Restaurazione e rivoluzione

Quella di ieri è stata una giornata davvero istruttiva. E’ avvenuta una piccola prova generale di quel che dovrà accadere in questo disgraziato paese. Dobbiamo trarne i dovuti insegnamenti.

Il potere costituito, sgomento per l’onda anomala emersa dalle urne (pallida avvisaglia di quel che sta crescendo nelle viscere sociali), si è asserragliato nel suo bunker, eufemisticamente chiamato Parlamento.

I giannizzeri in doppio petto, chiamati a scegliere il comandante in capo preposto ad organizzare la difesa, hanno optato a larga maggioranza di conferire un secondo mandato a Giorgio Napolitano. Sarà lui a scegliere, per nome e per conto delle forze esterne a cui ha consegnato la sovranità effettiva, i generali che comporranno il Consiglio di guerra, ovvero i ministri del prossimo governo.
E’ stato così inviato un doppio segnale di fumo.

Il primo proprio verso le potenze esterne. Rimesso al Trono Re Giorgio sono giunte infatti fulminee le felicitazioni, di Obama, del Papa, di Draghi, della Merkel, di uno sciame di capi di Stato spaventati dal rischio che l’Italia potesse precipitare nel caos.

Scontata l’esultanza di Berlusconi il quale, visto il caotico suicidio del Pd, ridiventa il nuovo dominus.
Poi c’è l’inequivoco segnale inviato ai sudditi sediziosi: restaurazione!

Nello Stato d’eccezione la democrazia costituzionale, se non de jure, de facto, è sospesa. Il potere costituito non siglerà nessun compromesso con la montante protesta popolare. Più chiaramente dei politicanti tremebondi che l’indignazione sociale momentaneamente rappresentano, esso vede quale sia l’enorme posta in gioco: se si rompe l’anello italiano si spezza tutta la catena europea ed eurotlantica. Il Potere è dunque consapevole che una guerra di posizione è in atto, di conseguenza allinea le sue truppe e scava trincee, a partire da quelle attorno ai suoi Palazzi romani.

E proprio attorno a quei Palazzi, ieri pomeriggio, c’è stato un tentativo di assedio — timido annuncio della guerra di movimento che sarà. Beppe Grillo, nel primo pomeriggio, dopo aver denunciato il “golpe”, lancia un sacrosanto e deflagrante appello:

«Il M5S da solo non può però cambiare il Paese. E’ necessaria una mobilitazione popolare. Io sto andando a Roma in camper. Ho terminato la campagna elettorale in Friuli Venezia Giulia e sto arrivando. Sarò davanti a Montecitorio stasera. Rimarrò per tutto il tempo necessario. Dobbiamo essere milioni. Non lasciatemi solo o con quattro gatti. Di più non posso fare. Qui o si fa la democrazia o si muore come Paese».

In un paio d’ore (vedi la foto sopra) Piazza di Montecitorio è gremita di cittadini.

Poteva diventare una cosa seria, un assedio al Parlamento. Ahimé si è risolta in una farsa.
Nella stanza dei bottoni si sono accese tutte le spie rosse dell’emergenza. Occorreva fermare l’afflusso. Il rischio era che la moltitudine avrebbe scatenato una pressione incontenibile ed eversiva sul Parlamento. Dalle alte sfere del Ministero degli interni partono concitate telefonate a Beppe Grillo: “Fai marcia indietro, perché non tollereremo che la manifestazione spontanea valichi le transenne che la dividono dal Palazzo”.

Poco dopo un Grillo spaventato precisa: «Una raccomandazione: nessun tipo di violenza, ma solo protesta civile. Isolate gli eventuali violenti».

A spegnere le fiamme ci ha pensato subito dopo un terrorizzato Stefano Rodotà, proprio colui che veniva osannato dalla piazza indignata. «Sono contrario a qualsiasi marcia su Roma. Le decisioni del Parlamento vanno rispettate». Parole indegne, emblematiche del personaggio.

Mentre la piazza ribolle e si gonfia, alle ore 16:00 giunge il clamoroso dietrofront di Grillo: “Tutti a casa”. Ma questa volta l’invito non è rivolto ai gerarchi politici corrotti, ma ai cittadini infuriati, agli stessi che stavano urlando il nome di Rodotà.

Beppe Grillo, incendiario e pompiere. Due parti in commedia.
A caldo ci è venuto in mente un unico sostantivo:“Traditore!”.

Una simile condanna veniva dalla constatazione che nella giornata del 20 aprile non c’era stato solo lo scisma definitivo tra Potere costituito e la parte viva e non asservita del popolo italiano. Abbiamo pensato che era avvenuta un’altra divaricazione, tra gli italiani indignati, quelli che non ne possono più, che soffrono la catastrofe sociale e chiedono una svolta radicale, e il Movimento 5 Stelle che per ora li rappresenta.

A mente fredda ci viene invece da essere prudenti.

Certo, Grillo se l’è fatta sotto. Ma forse, in questa paura c’è la spia che il momento della sollevazione generale non è maturo, che non è già l’ora di dare fuoco alla prateria. Che scatenare adesso la rivolta significherebbe andare incontro ad una sconfitta certa, offrendo al nemico la possibilità di portare a casa una insperata vittoria strategica.

L’importante è trarre, dalle esitazioni di Grillo e dalla inquietante pochezza del gruppo di eletti e di dirigenti ai vari livelli del M5S, le necessarie conclusioni.

La prima: quanto accaduto ieri dimostra che M5S, per la sua stessa natura, non vorrà e non potrà mettersi alla testa della latente sollevazione popolare. Beppe Grillo non è il Cristo, egli è solo un precursore, un Giovanni Battista.

La seconda: che il compito ineludibile di chi vuole cambiare questo paese, non è solo comprendere che il cambiamento passa per la sollevazione; si deve finalmente capire che occorre costruire la sua forza dirigente. Quella che dovrà mettere ordine nel caos che sarà. È già molto tardi.

21 aprile 2013

Ps – Mentre scrivevo l’articolo si svolgeva la annunciata manifestazione a Piazza SS. Apostoli. Vien fuori che Grillo, non appena raggiunta la manifestazione, la abbandona. Manifestanti basiti. Verso le 19:30 il nostro, intervistato da “La Cosa”, candidamente rivela che se se n’è andato lasciando tutti a bocca aperta è “… perché me lo ha chiesto la Digos, che temeva incidenti”. Ci risiamo! Cambiare da cima a fondo un paese è una cosa troppo seria per farla fare a chi si illude di poter fare la frittata senza rompere le uova.