investito una gran parte dei loro depositi — ricordiamo che per una banca i depositi di denaro dei clienti sono debiti verso questi ultimi — proprio sul debito greco. In cifre il default della Grecia ha causato nelle banche cipriote un buco da 17 miliardi — moltissimi rispetto ai 69 miliardi di euro di depositi che esse gestiscono. [5]
«Il centro finanziario ipetrofico di Cipro (…) ha i suoi guai strutturali ma è stato colpito duramente dal taglio di 100 miliardi di euro di haircut sui possessori di bond sovrani greci, tra cui principalmente le banche cipriote». [6]
Il default della Grecia con relativa ristrutturazione a cura della trojka ha infine accentuato la fuga dei capitali verso i paesi “virtuosi” (ciò che è chiamato eufemisticamente flight to quality), ciò che ha colpito pesantemente anche le banche cipriote, che quindi sono precipitate in default a loro volta.
La famigerata trojka, nel momento in cui propose il suo “salvataggio” della Grecia (un “salvataggio” che ha sfasciato quel paese e gettato nella miseria gran parte della sua popolazione), sapeva benissimo che se i più grandi paesi creditori di Atene avrebbero sopportato l’urto, ciò avrebbe avuto conseguenze devastanti per Cipro. Il prestito russo a Cipro del gennaio 2012 (2,5 miliardi); il declassamento a spazzatura dei titoli di Stato ciprioti da parte delle agenzie di rating nel marzo 2012; ed infine la richiesta del governo cipriota di un intervento dei fondi salva-stati europei, avanzata nel giugno 2012; erano evidenti campanelli d’allarme. I tecno-oligarchi europei e gli stregoni dell’aristocrazia finanziaria piangono quindi lacrime di coccodrillo, poiché essi sono i primi responsabili dello sfracello cipriota.
Un piano a due gambe
anche (certi) ricchi piangono
Respinto dal Parlamento cipriota il primo Piano di salvataggio A, ovvero messi al riparo i conti correnti sotto i 100mila euro, la trojka, ottenuto l’appoggio del vassallo governo di Nicosia, ha tirato fuori dal cappello un altro Piano. Un Piano sorprendente, diabolico, a due gambe, criticato aspramente dagli stessi analisti ed economisti euristi e che sta mandando su tutte le furie molti borghesi — la cui fede nel Dio euro inizia seriamente a vacillare.
Ma andiamo con ordine.
C’era da attendersi che dopo il grottesco flop del Piano A, che il Piano B sarebbe consistito in un intervento diretto dell’Unione europea, sullo stile dei 4 “salvataggi” precedenti — Irlanda, Grecia, Portogallo e Spagna per un totale di circa 500 miliardi, quasi quaranta volte quanto basta a salvare il sistema bancario cipriota — cioè un prestito attraverso i meccanismi di cui si era faticosamente dotata, in cambio di drastici piani di austerità e privatizzazioni, nonché di rimborsi i cui costi sarebbero stati scaricati sulle casse pubbliche. La forma ce la spiegava l’eurista di ferro Donato Masciandaro prima che la trojka escogitasse il suo piano definitivo:
«L’Unione, su richiesta del governo cipriota, dovrebbe agire con il fondo salva-Stati (Esm), operando una capitalizzazione diretta delle banche, ovvero decidere per una liquidazione ordinata. L’Esm diviene il temporaneo azionista di maggioranza della banca salvata e si impegna a riprivatizzare o a liquidare la banca con modalità di mercato». [7]
La trojka, Unione, Bce e Fmi, avrebbero messo i quattrini per ricapitalizzare interamante le banche cipriote (meno di 20 miliardi di euro, una cifra irrisoria se ci si pensa) per poi ridarle in mano a banchieri privati. Cipro avrebbe perso anche la parvenza di Stato sovrano diventando un protettorato coloniale europeo, mentre il governo avrebbe quindi agito come vassallo e esattore dell’Esm dissanguando i ciprioti al fine di rimborsare il prestito con lauti interessi. Fantastico Piano B! Un distillato ideologico del pensiero unico euro-colonialista. Ma non era applicabile. Non è infatti pensabile addossare ad uno Stato con solo 18 miliardi di Pil (che per il 70% è sfornato dai servizi) i costi del default di un sistema bancario otto volte più grande.
Ed infatti questo ipotetico Piano B non è stato adottato, si è optato, su pressione tedesca, per il Piano C. Data la modesta cifra necessaria a salvare le banche cipriote, la Ue poteva ben permettersi di fare un prestito, diciamo a vent’anni, ad un tasso d’interesse modesto. Neanche per sogno! hanno risposto all’unisono i governi europei, tedeschi in testa.
In cosa consiste questo Piano C?
