7 aprile. Ieri eravamo a Grottaminarda in provincia di Avellino. C’era un’Assemblea nazionale indetta dal Comitato di Resistenza Operaia della IrisBus (fabbrica di autobus che la Fiat di Marchionne ha chiuso) e dal Comitato No Debito. Sala gremita da centinaia tra operai, precari, attivisti sindacali, militanti della sinistra antagonista.
Un fronte ampio per riaprire le fabbriche
Una mobilitazione generale per il lavoro
di Daniela Di Marco (da sollevAzione)
Una quarantina gli interventi, in larga parte di operai di fabbriche e aziende dell’Italia centro-meridionale. L’atmosfera era combattiva e festosa, anche vista la folta partecipazione. Occorre ringraziare, per questo successo di pubblico, anzitutto i lavoratori e le lavoratrici del Comitato di Resistenza Operaia della Irisbus, che si battono per riaprire la loro fabbrica, anche a costo di autogestirla. Un Comitato che senza dubbio è una delle punte avanzate della lotta operaia nel nostro paese.
Qui le immagini dell’apertura dei lavori, con gli interventi di Davide Iannuzzo (che chiede di osservare un minuto di silenzio per i tre suicidi di Civitanova Marche) e Rossella Iacobucci del Comitato Resistenza Operaia della Irisbus.
Autogestione. Più facile a disi che a farsi. Per riaprire questa fabbrica (che, ricordiamolo, costruiva autobus urbani) occorrono ingenti risorse, risorse che possono venire solo a patto di nazionalizzarla e obbligare lo Stato a reperire i necessari investimenti. Non mancano le idee e le proposte per riattivare le linee produttive per sfornare autobus ecologici, magari a partire dalla riconversione di quelli esistenti, troppo inquinanti.
Un particolare, quello della Irisbus, in cui c’è l’universale. Nazionalizzare non è possibile se non nel quadro di una grande svolta politica. Non saranno Monti o i governi euristi di Pd e/o Pdl a farlo. Potrà farlo, e questo è stato detto da alcuni oratori, solo da un governo che faccia gli interessi del popolo lavoratore. Qui si sono registrate certe divergenze. Alcuni, coi quali siamo d’accordo, hanno insistito che non si può attendere la rivoluzione per riaprire le fabbriche chiuse, che data la vittoria elettorale dei 5 Stelle, è ad essi che occorre rivolgersi, affinché prendano di petto la questione e si impegnino, anche in Parlamento, affinché si adottino tutte le misure necessarie per contrastare il devastante fenomeno della desertificazione industriale che colpisce oramai tutto il paese.
In questo senso occorre una mobilitazione unitaria e generale che metta al centro il lavoro, fino ad una manifestazione nazionale di lotta sotto le sedi del potere. Richiesta che è stata accolta con entusiasmo da tutti i presenti e che il Comitato No Debito, pur nei limiti delle sue capacità, si è impegnato a portare avanti.
Durissimi gli attacchi ai sindacati confederali CGIL, CISL e UIL, nei quali nessuno ripone più alcuna speranza. Alcuni interventi, vista la presenza di Giorgio Cremaschi e di diversi delegati FIOM, hanno insistito sulla necessità di rompere definitivamente con la triplice per fondare un sindacato di classe.
La sola nota stonata dell’assemblea, come c’era da temere, è stata la inevitabile “passerella” sul palco. Ogni singolo gruppo della vecchia sinistra antagonista, pur facendo parlare propri lavoratori di questa o quella azienda in crisi, ha voluto dire la sua, cercando visibilità. Ciò era prevedibile e non sarebbe stato un male, non fosse che si è rischiato un dibattito tra sordi, con gli annessi, spesso patetici, di toni retorici e trionfalistici, smentiti da altri operai (come quelli della Bosch di Bari o dell’Alfa di Pomigliano) che hanno sottolineato quanto sia difficile resistere e contrastare l’attacco frontale del padronato.
Torneremo sulle conclusioni dell’Assemblea, pubblicando altri interventi, tra cui quelli di Giorgio Cremaschi e di Fabio Frati della C.U.B.
da sollevAzione