C’è diversa gente in giro che pensa che il governo del Partito dei lavoratori brasiliano sia un esempio se non un modello da seguire. Ogni volta che mettevamo in guardia da queste illusioni ci si rispondeva con la solita musica: “non vi va mai bene un cazzo”. Ci sono poi altri che ci criticano come visionari perché pensiamo che solo con una sollevazione popolare sarà possibile cambiare lo stato di cose esistente. “Non si vede all’orizzonte alcuna sollevazione! Campa cavallo…”

Ma andiamo con ordine.

Scrivevo nell’ottobre 2010, a margine delle elezioni che portarono Dilma Roussef alla vittoria su Marina Silva:

«Il miracolo brasiliano, se ha parzialmente risolto il problema della povertà assoluta per milioni di cittadini, ha infatti prodotto nuovi squilibri sociali e devastazioni ambientali crescenti (di qui il successo della Marina Silva). Sul medio lungo periodo questo sviluppo accelerato e distorto è destinato a produrre nuove povertà e nuove contraddizioni sociali. (…)
Ci sarà un momento, come dicevamo, in cui i nodi verranno al pettine, e gli enormi squilibri sociali per adesso attutiti dal miracolo, esploderanno in maniera deflagrante. Il boom infatti dipende non solo dall’arguta politica estera sud-sud di Lula (per farsene un’idea vedi l’articolo di Celso Amorin su Il sole 24 Ore del 2 ottobre 2010) ma dalla congiuntura internazionale. La crisi valutaria (la divisa brasiliana continua ad apprezzarsi minacciando la spinta esportativa mentre dollaro euro e yen si svalutano e il cinese renminbi non si rivaluta che a passo di lumaca) e un nuovo crollo del sistema fianziario, metterebbero anche l’economia brasiliana in ginocchio. Addio boom, bye bye lulismo». Brasile l’altra faccia del miracolo

L’enorme ondata di proteste popolari, esplosa una settimana fa dopo che diverse amministrazioni avevano deciso di aumentare il costo dei trasporti urbani per finanziare le grandi opere in vista dei mondiali di calcio è anzitutto la prova provata del carattere essenzialmente neoliberista del modello sociale lulista. All’ombra del governo del Pt il capitalismo brasiliano si è fatto strada nel mondo, la borghesia carioca si è ingrassata, ampi settori di ceto medio hanno avuto accesso al consumismo.
C’è poi l’altra faccia della medaglia, non solo questa “crescita” è avvenuta sulle spalle di un proletariato, urbano e rurale, enormi masse di diseredati si sono accalcati nelle periferie delle metropoli, senza accesso, non solo ai consumi, nemmeno ad una vita minimamente dignitosa.

In poche parole, il Pt ha favorito un colossale ciclo di accumulazione capitalistica, per lanciarlo nella sfida dei mercati globali, ma questo a spese del proletariato e della maggioranza del popolo.

Che ci sarebbe stata l’esplosione sociale non avevamo dubbi. E così è stato infatti. Un’ondata straripante di cui la gioventù è la testa d’ariete e che ha visto i mille rivoli dell’indignazione sociale confluire nell’impetuoso fiume in piena della sollevazione.

Non sono servite né la marcia indietro demagogica della Dilma Roussef: “Capiamo le ragioni della protesta”… né la cancellazione degli aumenti. Questa piccola vittoria ha fatto invece ingrossare il movimento di massa, e l’ha fatto ingrossare per la semplice ragione che quella dell’aumento del costo dei trasporti urbani era solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E’ il modello sociale stesso del governo del Pt che è messo sotto accusa, un modello che, sopraggiunta la recessione mondiale, fa acqua da tutte le parti.

Alcuni commentatori esecrano gli atti di “violenza cieca”, i saccheggi e gli espropri, fanno il verso alla Roussef che tenta come può di dividere i “buoni” dai “cattivi” e di riportare l’ordine sociale. Vedremo come andrà a finire. Di certo questa enorme e fulminea sollevazione popolare fa da spartiacque, il Brasile è entrato in una nuova fase politica.

Questa sollevazione parla ai tanti rassegnati, sfiduciati, scettici, demoralizzati del nostro paese, quelli che ci fanno una capa tanta sostenendo che siamo dei visionari quando diciamo che ci vuole una sollevazione di popolo. Questi pessimisti di mestiere sanno bene che solo se il popolo si sveglia si cambierà lo stato di cose esistente, solo che essi argomentano che la sollevazione in Italia è impossibile, oppure, dimenticando la storia, dicono che “il popolo italiano è un popolo bue”, che “non ha mai fatto una rivoluzione”.

Questi pessimisti sono uno dei fattori che ritardano la sollevazione, l’altro fattore essendo la vasta schiera di politicanti e di intellettuali che ciurlano nel manico (vogliamo metterci anche i “grillini”?), invocando la pace sociale, condannando in linea di principio ogni rivolta sociale. Essi temono l’entrata in scena del popolo lavoratore e della gioventù, sono spaventati, vorrebbero loro rappresentare il popolo e, coi guanti bianchi, essere i piloti del cambiamento.

Il fatto è che essi scambiano il proprio sentimento di prostrazione e di impotenza con quello delle larghe masse, che sono invece, secondo noi, sul punto di esplodere, e non c’è nulla che il potere possa fare per evitare la deflagrazione. Può solo procastinarla.

Non ci chiedete quando la goccia farà traboccare il vaso, né quale potrà essere questa goccia. L’importante è individuare qual è la tendenza principale, ovvero che tutto congiura verso una grande resa dei conti. Compito delle forze politiche che hanno la testa sulle spalle, per quanto oggi minoritarie, è andare incontro, senza avventurismi ma con coraggio, alla rivolta sociale incipiente. Quelli che oggi sono maggioritari diventeranno minoritari, mentre quelli che sono oggi ai margini del teatrino politico occuperanno il centro della scena sociale.

da sollevAzione