9 miliardi saranno versati dall’Esm per far fronte al fabbisogno dello Stato, 1 sarà cacciato dal Fmi, 5,8 verranno estorti (qui la grande novità) ai creditori privati delle banche fallite. Di passata, Vito Lops faceva notare la strana coincidenza: «Quale è l’importo che l’Unione europea ha deciso lo scorso week end di ottenere dal prelievo forzoso sui conti correnti a Cipro? 5,8 miliardi. E quale è l’esposizione finanziaria delle banche tedesche nei confronti della piccola isola del Mediterraneo? 5,8 miliardi (fonte Banca dei regolamenti internazionali)». [8] Il che spiega perché i ciprioti siano tanto incazzati contro la Merkel e la Germania.
E’ stata insomma messa una taglia del 40%, un “prelievo forzoso” sui depositi dei correntisti e sugli obbligazionisti (titolari di bond o titoli di credito) che hanno somme al di sopra dei 100mila euro. Alcuni si azzardano a dire (il Piano non è ancora noto nei dettagli,) che la taglia potrà arrivare all’80%. Una “patrimoniale” colossale che fa piangere non solo i redditieri (anzitutto russi) che pensavano di avere messo in salvo i loro patrimoni, ma tutte le imprese capitalistiche cipriote (si prevede come effetto del Piano C un crollo del Pil dell’isola del 20%)
L’avesse fatto Chavez sarebbe montata una campagna mondiale contro “l’esproprio bolscevico”. Invece l’ha fatto la troika che è sì sentinella del “capitalismo”, ma di un capitalismo sui generis, quello bancario predatorio. Mai come in questo caso è venuta alla luce la discrasia tra gli interessi e le vedute dell’aristocrazia finanziario-parassitaria, oramai dominante, e la “borghesia classica”, oramai soggiogata.
Certi economisti sbraitano che un principio sacro ai ricchi e ai capitalisti è stato brutalmente violato, quello per cui in ogni salvataggio per default non si sarebbero dovuti toccare il risparmio e i depositi bancari — per i nostri euristi di ferro i costi dei salvataggi, anche se di banche private, dovrebbero essere socializzati, a carico dello Stato, spalmati quindi su tutti i cittadini, anzitutto i salariati.
Ma sentiamo la delusione dell’analista:
«Si sono aperte strade per scaricare sulle spalle dei privati, azionisti, obbligazionisti o risparmiatori che siano, i costi del finanziamento dei salvataggi bancari cancellando di fatto l’opzione della ricapitalizzazione diretta da parte del Fondo salva-stati (Esm), proprio come da sempre voleva la Germania con i suoi alleati del Nord, sempre più allergici alle soluzioni europee». [9]
Senza giri di parole: la soluzione adottata per Cipro, non solo affossa i tanto declamati obiettivi dell’Unione bancaria, di comuni politiche fiscali, affossa l’Unione europea in quanto tale. Ha vinto ancora una volta la Germania. Un’altra vittoria come questa e sarà l’euro-kaputt. Osserva un altro eurista tutto d’un pezzo: «La verità è che prevalgono ancora una volta gli interessi nazionali sulle convenienze comuni, le nazioni prima dell’Europa». [10]
La mazzata definitiva agli alfieri dell’euro (che almeno speravano di essere tranquillizzati sentendosi dire che la ricetta per Cipro era un’assoluta eccezione) è stata sferrata dall’olandese Presidente dell’eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, subito dopo la sigla dell’accordo per Cipro, la sera del 25 marzo. Dijsselbloem ha affermato che per Bruxelles la soluzione “anticapitalistica” adottata per Cipro potrebbe essere valida anche per altri paesi. Le borse e le borghesie dei paesi del Sud Europa sono state prese dal panico. Nel sinedrio degli euristi qualcuno ha iniziato timidamente a sostenere che se questa è l’Unione, se tanto bellamente si violano certi sacri tabù (leggi l’inviolabilità dei portafogli dei borghesi), tanto vale uscirne prima che sia troppo tardi.
«La favola secondo cui il caso di Cipro è unico e non compromette il destino dell’euro non regge più, non solo è stata raccontata troppe volte negli ultimi anni, ma soprattutto perché il convolgimento dei creditori delle banche e soprattutto i controlli ai movimenti di capitale annunciati hanno implicazioni politiche gravissime». [11]
Ricordiamo che in Italia c’è chi da tempo propone una gigantesca patrimoniale. Il più noto è il vice-direttore del Corriere della Sera Massimo Mucchetti, che sostiene che per stroncare il debito pubblico occorre rastrellare 200/300 miliardi con un’imposta sui patrimoni, compresi i depositi bancari. Non è chiaro se Mucchetti (ora passato al Pd) intende colpire anche i risparmi sotto la soglia dei 100mila euro, ma siamo certi di sì.
