Ulteriori considerazioni sul movimento di Gezi park

L’articolo “Gezi park: fra democrazia e kemalismo, possibilità e pericoli per una sinistra sociale rivoluzionaria” si chiudeva con la seguente proposizione: “La rivoluzione si rivelerà impossibile qualora sia fondata esclusivamente sulla comunità alawita.” Alcune reazioni mi hanno sollecitato ad offrire una più approfondita spiegazione.

La sinistra radicale, che durante il regime dittatoriale militare è cresciuta (pagando un prezzo pesante), si è alimentata soprattutto dalle fila della comunità alawita. La guerra condotta dalla giunta contro i Kurdi con i più sporchi metodi, comprese le espulsioni di massa e i progetti di dighe nell’Anatolia orientale, ha provocato una grande emigrazione verso le metropoli della Turchia occidentale, in aggiunta ai fattori economici che spingono le popolazioni del sud verso le città. Milioni di alawiti sradicati e immiseriti tutto ad un tratto si sono trovati in un ambiente urbano.

Gli alawiti hanno avuto notorietà come ribelli sociali. Organizzarono una serie di insurrezioni contro i Sultani Ottomani, che portarono a sanguinosi giri di vite. Sono stati pesantemente oppressi, a differenza di altre minoranze etniche e religiose (1), soprattutto dei cristiani greco – ortodossi e degli armeni, che di fatto e di diritto hanno goduto di una posizione sicura anche grazie alle loro potenti classi mercantili. Durante la rivolta kurda del 1937–1938 gli alawiti furono la forza trainante, essendo stati pesantemente puniti dai kemalisti. Dato che gli alawiti sono insediati proprio al confine fra turchi e kurdi (Dersim, che i kemalisti hanno ridenominato come Tunceli), non è un caso che essi abbiano giocato un ruolo centrale nella formazione del moderno movimento nazionale kurdo. Abdullah Ocalan e i grandi blocchi dirigenti del PKK hanno avuto gli alawiti come retroterra, cosa di cui non fanno alcuna menzione, anzi! Pertanto gli alawiti sono stati in forte contrasto con la giunta dopo il colpo di stato militare del 1980.

Una svolta decisiva si è avuta solo con l’ascesa del movimento islamista sunnita. Gli alawiti ne hanno avuto paura fin dall’inizio. Solo molto più avanti, quando erano già sotto pressione, i generali kemalisti hanno colto le potenzialità degli alawiti per ostacolare l’islamismo. Sotto il governo dell’AKP gli alawiti si sono spostati sempre più verso i kemalisti e il laicismo, anche senza un significativo impulso confessionale. Un esempio lampante è il referendum costituzionale del 2010, in cui l’AKP ha frenato con successo il potere dei militari. La provincia in cui il NO ha ottenuto il miglior risultato con l’81% fu proprio Tunceli. Le ricche province occidentali della Turchia bianca hanno seguito con notevole distacco. Il secondo miglior risultato è stato il 74% di Kirklareli sul Mar Nero, al confine con la Bulgaria. A livello nazionale comunque solo il 42% ha votato NO, permettendo all’AKP una schiacciante vittoria. Ma anche fra i kurdi c’è stata una spaccatura profonda. In nessuna provincia prevalentemente kurda (eccetto Tunceli) il NO ha superato il 10%. (E’ importante sapere che il PKK invitò al boicottaggio, rendendo molto scarsa l’affluenza alle urne in molti distretti kurdi). Non è dunque un caso che la persona cui è stato affidato il salvataggio dal naufragio del partito kemalista CHP sia un kurdo alawita di ….Dersim, Kemal Kilicdaroglu.

Oggi gli alawiti, pari al 10–20% della popolazione complessiva, sono in grande maggioranza contro il governo dell’AKP e schierati con il movimento di Gezi. Soprattutto sulla questione siriana rifiutano l’aggressivo atteggiamento interventista di Erdogan e tendono ad appoggiare Assad. Difficilmente si può negare l’esistenza di una solidarietà confessionale con i loro parenti alawiti arabi.

E’ un dato di fatto che la sinistra rivoluzionaria storicamente ha ampiamente reclutato dall’ambiente alawita. Fondandosi solo su questo ambiente non sarà possibile abbattere l’elite capitalista turca, che resta saldamente in sella. E’ prevedibile che gli islamisti, in caso di problemi, useranno le differenze confessionali come corazze. E’ pienamente plausibile che venga provocato un conflitto confessionale che ricalchi il modello arabo e soprattutto quello siriano. Una sinistra rivoluzionaria non deve cadere in questa trappola. Il suo compito è quello di scomporre il blocco politico, sociale e culturale dell’AKP secondo criteri democratici e sociali, stroncando sul nascere il confessionalismo.

Dovrebbe ormai essere chiaro perché una rivoluzione basata solo sugli alawiti non sia possibile e potrebbe evolvere solo in uno scontro culturale e fra comunità (magari nascosto dietro l’argomento della laicità). Il potere della élite capitalista può esser scosso solo se un significativo settore della massa che segue l’AKP si muoverà contro di essa. Solo se i rivoluzionari radunano al loro seguito importanti parti dei sunniti poveri potranno superare la difesa dell’elite. Ma questo cammino è lungo, molto lungo.

Nota
(1) Queste caratterizzazioni potrebbero non essere appropriate, poiché le nozioni impiegate sono connesse al periodo del capitalismo globalizzato e dell’imperialismo.

Traduzione di Maria Grazia Ardizzone