Seguite da polemiche per i brogli elettorali e precedute da una serie di sanguinosi attentati e di omicidi politici attribuiti alle forze islamiste radicali (a vario titolo considerate vicine ai talebani afgani e che hanno chiamato al boicottaggio della “farsa elettorale”), si sono svolte l’11 maggio in Pakistan le elezioni per l’Assemblea nazionale. Si è votato anche per rinnovare le Assemblee provinciali nel Punjab, nel Sindh, nel Baluchistan e nella provincia del Khyber Pakhtunkwa, ovvero nelle bollenti zone di frontiere con l’Afganistan.

Il fatto che abbiano votato il 60% degli 86 milioni di aventi diritto — la più alta affluenza dal lontano 1970, l’anno della guerra civile che portò alla separazione dell’attuale Bangladesh — da la misura di quanto queste elezioni siano state sentite importanti dai pakistani.
 
Le elezioni sono state vinte dalla potente e conservatrice Pakistan Muslim League (PML-N). L’immarcescibile Nawaz Sharif — che nel 1999 venne destituito e inviato in esilio dal generale Musharraf grazie al suo colpo di stato — sarà dunque il nuovo primo ministro. Una vittoria dimezzata tuttavia, visto che il PML-N l’ha spuntata solo grazie alla schiacciante vittoria nel suo feudo elettorale, nella cruciale provincia del Punjab (la più popolosa, da sola elegge 183 dei 342 seggi dell’Assemblea nazionale, e quella che rappresenta il motore economico del paese), mentre nelle altre province ha ottenuto risultati più che modesti.
 
Queste fortissime differenze nel voto a Sharif sono una spia infallibile dei problemi drammatici che attanagliano questo paese. Alle abissali  diseguaglianze sociali (accentuate dal processi di liberalizzazione e privatizzazione che proprio i precedenti governi della PML-N avevano perseguito), si aggiungono i profondi squilibri tra regione e regione. Un caso su tutti, quello del Balucistan, la zona più povera del paese, dove hanno infatti vinto le forze nazionaliste che non nascondono le loro mire secessioniste.
 
D’altra parte sia la PML-N che il PPP, ovvero entrambi i partiti maggiori, sono stati sonoramente sconfitti nelle zone di confine con l’Afganistan, da decenni in stato di guerra e dove i governi di Islamabad sono percepiti come nemici asserviti alla politica imperiale statunitense.
 
E’ uscito con le ossa rotte dalla tornata elettorale il “progressista”, si fa per dire, Pakistan People Party (PPP) che ha di fatto governato negli ultimi cinque anni e che esprime ancora il Presidente della Repubblica. Salito al potere cinque fa non ha mantenuto alcuna promessa, né quella di ridurre ingiustizie sociali e squilibri regionali e né, tantomeno, quella di porre fine alla vergognosa sudditanza alla aggressiva e bellicistica politica americana.
 
Inferiori alle attese i risultati del Pakistan Tehreeek-e-Insf (Movimento per la Giustizia-PTI), guidato dalla stella del cricket Imran Khan, che è giunto solo terzo. Il PTI era considerato la vera novità di queste tornata elettorale, l’alternativa ad un sistema bipolare che molti analisti consideravano oramai al collasso. Si sono sbagliati. Non sono serviti, a scardinare i tradizionali assetti politici oligarchici incardinati attorno alle due potenti dinastie dei Butto e degli Sharif, né l’aggressiva campagna del PTI contro la corruzione dilagante, né il suo appello nazionalista a porre fine all’alleanza con gli USA in nome della “guerra al terrorismo”. E’ degno di nota che durante i suoi comizi elettorali, Imran Khan ha detto (1) che se fosse diventato primo ministro avrebbe impedito alla CIA di continuare, coi suoi droni, a colpire le zone tribali, e che avrebbe ordinato all’esercito pakistano di abbattere gli aerei americani e, (2) che lo stato pakistano avrebbe dovuto negoziare con i ribelli talebani, non combatterli.
 
Queste elezioni non porranno certo fine alla cronica instabilità politica pakistana. Un’instabilità congenita, non solo sociale e istituzionale, ma geopolitica. Stiamo infatti parlando di un paese in cui si scaricano potentissime tensioni non solo regionali ma internazionali. E’ noto il conflitto a Est con l’India per l’annosa vicenda del Kashmir e non c’è bisogno di ricordare che ad Ovest c’è il confine con l’Afganistan. 2640 chilometri di frontiera porosa (Linea Durand), abitata dai pashtun, lo stesso popolo che fornisce la maggior parte dei combattenti ai guerriglieri islamisti (non solo talibani) che in Afganistan combattono contro l’occupazione USA e NATO.

Degno di nota che nel corso della campagna elettorale Nawaz Sharif abbia utilizzato a più riprese toni antiamericani, minacciando di chiudere le vie di rifornimento alle truppe occupanti USA e NATO in Afganistan. Una maniera per prendere voti? O alle parole seguiranno i fatti? Noi propendiamo per la prima ipotesi.