Siamo così giunti alla seconda gamba del Piano C per Cipro. Per la prima volta all’interno di un’Unione economica e monetaria vengono posti limiti alla libertà di movimento dei capitali. Un principio sacro ai liberisti non meno di quello dell’intoccabilità dei conti correnti, violando il quale, ognuno lo capisce, l’Unione europea, è oramai solo un colabrodo. Osserva sconsolato Marco Onado:
«Viene ammainata una delle bandiere dell’intera costruzione europea, non solo dell’unione monetaria. Il che la dice lunga sulla gravità della situazione: non a caso si era finora detto che un Paese che avesse voluto uscire dall’euro avrebbe dovuto introdurre controlli sui capitali». [12]
Le misure restrittive ai movimenti di capitale saranno severissime:
«Un limite massimo di 5mila euro al mese per le transazioni all’estero mediante carta di credito. Un tetto di 3mila euro in contanti — per ogni viaggio — a chi intende uscire dal Paese. Divieto di riscuotere assegni. Prelievo dai bancomat non superiore ai 300 euro giornalieri. Limiti molti severi a chi vuole trasferire denaro all’estero. E un’autorizzazione ad hoc, dietro esibizione di documenti giustificativi — formula che ha il sapore di una pericolosa discrezionalità — per i pagamenti delle imprese che importano beni e prodotti». [13]
L’economia cipriota, allo scopo di evitare l’assalto agli sportelli e la fuga dei capitali, viene sottoposta ad un regime di guerra, messa in una dura quarantena, isolata dal resto dell’Unione europea.
Diciamola tutta: Cipro è di fatto fuori dall’euro-zona, anche se continuerà ad usare questa sciagurata moneta (come del resto fanno ad esempio il Montenegro e il Kosovo) col contagocce. Hanno quindi ragione i liberisti, dal loro punto di vista, a sostenere che il Piano per Cipro è abominevole. La mobilità dei capitali è sempre stata un principio intoccabile, lo (era) per il Fmi e per la Ue. Lo è a maggior ragione perché questa volta l’esperimento riguarda non un paese a sovranità monetaria che deve proteggersi dalla svalutazione, riguarda Cipro, un paese che non ha valuta propria.
Due osservazioni e una conclusione sono d’obbligo. La prima è che la stalla si chiude mentre i buoi grassi sono già scappati — si rincorrono anzi le voci che nel periodo di chiusura delle banche degli ultimi giorni diversi uomini d’affari sarebbero riusciti ad eludere i controlli trasferendo all’estero grandi somme di denaro. La seconda è che i vincoli severissimi ai movimenti di capitale, presentati come provvisori, destinati a durare poche settimane, potrebbero invece prolungarsi per anni. E’ questo il caso dell’Islanda e dell’Argentina. Come, del resto, un paese a pezzi, potrebbe abolire i controlli senza fare affidamento su consistenti riserve valutarie e del surplus di bilancio?
La conclusione secca è la seguente. La ricetta a due gambe proposta dalla trojka sdogana in maniera clamorosa due delle proposte di fuoriuscita dal marasma economico avanzate dalla forze rivoluzionarie in questi ultimi anni e considerate “estremistiche”. Sono anni che noi andiamo dicendo che per evitare il baratro dev’essere fermata la possibilità dei capitali di fuoriuscire dal paese e che i debiti vanno cancellati e/o fatti pagare alla rendita finanziaria parassitaria.
Se Cipro avesse avuto un governo popolare, avrebbe sì preso queste due misure alle prime avvisaglie di default, ma in un quadro di sganciamento dall’Unione e dal cappio della finanza globale, ovvero decretando l’uscita dall’euro e la nazionalizzazione del sistema bancario.
Senza questi due atti, le prime due misure potrebbero rivelarsi non solo inefficaci, ma sprofondare l’isola in una depressione senza fine, ove non fosse prima travolta dallo scoppio dell’eurozona.
Note
[1] Luca Davi, Il Sole24 Ore del 22 marzo 2013
[2] Fabio Pavesi, Il Sole 24 Ore del 27 marzo 2013
[3] Ad esempio Riccardo Sorrentino, Il Sole 24 Ore del 22 marzo 2013
[4] Beda Romano, Il Sole 24 Ore del 28 marzo 2013
[5] Morya Longo, Il Sole 24 Ore del 22 marzo 2013
[6] Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore del 22 marzo 2013
[7] Il Sole 24 Ore del 21 marzo 2013
[8] Finanza e Mercati, Il Sole 24 Ore del 19 marzo 2013
[9] Adriana Cerretelli, Il Sole 24 Ore del 27 marzo 2013
[10] Carlo De Benedetti, Il Sole 24 Ore del 26 marzo 2013
[11] Marco Onado, Il Sole 24 Ore del 28 marzo 2013
[12] Ibidem
[13] Roberto Buongiorni, IL Sole 24 Ore del 28 marzo 2013